Peppe Cutraro è il titolare della Migliore Pizzeria Europea del 2021 secondo 50 Top Pizza. Qui ci racconta perché ha portato all’estero una tonda diversa da quella partenopea, pur essendo nato e cresciuto a Napoli.
Ristorante Andreina
Il ristorante
Il fuoco è minaccia e benedizione. È un'arma da gestire con fermezza e parsimonia. Riuscire a domarlo perché impregni il cibo della sua scintilla senza colpo ferire richiede anni e anni di iniziazione ai misteri della brace, ma forse non basta una vita intera per trovare la giusta quadra. Oppure sì. Errico Recanati l'ha scoperto con gli occhi meravigliati del fanciullino in quello stadio infantile dove la curiosità fagocita il timore, guardando nonna Andreina alimentare le fiamme con zelo degno di una Vestale.
Oggi è un'appendice naturale del suo essere uomo e cuoco. Artista, artigiano, infaticabile Prometeo con mano da chirurgo, degno erede di quella donna tenace e a sua volta veterano della griglia arroventata -impossibile vederlo abbandonare la postazione di lavoro anche solo per una frazione di secondo durante il servizio- ha forgiato da sé un armentario di saperi (e sapori) capace di cogliere dritto nel segno. Obiettivo dichiarato: modulare il calore in funzione dell'ingrediente, generando variazioni infinitesimali di affumicatura. Un gioco di equilibrismo pirotecnico sul filo della fiamma che mixa scienza e memoria, impulso e raziocinio.
Scoperto il potere catartico del metodo di cottura più antico al mondo, lo chef ha mosso i primi passi nel locale di famiglia a Loreto, ex bottega per la mescita del vino e punto d'approdo prediletto dai cultori della cacciagione, imprimendo all'insegna una direzione nuova senza tradire la storicità degli spazi e la memoria delle generazioni precedenti.
Un labor limae colossale, non solo sul fronte gastronomico, tant'è che oggi parlare di fine dining pare quasi riduttivo: l'essenza di Andreina sta tutta nella sedimentazione di esperienze, nell' intreccio di vissuti che permea ogni dettaglio, dallo spiedo situato all'ingresso del locale alla cottura espressa effettuata in sala per mano di uno staff dalla verve contagiosa.
Al tavolo lo sguardo indugia sulle stampe monocromo e gli arredi agée di questa ex dimora colonica dal fascino discreto, mentre la signora Ave -madre di Errico e sommelier professionista, custode di una cantina tra le più fornite sul territorio marchigiano- saluta gli ospiti uno ad uno col sorriso di chi ha fatto dell’accoglienza la propria vocazione.
La cucina
Di Enrico, si diceva, colpisce in primis l’abnegazione: i suoi metodi per ingentilire, raffinare e armonizzare i sentori della brace sono il risultato di uno studio decennale. Studio sul campo tra griglie e carboni, grazie a cui ha plasmato un menu non tanto "di territorio", quanto "per il territorio", ben prima che la stagionalità diventasse un hot topic.
Oltre ai cappelli, sorta di coperchi a campana adagiati sulla griglia, nel corso del tempo i consueti attrezzi del mestiere sono stati via via affiancati da nuove dotazioni; l’ultimo è il contenitore per girare le caldarroste, con cui pratica la cottura dei molluschi quali cozze e vongole o della carne di coniglio avvolta in foglie di fico.
Ciò che non si è scritto, è che dedica gran parte del suo (poco) tempo libero a cercare online utensili di ogni foggia e dimensione: li acquista, li studia, li testa e li usa per creare un repertorio di piatti quanto più ampio e diversificato possibile. A conferma del fatto che il fanciullino è sempre lì, vigile e curioso. Oggi, però, si nutre di una consapevolezza diversa.
“Da qualche anno sto esplorando il potenziale espressivo del mondo vegetale e le varie consistenze che gli ortaggi acquistano in fase di cottura", spiega. "Ormai il menu si compone per il 98% di piatti alla brace, quindi è importante perfezionarlo affinché risulti sempre più organico e strutturato. La bellezza di questo metodo, e anche la sua insidia maggiore, è l'estrema variabilità del risultato: una risorsa che il cuoco può sfruttare al meglio solo lavorando di precisione".
