Comfort e innovazione sullo stesso piano, un menu quasi no carb e tecnica giapponese che si intreccia con riferimenti al “grande Nord”. A Milano Bites sorprende 16 clienti alla volta, divisi fra tavolo e bancone.
Bites
Il locale
Due classe ‘95 amici fin dai tempi delle superiori. I genitori amici pure loro. Un giorno i due ragazzi Andrea Baita e Pietro Zamuner vanno dai loro vecchi a dire che vogliono aprire un locale. Gli servono soldi. Le famiglie si parlano, i soldi arrivano. La clair di Bites si alza per la prima volta a gennaio 2020. Dopo neanche due mesi arriva il lockdown. La clair si chiude.
La fine. Poteva essere la fine.

L’idea di coniugare il grande Nord con la cucina giapponese. Nei primissimi menù la grande accoppiata rifletteva a tutti gli effetti le idee di Pietro e la mano di Andrea. I due amici si erano incontrati da Seta e al 28 posti, Pietro poi era volato da Faviken e in Oriente. Ripartire dal distretto di Porta Venezia, sembra poca cosa, eppure la pandemia ha resettato qualsiasi layer di utile o inutile narcisismo, portando quasi tutti allo stesso livello. In un quartiere vivissimo come format food, anche un locale da 16 posti - 8 al tavolo e 8 al bancone - che propone bocconi in stile omakase giapponese “va sudato”.


Gli angoli dell’acidità sono stati smussati, un po’ di italianità ha fatto il suo ingresso nel percorso degustazione. Gli è che Bites è un posto di godimento di un altro livello. Lo scarto più macroscopico è la filosofia nocarb quasi al 100%.

Riflessione: esci da un ristorante sazio ma leggero, senza sensi di colpa, senza autoimporti il digiuno alternato per una settimana, senza l’irrefrenabile bisogno di scaricare un’app per il fitness casalingo suggerita dal personal trainer di Henry Cavill. Certo, dipende anche da quanto bevi, tuttavia la morigeratezza calorica inserita a forza dagli chef, alla lunga non è così male. A volte, da italiani veraci e voraci, ci guardiamo intorno con occhi iniettati di lievito, in cerca del pane.


E se non arriva entro pochi minuti stiamo già intitolando catastrofe la nostra recensione di tripadvisor. Da Bites il pane non arriva manco dipinto. L’unica pietanza con carboidrati complessi è il french toast ai funghi, su cui torneremo dopo. Andrea e Pietro non nascondono che l’obiettivo è lasciare che il cliente si lasci guidare in uno dei loro Omakase, quello che cambia sono il numero dei piatti. Alla base c’è l’idea di partire spinti, di strattonare fuori dalla zona di comfort - italiana - e poi, piano piano, di ritornarci dentro con la manina.

Il dessert è a parte, novella doccetta fredda in stile Winter is coming dal grande Nord. Pietro è un creativo calcolatore, uno che processa preparazioni come una AI della nu cuisine. Ogni boccone è pensato per uno scopo, tuttavia esiste anche l’interpretazione di chi quel boccone lo gusta e, per ignoranza, pigrizia, zelo o troppo coinvolgimento emotivo, l’interprete esce spesso dal cucinato.

I piatti
Prendiamo ad esempio un piatto della prima parte del menu, quella che dovrebbe in qualche modo spingere sull’ignoto, sulla tensione di sapori di non italiana memoria. Il piatto è Sgombro sott’aceto, emulsione di yuxukosho, cavolo cinese agrodolce. Il pesce è esemplare norvegese. Le dimensioni più generose e anche la quantità di grasso. Viene preparato secondo la metodologia giapponese Shime Saba. Prima deliscato, poi il filetto intero è messo sotto zucchero per un determinato tempo. Una volta sciacquato e asciugato è messo sotto sale per un tempo diverso dal primo. Nuovamente sciacquato e asciugato, riceve la terza marinatura in aceto di riso a cui viene addizionato tonno essiccato per dare un lieve sentore di affumicato e per smorzare l’acidità.

