Michel Bras Toya Japon, guidato dallo chef italiano Simone Cantafio, è il migliore ristorante al mondo per Opinionated About Dining Classical & Heritage 2016.
L'Intervista
Intervista a Simone Cantafio
Lido Vannucchi ha intervistato Simone Cantafio, lo chef italiano trentenne alla guida del ristorante Michel Bras Toya Japon, migliore al mondo per Opinionated About Dining Classical & Heritage 2016. Ecco cosa ci ha raccontato.
Simone Cantafio, una breve descrizione del ristorante in cui sei chef
Il ristorante che dirigo da novembre 2015 è il Michel Bras Toya Japon all’undicesimo piano del Windsor hotel, sull’isola di Hokkaido, collocato in una posizione direi unica al mondo, ossia con una sala che dà sul Lago di Toya, e una sull’oceano pacifico, e si possono vedere anche 3 vulcani, l’Hokkaido è la regione più incontaminata del Giappone, la natura è il cuore di questo territorio e tutte le attività a lei connesse come agricoltura, pesca e caccia sono tipiche di queste zone.
Il ristorante Michel Bras nasce nel 2002, e il primo chef prescelto da Michel Bras per la gestione e l’apertura è stato Alexandre Bourdasse, oggi 2 stelle Michelin in Francia. Dopo di lui si sono susseguiti altri Direttori/Chef e io oggi rappresento la sesta gestione, attualmente abbiamo 2 stelle Michelin ma non vi nascondo che da italiano ambizioso ho un sogno nel cassetto… Si può immaginare quale.
Michel e Sebastien Bras hanno scelto proprio Toya e l’Hokkaido perché come Laguiole, qui la natura e il territorio svolgono un ruolo importante per la vita del ristorante, le erbe, i fiori ma anche tutto quello che è vegetale anima il nostro menu tutto l’anno. La famiglia Bras viene qui a Toya due volte l’anno a maggio e a novembre per incontrare i nostri clienti e seguire da vicino l’evoluzione del ristorante.
Quanti anni hai, dove sei nato, da quanto fai il cuoco?
Il 5 maggio di quest’anno ho compiuto 30 anni; sono nato a Rho in provincia di Milano, ma sono cresciuto tra Calabria e Lombardia perché i miei genitori sono entrambi di origine calabrese.
La mia prima esperienza nel mondo dell’ospitalità risale a quando avevo 13 anni quando d’estate andavo ad aiutare al bar di mio zio Gregorio in Calabria e come spesso dico erano più le brioches che mangiavo che quelle che vendevo forse da lì, dal vedere la gente gustare e prendere un momento di piacere dalla colazione all’aperitivo e così via, nella mia mente è scattato qualcosa di magico. Poi la prima grande esperienza in un grande ristorante, uno stage estivo al Cracco Peck di Milano quando avevo 17 anni e andavo ancora alla scuola alberghiera di Milano. Il mio sogno era sempre stato Gualtiero Marchesi a Ebrusco, ma all’epoca entrare da lui era molto difficile, perciò dopo mesi di attesa ebbi un colloquio nel quale Marchesi in persona mi propose un posto da commis in sala per poi “forse” un giorno passare in cucina. Si può immaginare la mia reazione dopo 5 anni di scuola alberghiera, stage da Cracco in cucina, ora il Maestro mi metteva di fronte al dilemma della mia vita la sala e forse un posto nella più grande scuola di cucina italiana oppure tornare a casa e addio sogni!
In tutto ciò ci tengo a ringraziare mio papà Pasquale che all’epoca fu con me in albereta e senza esitare mi disse, “Simone accetta perché io a casa non ti ci riporto, al massimo torni a piedi” (erano circa 110 km). Benedico la sua reazione ogni giorno anche se all’epoca la rabbia era tantissima, ma mio padre con la sua lungimiranza capì che fare il commis di sala sarebbe stata la sola chiave per raggiungere una strada di successo. Feci circa 6 mesi il commis in sala per poi passare in cucina per ben 3 anni. Oggi con il Maestro Marchesi ho un rapporto davvero speciale: lui mi ha indirizzato in Francia in una cucina di rigore e di disciplina, quella di Georges Blanc, 3 stelle Michelin di Vonnas, ma questa è un’altra storia fatta di lacrime e successi.
Il nome del cuoco dalla cui cucina ti senti più distante e quello alla cui cucina ti senti più vicino.
Il più vicino senza dubbio è Michel Bras, insieme a Sebastien; sono loro che mi hanno cresciuto, hanno creduto in me e hanno puntato tutto sul quel ragazzino che a soli 24 anni si presentava a Laguiole con un francese pessimo ma una grinta unica, i Bras mi hanno formato e plasmato come dovevano, ossia da essere umano e da cuoco rigoroso esigente e attento al dettaglio.
