Limpida è l’espressione di Ana Roš, un tipo autentico, una donna di quelle che potrebbero “tirarsela” e invece è tanto premiata, ricercata, reclamata quanto concreta, innamorata della sua terra e del suo lavoro.
La Storia
Ti sorprende il verde, da queste parti, un verde quanto mai accogliente, profumato, rassicurante. Soprattutto in tempi come questi nei quali sentirsi rassicurati è un bisogno primario, un nutrimento necessario. Di Caporetto, Kobarid in sloveno, ti fai un’idea solo quando ci arrivi e annusi la sua aria, limpida, pulita come l’acqua dell’Isonzo che qui si chiama Soča. Limpida è anche l’espressione di Ana Roš, un tipo autentico, una donna di quelle che potrebbero “tirarsela” e invece è tanto premiata, ricercata, reclamata quanto concreta, innamorata della sua terra e del suo lavoro. Una donna che è sensibile alla sofferenza. Perché essere chef in un mondo come quello che stiamo vivendo porta con sé un carico di pressioni importanti, complicate. Sabato 24 ottobre Hiša Franko ha dovuto richiudere i battenti: la data di riapertura era prevista per il 4 dicembre e qualora così fosse stato Ana avrebbe comunque dovuto rinunciare a parte della sua squadra: “ho il cuore a pezzi, ma non ho più carte da giocare per salvare tutte le posizioni”. Così non è stato e come per migliaia di suoi colleghi anche per lei il senso di indeterminatezza si è fatto strada, salvo il fatto che Ana non è una che ami darsi per vinta. L’ho incontrata a settembre, quando nulla lasciava presagire una recrudescenza così violenta, in una forma gastronomica strepitosa che avevo già sperimentato poche settimane prima a Tarvisio in occasione di Ein Prosit.Mi ha raccontato del suo viaggio in Asia e a New York e del lockdown arrivato immediatamente dopo: “è stato molto strano, perché eravamo appena partiti con un menu che faceva viaggiare la gente per il mondo, fatto di tecniche e approcci internazionali e ingredienti locali. I ragazzi non sono riusciti ad andare a casa, così siamo rimasti qui in trentacinque. I primi due giorni sono andati persi, perché a qualcuno che lavora così tanto come i cuochi è difficile dire ‘leggi tutto il giorno e riposa’. Ma soprattutto, non sapendo quanto tempo sarebbe dovuto durare, ci siamo organizzati velocemente. Ci siamo dati un orario disciplinato: la mattina alle dieci si iniziava la scuola e si finiva alle cinque del pomeriggio. Ognuno si doveva preparare su un tema differente, dalle fermentazioni al pane alle paste fino alle tecniche di abbinamento. Ne siamo usciti molto più preparati, sono nate idee e processi ai quali non avevamo avuto il giusto tempo da dedicare prima. Direi che dovremmo essere molto soddisfatti di noi stessi per aver resistito, perché comunque abbiamo sofferto: vissuti in gruppo, i sentimenti e le emozioni sono ancora più intensi. Ogni giorno qualcuno piangeva, qualcun altro rideva e tutti erano lontani da casa, sebbene lo siano sempre in quel momento era differente.” Ecco che allora ritorna obbligata un'altra chiusura, fatalmente forse ancora più dura della prima. “Se ho un sogno è quello di consolidare di nuovo il lavoro dopo tutte queste incertezze, perché siamo in una specie di rollercoaster per le nostre emozioni.”
Le montagne russe purtroppo non si sono fermate e anche Ana, sia pure tra le mille difficoltà note, si è data da fare. In attesa che torni la primavera e con lei un mondo più sereno, i progetti da Hiša Franko viaggiano spediti, a partire dallo shop online di prodotti della dispensa – di una bontà unica, va detto - tra i quali mieli, marmellate, tè di erbe dei prati sopra Caporetto, kimchi, un dulce de leche con latte d’alpeggio che non si smetterebbe mai di mangiare e altri ancora “partendo da una conoscenza di abbinamenti che sono creativi come sono creativa io”.