Viene conservato a zero gradi prima del taglio. Servito a fette sopra un’insalata croccante di cavolo cinese condito con yuxukosho, una vinaigrette che coniuga Italia e Giappone realizzata fermentando scorze di yuzu, bergamotto e peperoncino verde senza semi. La pasta che si ottiene ha la pungenza che serve ad ammorbidire la grassezza dello sgombro. La preparazione non è certo da trattoria di borgata, tuttavia la consistenza della carne dello sgombro, di questo sgombro, somiglia a quella di un pesce spada a cui non siamo così distanti. Le sferzate dell’insalata condita con il fermentato sono schiaffi freschi che certo non ti rammentano le cene di pesce dagli zii.

Dicevamo comfort di un altro livello. Un comfort che non abbiamo ancora provato, magari quello di un’altra cultura. Come per il secondo piatto. Pietro ce lo racconta come una sorta di budino salato. Il Chawanmushi è un piatto tipico giapponese, spesso servito come antipasto nelle ciotole in cui si serve il tè. Da Bites è Chawanmushi d’uovo, cappuccino di cavolfiore, anguilla arrosto, ikura fatto con con un dashi di lische di pesce a cui si aggiungono uova intere. Il tutto viene mescolato e cotto a vapore per pochi minuti, fino ad ottenere la consistenza di un coagulato. Sulla superficie del “budino”, è aggiunta una spuma di cavolfiore, anguilla alla brace e uova di salmone marinate negli agrumi.

Il boccone è sapido e succoso, croccante e da cioccolata in tazza tiepida. Per lo chef è un passaggio intermedio prima della zona di comfort del menu, per noi è già comfort detto in altra lingua, cucinato da una padrona di casa anche se non è casa nostra.

Con il terzo piatto siamo come in un bagnetto caldo. Il French toast di funghi trifolati, burro nocciola, cipolle confit e carpaccio di funghi arriva e solo per l’effluvio di profumi ci fa salivare a bordolabbra. Strabanalizzando è un crostino ai funghi. Tornando in noi, è il miglior crostino mai mangiato in vita nostra, e anche vostra. Il pan brioche è fatto in casa. Viene porzionato a parallelepipedo, pennellato di burro chiarificato e arrostito in padella. La crema di funghi è ricavata da una duxelles di champignon cremini, porcini e cipolle. Viene aggiunto scalogno sott’aceto e un garnish di champignon crudi. Il boccone è irresistibile, coniuga l’intensità selvatica del fungo con la dolcezza del burro. Una di quelle indulgenze food, che vorremmo concederci eternamente.


Prima del dessert arriva una Lingua di manzo, crema alle erbe, bietole e senape. Per noi nient’altro che un bollito alla salsa verde 3.0. Un piatto goloso in cui l’operazione ti sblocco un ricordo è semplice. La lingua come unico taglio, la brasatura esterna come variazione di consistenza, la senape come elemento acido oltre alla salsa verde. Un piatto che andrebbe benissimo anche al cenone di Natale con i parenti.

In un momento in cui i degustazione sembrano scendere di gradimento, da Bites credono sia l’unica strada, a patto che ci sia reale equilibrio. Da Bites è in tre atti: freddi, tiepidi e caldi ad attivare curiosità i primi, domande i secondi, comfort i terzi. OUT la classica divisione antipasto, primo, secondo, IN maggiore informalità, cuochi in sala e finalizzazione del piatto di fronte al cliente.

Da Bites si sta bene, si mangia e non si degusta, si gode anche quando non si capisce al volo. Da Bites scriveremmo anche il menù usando la sintesi del boccone. Certi piatti ci metti meno a mangiarli che a leggerli. La spiegazione, se tanto sei al bancone, la puoi ascoltare live.
Indirizzo
Bites
Via Lambro 11, Milano- 20129
Tel: 351 866 8452
Sito web