Mater Bistrot è un locale che possiamo definire fighetto al primo sguardo, informale al secondo, “famigliare” al terzo. In cucina c’è Alex Leone, uno poco soggetto alle regole dell’alta cucina, ma che pratica con efficacia, badando al contenuto del piatto.
Lo Chef
“C’è un altro fattore di cui tener conto nell’analisi. Ed è la minore predisposizione dei giovani che si approcciano al mondo del lavoro nell’accettare quello che per decenni è stata – semplicemente – la normalità. Entrare a far parte di questo mondo ha finora significato sacrificarsi per la causa. Era un patto non scritto ma evidente a chiunque abbia mai analizzato il settore. Turni lunghi, orari spezzati, impossibilità di avere una vita regolare, lavoro in giorni festivi: era tutto normale, tutto accettato, tutto sommessamente parte di una filiera disposta a sacrificarsi per il sacro fuoco dell’adrenalina che il lavoro in un locale porta con sé”. Le parole di Bourdain in Kitchen Confidential - testo che secondo la cancel culture dovrebbe essere macellato - suonano così calzanti anche oggi per un settore così poco regolamentato come la ristorazione.La dinamica del coprifuoco tuttavia, seppur nell’imposizione, ha portato a galla la necessità e la possibilità di aprire prima e di chiudere prima, lasciando intravedere scenari diversi rispetto alla pesantissima normalità della ristorazione. Qualche lezione o qualche sperimentazione si riesce a trarre da questo delirio del covid? Forse. Sugli orari di apertura ad esempio, sulla permanenza del cliente nel locale, sulle ore di lavoro dei dipendenti. Illazioni? Può essere. E non sono certo io la persona con il 100% di scienza infusa riguardo a questi argomenti.
Confesso che questa riflessione è nata a tavola, o meglio, dopo aver digerito e bene alcuni piatti di Alex Leone del Mater Bistrot, locale che possiamo definire fighetto al primo sguardo, informale al secondo, “famigliare” al terzo. Alex si preoccupa davvero per te, non di te, è un ragazzo madre con i tatuaggi. Mater eh eh...un locale in cui convive un menù degustazione che - udite, udite - non si deve ordinare per tutto il tavolo, con tapas e aperitivo. Siamo al terzo anno e passa di gestazione e possiamo dire che in bicicletta senza rotelle, anche su strade un po’ dissestate, se la viaggia bene.
Ad Alex la mano certo non manca - c’è anche quella del bravo Alessio Corvi come supporting evidence - e nemmeno uno spirito guascone e menefreghista. Alex è un mutaforma, uno che si adatta. Pugliese nato a Milano, frequenta il Carlo Porta e lì si forma a livello accademico. Inizia da Emilia e Carlo come pasticcere, ristorante toscano in cui è transitato anche Torretta. Pane e Acqua con lo chef Francesco Passalacqua e poi i Navigli, luogo che lo ha educato più della scuola. Luca e Andrea l’altro dapprima, 200 coperti al giorno tutti di cucina milanese. Un salto Al Coniglio Bianco in Vicolo Lavandai e poi quello nel buio, al Rebelot, legacy che stimola il suo percorso solista ancora oggi. Milano solo Milano. Eh già, ma in quale altra città puoi viaggiare tanto senza muoverti e incontrare così tanti e diversi approcci al cibo?
Alex è poco soggetto alle regole dell’alta cucina. La fa lo stesso, ci prova sempre. Va al sodo cioè al piatto, anche se spesso è lui a portare i bicchieri e i vini e a intavolare la prima chiacchierata con i clienti. La parlantina fluisce come in un brano rap, la logorrea per fortuna no. Una ragazza mentre si alza fa volteggiare il suo borsello pochettoso e cosa succede? Un bicchiere non riesce a evitarlo e finisce a terra. È a pezzi per non esserci riuscito.
Alex arriva e “Cos’è, non ti piaceva il vino?” Sdrammatizza. Anche il suo ruolo, sposando lo spirito del tempo, a volte troppo fluido. Lo stesso per cui molte ragazze e ragazzi non hanno più molta voglia di sacrificare le proprie esistenze all’altare dell’alta ristorazione. In nome della propria sostenibilità mentale? Sacrosanto.
