Dopo 14 anni all’estero, il cuoco nato a Milano ma di origine calabrese che ha lavorato con i grandi della cucina, da Cracco a Marchesi, dal 3 dicembre guiderà una brigata tutta sua in “uno dei ristoranti più romantici d’Italia”.
La notizia
Lo ha ufficializzato lui stesso a inizio settimana sulla sua pagina Instagram: “Cari amici, con grande emozione vi annuncio, il mio ritorno professionale in Italia”. Tornare e partire, questo il paradosso del desiderio umano. Di una continua tensione all’infinito, in cui l’arrivo in un porto non sappiamo se sia un ritorno o una partenza, come l’Itaca di Ulisse, come la terra ladina per Simone Cantafio.A partire dal 3 dicembre, con l’inizio della stagione invernale, il cuoco trentacinquenne nato nell'hinterland milanese da entrambi genitori calabresi, dopo aver respirato il silenzio sull’isola di Hokkaido ha trovato la sua pace in un soleggiato paese in Alta Badia, presso la Stüa de Michil dell’Hotel La Perla a Corvara, già 1 stella Michelin. Cresciuto a polenta e parmigiana di melanzane, Simone dopo la scuola alberghiera si è traghettato fin da subito verso la professione di cuoco con una piccola parentesi in sala che, se non ci fosse stata, gli avrebbe cambiato sicuramente la vita. “Mio padre ne è convinto, almeno”, ironizza lui.
“Dopo l’esperienza da Cracco volevo a tutti i costi lavorare con Marchesi ma era difficilissimo entrare. Il Maestro mi propose la sala per iniziare. Stavo per rifiutare quando mio padre mi spinse ad accettare. Se quel giorno avessi detto di no, forse non sarei qui adesso”. Da quel gran rifiuto fortunatamente mancato, sono passati quasi 18 anni, il tempo di raggiungere la sua piena maturità, una dimensione itinerante nella quale Simone ha costruito un percorso brillante che lo ha portato lontano dall’Italia per 14 anni.
“I miei piatti avranno il sapore dei miei viaggi, di chi sono e da dove vengo. Da Carlo Cracco ho imparato lo stile; da Gualtiero Marchesi il bello e il buono della cucina italiana; a Michel e Sébastien Bras, con i quali ho trascorso un terzo della mia vita, devo il tratto di ispirazione vegetale e la lectio magistralis sintetizzabile nel concetto ‘la natura parla, l’esperienza traduce’; la purezza della cucina giapponese kaiseki, invece, mi ha insegnato a ragionare per sottrazione e familiarizzare con termini quali natura, stagioni, mondo vegetale, rispetto umano, sensibilità, armonia”.
E se sull’isola di Hokkaido non ha mai urlato una volta in cinque anni, anche sulle Dolomiti vuole fare altrettanto: immagina una cucina sussurrata, rispettosa di quei concetti ormai abusati che vanno oltre il territorio e la filiera corta, nel fascino intimo e accogliente di una stube di legno trasudante di storia, calata nel luogo che la Rossa racconta come “uno dei ristoranti più romantici d’Italia”. “Sicuramente quello con una delle più prestigiose cantine, tra l’altro visitabile”, aggiunge Simone. “Merito della lungimiranza del patron Michil Costa e di Paolo Baraldi, quest’ultimo memoria storica della Stüa da circa un decennio, un professionista che ha costruito una carta dei vini con pochi eguali in Italia”.
Un nuovo inizio che sembrava già scritto in quel libro che Gualtiero Marchesi donò a Simone pochi giorni prima della partenza del giovane per il Giappone, con tanto di dedica premonitrice: wabi sabi. Due parole scelte con cura, che esprimono un concetto derivante dalla dottrina buddista e sono uno dei pilastri della visione del mondo giapponese: wabi è la freschezza, il silenzio, la semplicità e sabi rappresenta la bellezza naturale delle cose, quella serenità che accompagna l’essere umano nel suo viaggio esperienziale. Un viaggio che Simone ha scelto di compiere con la sua nuova famiglia italo-giapponese, composta da sua moglie e la loro bambina, in una terra ladina dal respiro internazionale dove l’amore passa attraverso lo stomaco, come direbbero i tedeschi.
Foto: Crediti Hotel La Perla Corvara