L'esempio più calzante? "Il nostro carbone realizzato con i legni di montagna. Il bosco, popolato da decine di alberi diversi, restituisce spunti di profumo unici, condizionati dal passaggio da una stagione all'altra e dalle zone di raccolta. Per questo amo utilizzare specie con un aroma spiccato, come il faggio o il ginepro, senza altre aggiunte, o gherigli di mandorle e nocciole, che col calore sprigionano sentori quasi inesplorati. Avendo un punto di fuoco basso, la frutta secca richiede tutta una serie di accortezze in più rispetto a carboni performanti come il Binchotan, ma infonde sapori particolari al cibo". Provare per credere: ogni assaggio è una rivelazione.
I piatti
Da Andreina si può optare per il classico percorso degustazione -due le proposte in menu: Fumo (7 portate a 100€, con piatti "storici" e qualche novità) e Fiamme (10 portate a 125€, con le ultime creazioni dello chef) - oppure pescare dalla carta affidandosi ai consigli del personale di sala. Quale che sia la formula scelta, spezza il digiuno il Crostolo alla brace e lardo, un dischetto saporito che avvolge la lingua con burrosa disinvoltura.
Segue il gioco dell'ascolana da assemblare sul momento: un tris composto da tartare di carne, polvere di oliva tenera e pane fritto, con tanto di istruzioni e sacchetto per l'infarinatura del bocconcino. Il risultato è una versione scanzonata del noto finger food marchigiano che diverte a inizio pasto, poco prima di inforcare le posate. Non meno goloso l'assortimento dei lievitati, che spazia dalla rivisitazione della pizza umbra al pecorino e pepe -in versione tascabile, con sfoglia tesa e pasta fondente- al pane di patate e grano arso, accompagnato da burro alla cenere e lardo spalmabile.
Dopo l’Ostrica, pesca e senape -una boccata di iodio che scuote il cervello e accende la fame- il primo match si gioca sull'orto con la Lattuga alla brace, salsa di mandorla amara e caviale di trota e il Tacos di nocciole, cervo cotto nel fieno e miso, entrambi ritmati da un duetto di consistenze in cui la fluidità del topping bilancia perfettamente il crunch delle erbe - vedi la crema di frutta secca, nel primo assaggio, e la pasta di soia giapponese, nel secondo.
Notevole il benvenuto del menu Fiamme -Scampo, bottarga di carne, mango e burro acido- tutto incentrato sul binomio terra-mare, con la tonalità esotica del frutto a dare una sferzata di freschezza.
Anima la sala il servizio in due tempi del Pomodoro arrosto con gamberi, conditella e scottona bruciata ai carboni. "Un piatto nato a luglio quasi per gioco e divenuto un must nel giro di pochi mesi: lo ordinano tutti", confessa lo chef. Lo show inizia con la presentazione di un pomodoro fumante in cocotte, arrostito sulle graticole "come si faceva una volta nelle campagne marchigiane e condito con aglio, prezzemolo e basilico. Da contorno l'abbiamo trasformato in secondo aggiungendo i gamberi, per una spinta di freschezza in più, e un taglio come la scottona, che ha una marezzatura straordinaria".
Quest'ultima viene cotta direttamente nel carbone di legna davanti agli occhi stupefatti dei clienti. Dapprima il cibo pervade le vie nasali con i suoi effluvi. Poi è il turno delle papille, sedotte da un climax di licopene.
Il boccone è tattile, denso di stimoli: l'abbraccio fra animale e vegetale si allenta dolcemente lasciando spazio a una punta di umami ben dosata. Sorprende per finezza la texture della carne, resa tenera dalla marinatura nel burro alla cenere.
Fra gli evergreen di rito, la Cacio e 7 pepi, feticcio sconsacrato e ricomposto in una forchettata di stratificazioni gustative. Lo spaghetto Benedetto Cavalieri si presenta già perfettamente arrotolato intorno ai rebbi, pronto per l'assaggio, sublimando il cupolotto da 150 grammi in un mini-groviglio di puro piacere. "La pasta viene tuffata per 6 minuti in acqua bollente, contro i 18 necessari a terminare la cottura", spiega lo chef.