Poi ancora i formaggi affinati da Valter Kramar, mai troppo nominato co-artefice di un grande sistema, tra i quali il meraviglioso Tolminc di fossa e la sua selezione di vini.
Ma è l’impegno che Ana mette nei confronti della sua terra quello che risalta in modo chiaro e netto dalle sue azioni, in particolare la sua vicinanza ai contadini: “Sono nati progetti a cui pensavo da molto tempo e non avevo mai avuto modo di realizzare, come avvicinare i prodotti di questa campagna e delle persone che ci lavorano a ogni sloveno e magari un giorno a ogni europeo.” E tra i contadini di Ana ho avuto modo di conoscere una coppia davvero fuori dal coro come Jeanne e Matteo, canadese francofona lei, italiano lui. Ho camminato tra gli orti della loro proprietà coltivata in regime di agricoltura biodinamica in un piccolo villaggio a poco meno di un’ora da Caporetto: solo assaggiando direttamente dalle piante ho avuto modo di capire quanta concentrazione ci possa essere in un vegetale libero di crescere senza essere “violentato” da altro che dalla natura stessa: vale la pena conoscerli e seguirne i profili su Instagram (@foreign_farmers e @ashorthistoryofdk).
Allo stesso modo sono andato per boschi con il giovanissimo Miha Rustja, forager che mi ha fatto provare l’ebbrezza di scoprire quante e quali sfumature gustative si possano incontrare in un filo d’erba. Di fatto adesso gran parte degli ingredienti che compongono i piatti sono frutto di una filiera che Ana stessa ha di fatto costruito circondandosi di fornitori intorno a casa.
Foto di Suzan Gabrijan
I Piatti
Chiacchierando con lei è uscita una sua frase che non posso non sottoscrivere soprattutto quando sostiene quello che era al momento il suo stato di forma: “continuiamo ad andare avanti, anche tra le insicurezze che fanno nascere dubbi e stimolano e perciò secondo me qui da Hiša Franko non si è mai mangiato meglio, ma c’è ancora spazio per fare molto”.Sì, non si finisce mai, ma sarà difficile scordare questa cena di settembre. Perfetta, ma di quella perfezione calda, lontana da una bontà e da una bellezza di maniera, fatta di cura maniacale del dettaglio anche nella costruzione, a partire dal pane a lievitazione naturale.
Ricordi indelebili arrivano da alcuni piatti, in particolare dalle intense note balsamiche sprigionate dal brodo di mandorle di nocciolo di pesca, servito freddo con la stessa pesca, semi di pomodoro e dragoncello.
E poi la trota dal naso alla coda, cronaca di tre piccoli capolavori in cui si riassume il concetto di no-waste: la pelle del pesce d’acqua dolce resa croccante insieme a un’emulsione del fegato e la sua bottarga, il consommé all’aroma di verbena e infine il filetto servito con beurre blanc e uvaspina.
Solo il mais nixtamalizzato arriva dal Messico grazie alla mediazione di Leo (Leonardo Fonseca, prezioso head chef): con diversi mais sloveni va a comporre una tortilla incredibilmente buona. Al suo interno un finto guacamole con broccoli, levistico e uovo affumicato; indispensabile parte forte l’agnello di Dreznica, una sorta di pré-salé che viene immerso in acqua salata dove matura per poi essere servito crudo, condito con il suo grasso in riduzione come fosse un burro nocciola.
Anche la carne del filetto di capriolo appena scottato con un garum di polline e cera d’abete fermentati di estrema finezza è di grande, concentrata intensità e viene accompagnata da un’insalata di erbe d’alta quota e funghi di stagione.
Dal versante sloveno del Kanin arrivano invece i coni di pino mugo che si abbinano a latte acido, prugne secche e fiori di ibisco: un dessert di magnifica piacevolezza, in cui il dolce viene mitigato da un’elegantissima tannicità amaricante.
Foto di Suzan Gabrijan