L’esempio di Mater credo mostri come una sostenibiltà si riesca a trovare anche oggi. Certo, con obiettivi sostenibili. Un buon esempio per fare anche altri passi avanti verso barlumi di umanità per la disumanità connaturata dei ritmi di un ristorante, verso tutorial per i clienti invadenti e con poca visione periferica, verso un parziale adeguamento burocratico e legale ai normali standard della donna o dell’uomo lavoratore.
I Piatti
Come dicevamo, da Mater la scelta può cadere su un menù degustazione da 4,5 o 6 portate da consumare singolarmente senza l’imposizione per l’intero tavolo. C’è poi un menù alla carta con una parte dedicata al “con le mani” e ai piattini, stile cicchetti da mangiare accompagnati da un calice di vino, esclusivamente naturale.Alex è di questa scuola qui, cosa ci volete fare. Ci becchiamo sempre su questo argomento, ma senza risentimento. Io sono più ecumenico. Vini che odorano di buccia di salame mai rinvenuti. In sala anche Federica Amato, discreta, il bilanciamento di Alex. Sulla cucina è Mater, non quella di tua madre. C’è un twist in ogni piatto. A volte molto marcato, a volte più confortevole.
Prendiamo lo Spaghettone Verrigni, cedro arrosto e scampi crudi. È il piatto che sta vendendo di più adesso - probabilmente il menù sarà già cambiato perché Alex si stufa in fretta e i piatti nuovi gli vengono in mente come i travestimenti a Elio - non quello che piace di più allo chef, ma ai clienti sì e lui lo sa. Io l’ho divorato. Non siamo mica qui a pettinare le avanguardie.
Tornando agli antipasti, a quello che viene prima dei primi insomma, Porro, robiola, miele fermentato e quinoa, è una proposta veg golosa e saporita. Ci facciamo scappare anche l’espressione “equilibrio dei sapori”. Bella per chi lo cerca.
Seppia, patate, piselli e sesamo è la versione fusion del tradizionalissimo. Udon di seppia e brodo di patate. L’occhio si esalta, il palato un po’ meno. Manca lo schiaffo di sapore, la zoccolata di tua mater. E voi direte, ogni tanto ci sta anche una carezza. Ok, prendetevela con palato.
Altra cosa sono i Nervetti, cipolline, ravanelli e chutney di mango, un piatto stragoloso. Alex ci tiene a dire che la cottura del nervetto non è “gne-gne” che vuol dire non al dente. Le cartilagini si sciolgono in bocca, l’insieme è una zuppa libidinosa.
Tra i primi abbiamo assaggiato anche uno sferzante risotto, creato sulla croccantezza del Carnaroli di Matteo Boni, giovane produttore che lavora vicino alla Certosa di Pavia. Riso “Matteo Boni”, acqua di pomodoro, aglio nero, beurre blanc al pomodoro: un canvas bianco macchiato di rossonero. Lampi di acidità dati dall’acqua di pomodoro che crashano con la dolcezza e la balsamicità della crema di aglio nero.
Metti il diaframma in carta e non resisto. Durante il lockdown mi sono affezionato a questo taglio quasi dimenticato. L’ho cucinato con costanza e la sua intensità è ormai un bottone sinaptico, un nuovo ricordo. Qui è Diaframma, rabarbaro, rafano, biete: ematicità con un contrafforte di leggera acidità.
La Ricciola, beurre blanc, pompelmo e agretti è una mugnaia scomposta. Il trancio è generoso, marmoreo alla vista, lasciato quasi rosa in cottura. Ci viene il sospetto che ad Alex piaccia il burro, qui rinfrescato dal pompelmo. Sospetto confermato poco dopo, quando ce lo dice lui stesso. Da Mater non hanno una cella, conservano poco, lavorano il prodotto fresco, se ne fregano delle frollature lunghe, dei tempi biblici della ricerca. Cucinano d’istinto plasmandosi sui gusti o sulle fissazioni dei clienti. Più spesso è il contrario, per fortuna. Eppure vi capiterà più di una volta di vedere Alex accovacciato al tavolo. Voi direte che è per riposare le gambe, vero. Io ci vedo anche il piacere di mettersi allo stesso livello dei suoi clienti, solo così ci si entra in confidenza, solo così si può sperare di condurli ad esplorare qualcosa di sconosciuto.
Indirizzo
Mater BistrotIndirizzo: Via Pasquale Sottocorno, 1- 20129 (MI)
Tel. +39 02 9132 1602
Sito Web: materbistrot.it