"Poi rimane per altri 6 minuti in acqua a 60-70 gradi, dove si stabilizza perdendo gran parte degli amidi. Segue il raffreddamento su canovacci asciutti e il trasferimento sulla griglia, monitorata con la massima attenzione". Così la superficie dello spaghetto caramellizza senza brunirsi, sviluppando una sottile patina croccante che suscita stupore e crea assuefazione.
Ma a fare della Cacio e 7 pepi un piccolo capolavoro di ingegno culinario è proprio il blend di aromi, aggiunti in grammature omeopatiche, perché l'obiettivo non è tanto quello di "rinforzare" i sapori, quanto di estrarli e concentrarli in un boccone. "La miscela definitiva di pepi, messa a punto nell'arco di 6 mesi, è frutto di un bilanciamento maniacale tra freschezza, piccantezza e dolcezza", spiega lo chef. Semplicità e complessità unite nell'evoluzione di un'icona immortale.
Più recente il Risotto con erbe di campo, radici e lepre, baluardo di cremosità in cui la parte ipogea della pianta imprime al chicco eleganza e spessore. Alla base un brodo di radici con cipolla arrostita; in cima un catalogo di specie dai sapori opposti e complementari. Qui la masticazione innesca un audace rituale di corteggiamento fra sentori erbacei e ferrosi, i primi a stringere i secondi in una morsa di clorofilla dal finale prolungato.
La lepre gioca a nascondino con l'amaro della cicoria, il dolciastro del tarassaco e la nota acidula del kefir “fatto in casa”. Un piatto che invoglia a raschiare il fondo per sorbire con voracità gli ultimi residui di condimento. Scarpetta tattica e il carboidrato cede il passo alla proteina: è la volta dei secondi.
Apre le danze il Fegato di rana pescatrice, marinato per una notte in latte e sale e scottato brevemente a bassa temperatura. L'ingrediente "segreto" è il caramello di pesca, "che prepariamo utilizzando una pentola a vapore coreana. Dopo 5 ore a fuoco basso si ottiene un succo concentrato con cui spennellare le interiora di pesce prima del passaggio sulla griglia". Altre pesche, saltate con cedrina, vengono aggiunte a parte insieme alla panna acida.
L'impressione è quella di mangiare una scaloppa di foie gras, tanto i sapori acquistano forza e complessità in fase di cottura. Amplifica il gusto la milza di agnello fatta essiccare per 5 giorni e grattugiata sul momento; un’aggiunta che conferisce alla carne l’aroma tipico del fungo porcino, terroso e persistente.
Accade l'opposto nella Faraona cotta da lontano, dove la carne, arrostita a 35 cm di distanza dal fuoco e spolverizzata di cenere, emana note piacevolmente soft. Succosa e sanguigna, la barbabietola invade il palato con piglio deciso, dando il là a un piacevole scambio di ruoli.
A far la spola fra dolce e salato, i Capellini d’angelo Benedetto Cavalieri, mandorla amara e mandolini: un nodo di bontà illusoria che svanisce all'istante per eccesso di golosità.
Sul finale, un piccolo prodigio: la Tarte tatin alle albicocche, trionfo di eleganza fumé in cui il rigore della pasticceria smorza il vigore della brace, temprando un dolce dalla profondità arcaica. "La sfida sta tutta nel trovare il metodo giusto per cuocerlo da ambo le parti", spiega lo chef. "Per ora l'operazione avviene su una griglia alta 12 cm, che a sua volta dista 4 dai carboni. La forza della fiamma va domata e calibrata fino a raggiungere l'intensità ideale, che arricchisce il dessert di sfumature senza coprire il sapore delicato del frutto".
Lambisce il tortino un rinfrancante gelato di panna con cedrina. Il morso, generoso e appagante, è come un bacio della buonanotte. A fine serata Errico saluta lo spiedo e lascia finalmente la postazione per qualche ora. "Ho colto dei fichi: domani andranno a sostituire le albicocche. Stiamo lavorando molto sui dolci". La brace si è spenta, ma il suo sguardo appassionato illumina la sala. È così che nascono le idee migliori.
Indirizzo
Ristorante Andreina
Via Buffolareccia, n 14 – Loreto (AN)
Tel.+39 071.970.124
Mail info@ristoranteandreina.it
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