Il cuoco dal quale mi sento più distante non ha nome ma è colui che crede di conoscere e sapere tutto, colui che squadra dall’alto verso il basso, colui che crede che la sua cucina sia la migliore, io come detto sono stato formato come cuoco ma anche come essere umano, perciò la parola rispetto è scolpita nei miei ideali di cucina.
Qual è la sensazione gustativa a cui non puoi rinunciare?
Questa domanda mi piace molto e la risposta è secca e rapida, l’acidità è il mio gusto preferito, anzi direi la mia sensazione preferita, il perché è semplice, sono cresciuto con tre grandi maestri che dell’acidità facevano il loro ago della bilancia, basti ricordare il sig. Marchesi con il burro acido, Georges Blanc con la salsa del pollo alla crema in cui il vino bianco era la nota più importante, e Michel Bras che nel suo gargouillou storico non manca mai una punta di acidità, l’acidità per me è l’accento in cucina, è la sfumatura migliore che un pittore possa creare perché quando c’è acidità c’è una pulizia, c’è una ripartenza, c’è un equilibrio tra passato e futuro… Avendo poi origini calabresi sono cresciuto tra agrumeti e limoni, quei profumi e quelle sensazioni me li porto nel cuore… Sì, l’acidità è la sensazione gustativa che non deve mai mancare nella mia cucina, in ogni sua sfumatura.
Perché il Giappone e cosa ti attrae del Giappone?
Ho viaggiato tanto in questi 15 anni di gavetta, oltre alla Francia e all’Italia sono stato 2 anni in Inghilterra a imparare l’inglese in un Hotel vicino Oxford, poi in Australia da Peter Gilmore, ma volevo chiudere con il Giappone perché la cosa che più mi attrae è la profondità della loro cultura, il rispetto delle tradizioni, il rispetto della trasmissione da maestro a giovane, ed essendo io cresciuto tra i mostri sacri della cucina mondiale volevo chiudere con il paese che forse più al mondo rappresenta l’essenza del lavoro del Cuoco. Consiglio a tutti un passaggio in questa terra anche se tengo a precisare che non è facile l’impatto tra culture occidentali e orientali.
Perché non in Italia e cosa ti attrae dell’Italia?
Ho lavorato duro e a testa bassa per circa 15 anni, senza sosta senza fermarmi perché avevo sete di imparare, avevo voglia di capire, e ora il mio desiderio maggiore, come per un grande attore, è di avere il palcoscenico più bello al mondo per esprimere me stesso, per tirare fuori 15 anni di silenzio e di “oui chef”, di momenti passati a stringere i denti e a vedere gli altri fare vacanze, weekend e feste… No, io avevo il mio sogno… E quando Michel mi ha proposto il palcoscenico di Toya per esprimere la mia essenza di cuoco… beh, non ho resistito!
Il filetto di rombo arrostito al burro demi sel, brunoise di pera Nashi, cetriolo e zenzero candito
La sella d'agnello di Akabira, purea di humus, millefoglie al filetto mignon d'agnello marinato al raz el hanout e cipolla, jus profumato al coriandolo fresco
L’Italia mi manca tanto, ma ho sempre detto che non mi interessa tornare per ostentare chi sono e cosa so fare, a me interessa il progetto, quello che ruota attorno al ristorante, l’idea che muove tutto deve essere unica, ho bisogno di sognare per far sognare, perciò ben venga l’Italia se il progetto sarà da sogno per me e per i miei clienti. Qui a Toya ogni mattina quando mi sveglio mi sento ancora come un bambino che ha voglia di creare scoprire e diventare grande, perciò sogno, e spero che i miei clienti possano avere la stessa sensazione.
Con quali cuochi italiani tuoi coetanei sei in contatto?
In questo momento ci sono molti cuochi trentenni miei coetanei con cui sono regolarmente in contatto perché siamo cresciuti insieme, e che per me sono amici prima che colleghi, come Arcangelo Tinari di Villa Maiella, Alberto Buratti di Koiné, Giacomo Sacchetto di Casa Perbellini, Luca Abruzzino del Ristorante Abruzzino, Michelangelo Mammoliti de La Madernassa e molti altri. Sono certo che questo gruppo sarà il futuro della gastronomia italiana. Sognare, mai smettere di sognare, è il nostro motto!
La millefoglie di patate e sesamo, purea di rutabaga e salmerino marinato alla liquirizia e erbe invernali
Se tu volessi fare una grande cena quale cuoco Italiano porteresti nella tua cucina?
Non ho mai lavorato con lui, ma il cuoco italiano a cui mi sento più legato è Enrico Crippa. Ci siamo conosciuti anni fa tramite Michel Bras, e da lì è nata un’amicizia unica. È il modello di cuoco che ho sempre sognato, umile, geniale ma cuoco prima di tutto. Mi ha supportato nella scelta del Giappone ed è una sorta di Padrino Spirituale che mi ha presentato Michel Bras e mi sono subito legato a lui, ogni volta che torno in Italia vado a trovarlo e ci sentiamo via e mail, è un vero punto di riferimento, e la sua cucina è unica.
