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Corsi di cucina? “Non impari a cucinare su Zoom o Skype, questo è un mestiere gestuale": Guy Savoy ha parlato

di:
Alessandra Meldolesi
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guy savoy su covid

Perfino un mostro sacro come Guy Savoy confessa la sua inquietudine riguardo il futuro della ristorazione post pandemia, e perplesso ribadisce che la cucina è un mestiere fatto di gesti, non si può apprendere attraverso una video chat.

La Notizia

Perfino nella patria indiscussa della grande cucina, la Francia, le restrizioni che gravano sulla ristorazione sembrano non avere mai fine, contrariamente ad altri paesi, come il Giappone, parte degli USA e perfino la Spagna, dove i fornelli sono rimasti accesi, seppure con qualche limite. In mancanza di una data per la riapertura, il malessere serpeggia e la disobbedienza inizia a prendere piede.


Perfino un mostro sacro come Guy Savoy confessa la sua inquietudine in una lunga intervista: “Ho paura per la nostra professione, ho paura per il turismo, ho paura per le professioni che girano intorno a noi, ho paura per tutti i mestieri artistici. Questa confusione non è rassicurante. Viene da pensare a molte cose, che un giorno potremmo ritrovarci senza reddito, avendo esaurito le risorse, e allora che succede? Sì, sono angosciato”. E dei ristoranti clandestini, equivalente transalpino di #ioapro, dice: “Li capisco, anche io ci ho pensato, ci vorrebbe un vero movimento”.


Il ristorante è l’ultimo luogo civilizzato del pianeta, perché tutto è messo in opera per il benessere dei clienti e delle brigate. È un mondo che marcia all’unisono per dare piacere e per darsi piacere attraverso il lavoro ben fatto: squadre felici, ospiti felici dell’esperienza compiuta. Il proprietario è la persona più coinvolta di tutte, quella che anima i luoghi. E l’igiene è nel suo DNA, tanto che le misure sanitarie sono state in larga parte osservate. I ristoranti sono luoghi molto sicuri: i ristoratori vivono nei loro locali, la loro casa, che sia una caffetteria o un ristorante gastronomico. Quale motivazione più forte di questa per seguire le regole? Siamo luoghi più sicuri dei trasporti, tanto per fare un esempio. A Macron ho detto: Non sottovalutate la rabbia che monta. Abbiamo dietro di noi tutta la filiera, dagli artigiani ai fioristi, ai giovani in apprendistato. Siamo disperati, siamo numerosi e siamo in collera. Certo ci sono gli aiuti per tamponare l’emergenza, che però sono debito. Alla riapertura ci ritroveremo con una montagna di interessi da pagare. E non ci sono solo i costi fissi, ma le nostre vite, per le quali non esistono aiuti. In tutto questo l’asporto può aiutare a mantenere un legame con i nostri fornitori, che non sono abbandonati; con una parte delle squadre, in modo che a cucinare non siano sempre gli stessi e tutti restino collegati al gesto; con gli ospiti, contenti di ritrovare i piatti. Ma non può sostituire la magia di un pasto al ristorante, in cui ci si siede a tavola e ci si affida. In un bistrot come in uno stellato, i geni sono gli stessi: la voglia di dare piacere e vedere le persone felici”.


Ma quello della cucina è per Savoy un “mestiere gestuale”:Ci sono stagisti che sono rientrati in settembre per 2, 4, 6 mesi di stage mentre la scuola chiudeva. Ma questo non è un mestiere manuale, è un mestiere gestuale e se non avranno la possibilità di guardare i professionisti lavorare, non padroneggeranno i gesti. In cucina se non siamo padroni dei nostri gesti, la sanzione è immediata… ci tagliamo, ci bruciamo, ci sporchiamo… quindi il gesto ha un’importanza primordiale. Impossibile imparare a cucinare su zoom o su skype. È un lavoro in cui siamo immersi nella concretezza, la concretezza dei prodotti, la concretezza dei rapporti con i fornitori, la concretezza delle nostre squadre, la concretezza di questa trasformazione magica attraverso taglio, condimento, cottura… Non si sa mai cosa succederà: ogni servizio è una sfida. Ma questa magia del concreto è una droga”.


E ai suoi 55 dipendenti, nessuno dei quali ha contratto il virus, dice su zoom: “Siccome abbiamo lavori molto impegnativi, durante questi 6 mesi potete intraprendere qualcosa di personale, ‘approfittare’ di questo tempo libero per cercare di aprire nuove strade nella vostra vita personale, la scultura, il sassofono... Cose concrete per avere l’impressione di esistere. Ho avvertito le mie brigate che al momento della riapertura, non bisognerà contare sulle vacanze estive… alla ripresa se 10 ore di lavoro non dovessero bastare, ne faremo 12 o perfino 14. Dovremo essere uniti, positivi e combattivi”.


Personalmente non amo l’espressione ‘vivere col virus’, ma forse vivere a fianco sì; se non c’è altra soluzione, vorrei vivergli a fianco proteggendomi con tutti i mezzi, in modo che la vita riprenda il suo corso. Questo mondo che verrebbe dopo, di cui tutti parlano, io lo avevo già prima. Che cosa vorrebbe dire? Ho creato il mio mondo, il mio piccolo pezzo di pianeta, l’ho creato, l’ho modellato con le mie squadre, con il mio stile, la mia cucina… noi, i nostri collaboratori, i nostri ospiti abbiamo solo un desiderio: quello di ritrovarci in un mondo normale. Voglio fare un parallelo con il rugby, sport cui sono particolarmente affezionato: non è perché avete subito un placcaggio mostruoso, che tre minuti dopo non potete segnare. Bisogna sempre ricordare che ci sono fasi della vita da dimenticare, ma che dopo una prova molto dura può esserci un momento positivo”.



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