Alta cucina

È la fine del machismo in cucina? Non solo uomo, non solo donna: Noam Kostucki, la cucina oltre le appartenenze di genere

di:
Alessandra Meldolesi
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noam kostucki

È il caso di Noam Kostucki, recentemente incontrato da Hugo McCafferty di Fine Dining Lovers. Capelli fluenti, barba ben curata e unghie laccate di rosso, i tacchi a spillo al termine di polpacci definiti e irsuti, potrebbe essere l’avanguardia di una cucina a suo modo rivoluzionaria, capace di superare il pensiero binario, in qualsiasi sua forma.

La Storia

Sono state uno degli ultimi fortini del machismo, le cucine professionali: luoghi eminentemente maschili e culturalmente militareschi, dove l’omosessualità resta un tabù e i coming out vengono ricacciati in gola. Il più pesante, probabilmente, quello di Dominique Crenn, tristellata cuoca americana. Il mondo là fuori, tuttavia, si è via via colorato di arcobaleni e qualche sfumatura sta penetrando oltre il pass.

Dabiz Munoz



Giovanni Lagnese e Valentina Nappi



A rompere il ghiaccio è stato David Muñoz, stravagante chef spagnolo che si è più volte abbigliato con i vestiti della moglie Cristina Pedroche, bellissima modella spagnola. Il coming out di una cucina libera, che rifiuta per postulato qualsiasi regola, aspettativa e convenzione. Un altro che ama giocare con i travestimenti è Giovanni Lagnese, fondatore di Gourmet Concerto: “Tutti — non solo Muñoz, Achille Lauro o... il sottoscritto — dovrebbero, a prescindere dalla loro appartenenza o non appartenenza a uno o più generi sessuali, liberarsi da una certa stantia normatività di genere che limita irrazionalmente le possibilità estetiche del costume (soprattutto maschile). Ma questo non significa affatto che si possa parlare di prospettiva di genere nell'arte o in cucina. Già Lenin riconosceva — contro relativisti come Bogdanov — che il vero (delle scienze dure) e il bello (artistico) non dipendono da una prospettiva di classe. Allo stesso modo, è il caso di aggiungere, non dipendono da una prospettiva di genere. Sostenere il contrario è equivoco filosofico o trovata pubblicitaria. O, più plausibilmente, una combinazione di entrambi”.


Comunque la si pensi, qua e là comincia a sgargiare, quasi per desaturazione selettiva, l’esuberanza dei primi chef trans, queer, gender-fluid, che oltrepassano le appartenenze di genere, oscillando a piacere fra un sesso e l’altro. È il caso di Noam Kostucki, recentemente incontrato da Hugo McCafferty di Fine Dining Lovers. Capelli fluenti, barba ben curata e unghie laccate di rosso, i tacchi a spillo al termine di polpacci definiti e irsuti, potrebbe essere l’avanguardia di una cucina a suo modo rivoluzionaria, capace di superare il pensiero binario, in qualsiasi sua forma. La scena è un ristorantino aperto nel 2017 alla periferia di San José, Costarica, chiamato El Mundo de Noam, presto balzato agli onori della critica in un paese dove il fine dining è ancora embrionale: una trincea di cinque metri per sette, da cui sferrare l’assalto di esperienze e influenze personali. “Il mio cibo mi rappresenta completamente”, dice. “È un mix molto stravagante di ingredienti e stili che non dovrebbero andare insieme. Ma in qualche modo alla fine funziona e alla gente piace”.


Noam infatti è totalmente autodidatta, non ha mai frequentato scuole di cucina né lavorato in altri ristoranti, anche se con la famiglia frequentava regolarmente locali etnici e stellati a Bruxelles. “La mia vita è stata perfettamente ordinaria fino a qualche tempo fa”, racconta. “Ho studiato arte e scienze. Quando mi trucco, non adopero le regole classiche del make-up; allo stesso modo quando cucino, ignoro le tecniche classiche. Neppure le conosco, ma ho studiato scienze, storia, letteratura”. Il risultato è una cucina originale e personale, tanto autentica quanto renitente a qualsiasi ortodossia. Inizialmente il contrasto fra il contesto spartano del ristorante, l’outfit anticonformista dello chef e la bellezza dei piatti ha fatto sollevare qualche sopracciglio, ma ora la popolarità nelle classifiche è acquisita. Il concetto di base, rivendica, è la “cocreazione” con gli ospiti, che tiene sempre d’occhio per un feed-back costante, sul modello dei social media. “Cucino per loro, non per me”, dice.

Vedi il dessert di squame fritte di pesce con cannella, burro e zucchero di canna, più semi di avocado essiccati, gioco di consistenze fuori dagli schemi. E di fatto gli scarti sono protagonisti, comprese le foglie di barbabietola e carota di cui Noam fa incetta al mercato. Oppure il polpo della nonna, ricordo delle merende in cui questa preparava caffè e cioccolata calda. Quindi il mollusco cotto per almeno 8 ore nel caffè con cacao e curcuma, servito con purea di zucca, formaggio affumicato e noce moscata, più una spruzzata di salsa teriyaki a base di rum del Nicaragua.


“Il processo creativo della mia identità di genere è lo stesso del cibo. Si tratta di una co-creazione. Ho provato così tanti modi di vestirmi, da hippie a uomo d’affari, a hipster, ma è stato solo quando mi sono vestito da donna che le persone hanno iniziato a vedere il mio vero io in modo positivo. Come un artista, e quando la gente mi chiede perché lo faccio, non posso negare che uno dei motivi stia nel fatto che alla gente piace. Rispondono, abbiamo conversazioni sorprendenti. È molto coerente con ciò che faccio. Fin da piccolo pensavo a me da grande come una donna, ma non avevo mai sentito parlare di nessuno che fosse transgender; c’erano gli etero e i gay, ed io ero chiaramente attratto dagli uomini, facevo la vita che faceva un gay, ma avevo questa idea di essere una donna, che mettevo da parte”. Poi la visita a un pride a San José ha aperto una porta: Noam si è presentato truccato con i tacchi. Uscendo di casa pensavo: ‘Sembro un clown, non posso credere che lo sto facendo’, ma quando sono arrivato la gente ha iniziato a fotografarmi. All’inizio avevo paura che finire sui social compromettesse il mio lavoro, ma c’erano 200 persone in fila per fotografarsi con me. E ho pensato: ‘Alla gente piace davvero’. Poi un giorno ho visto un paio di scarpe col tacco e ho deciso di comprarle e truccarmi. Ho pensato: ‘Potrei essere aggredito, ma andrà bene’. Ed è andata bene. È stato il giorno più bello della mia vita. Sei o sette persone mi hanno fermato per dirmi: ‘ sei stupendo’. Non ero mai stato trattato così prima. È stato strabiliante. Avevo tanti conflitti quando mi vestivo da uomo. È così buffo. Se c’è una signora anziana che mi fissa a una fermata dell’autobus, semplicemente le dico: ‘Strano vero?’ Ridiamo e iniziamo a chiacchierare”.


“Ho sempre avuto questo concetto dell’integrazione dei contrari, dai miei TED talks al ristorante nella campagna selvaggia. Quando ho iniziato a vestirmi da donna, avevo paura che questo danneggiasse il mio nome, finché non ho avuto un’illuminazione e ho capito che era un’altra espressione di quello che sono. I giovani pensano che abbracciando il gender-fluid, entreranno in collisione con il mainstream e verranno emarginati. Ma non è quello che deve succedere. Per quanto tu possa essere strano, se abbracci il mainstream, il mainstream ti abbraccerà a sua volta e ti amerà. Uno penserebbe che io debba avere problemi qui in Costarica, invece mi fermano per strada per regalarmi i vestiti. Ovviamente c’è qualche discriminazione, ma il potere è con noi”.

Fonte: www.finedininglovers.com

Articolo originale: https://www.finedininglovers.com/article/noam-kostucki-gender-fluid-chef

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