Raccontaci il cibo.
Sono nato da genitori calabresi, fino all’adolescenza ho trascorso ogni estate in Calabria, con mia nonna i miei zii, tra la campagna e il mare, ma soprattutto tra il buon cibo, quello ricco non in senso economico, ricco di genuinità. Ogni volta che incontro il mio macellaio, Silvio di Pianopoli, mi dice: “Simone, un capocollo così in Giappone non lo capiscono, è un’opera d’arte…” Sono cresciuto a pane e salame, ma il pane era cotto nel forno a legna, il salame veniva preparato in inverno e asciugato lentamente, sono cresciuto con la parmigiana di melanzane di mia nonna Tommasina e la frittura di alborelle di nonna Giovanna, gusti decisi che si imprimono in testa e non si dimenticano più. Amo il sud ma anche il nord, i risotti di mia mamma Patrizia fatti con i funghi porcini, o la salsiccia e lo zafferano, l’ossobuco e le verze stufate. Una cucina semplice, vera, quella che nasce al mercato, sì al mercato dove andavo ogni sabato con mio padre, preferivo stare in panchina quando giocavo a calcio nella squadra del paese, ma non rinunciavo ad andare al mercato il sabato mattina con papà.
Scaloppa di fegato grasso cotta alla plancia, una mousseline alla zucca e finferli sott'aceto con nougatine alla nocciola e le insalate autunnali del giardino di MR. KImora
Un rituale unico che Michel Bras mi ha fatto riscoprire qualche anno più tardi, alle 3 e trenta del mattino a Rodez, indescrivibile l’emozione di essere i primi al mercato, è come essere sotto il palco di un concerto di Vasco Rossi, ti senti privilegiato, io potevo scegliere il top, poco importava l’orario, l’importante era avere il meglio ogni giorno. Che profumo i pomodori e i mazzi di basilico appena scaricati dal camion della verdura, che bello vedere i meloni ancora freddi della nottata sui banchi del mercato, che emozione raccogliere i prodotti che la natura ci offre! Queste sensazioni poi le riporti in cucina e cerchi di trasmetterle ai clienti, perché questo mi è stato insegnato, ed è ciò che oggi faccio qui a Toya.
Non parliamo di te, parliamo di cucina.
È molto difficile separare i due argomenti, perché come mi dice a volte il medico: “Simone, hai bisogno di un hobby!” Io rispondo che ne ho tanti, la verdura, la carne, il pesce, più di così!
A parte gli scherzi, tempo fa Ezio Santin, che stimo tantissimo mi scrisse dicendomi che secondo lui sono un predestinato. Questo non posso dirlo, ma posso solo dire che più vado avanti più sono affascinato dalla mia storia, ma come ogni storia nasce da un momento buio, duro, da cui sono rinato più forte e più motivato. Quattro anni fa quando ero a Laguiole, mi giunse una telefonata, erano i miei parenti dall’Italia, mia mamma Patrizia aveva avuto un arresto cardiaco a soli 53 anni, si era spenta, e la sofferenza che ho provato in quel momento è indescrivibile.
Ma dopo qualche giorno mi sono venute in mente tutte le mattine in cui mamma Patrizia si svegliava per stirami la giacca da cuoco, anche alle 4 del mattino, e la domenica mi aspettava sul balcone, tornavo da lei tornavo per riabbracciarla. Mi ha dato la vita, mi ha dato tanti insegnamenti, e cosa più importante mi ha insegnato a non perdere mai la fiducia neanche nei momenti più duri… Mamma Patrizia e io sappiamo dove voglio arrivare, e spero un giorno di poter realizzare il nostro sogno!
Perché dovremmo mettere dei soldi da parte, compare un volo, venire in Giappone e sedere al tuo tavolo?
Quando sono arrivato qui a Toya non pensavo potesse esserci al mondo un luogo così intenso, così puro, magico. Poter degustare una cucina di eccellenza in un luogo magico, in cui puoi assistere a un tramonto sull’oceano o vedere le nuvole cambiare colore sul lago…
Beh la natura non ha bisogno di descrizioni, dico solo che poter assaporare una cucina fatta col cuore, una cucina vera, naturale fatta di ingredienti locali, fatta di tecnica ma soprattutto di amore per il territorio e per il proprio lavoro… questi due ingredienti, un panorama mozzafiato e una cucina appassionante sono unici per rendere un’esperienza indimenticabile.
Ogni tanto alcuni giornalisti mi chiedono come faccio a vivere in un luogo come questo, in mezzo al nulla. Io allora li prendo per mano e chiedo di fare silenzio, di guardarsi intorno, poi li porto sul nostro balcone, l’unico punto in cui ammirare l’oceano e il lago, il vulcano e la foresta di Toya… un vero paradiso. Se per loro questo è il nulla, beh, allora io voglio vivere nel nulla! Ecco perché bisognerebbe venire qui a Toya, perché a volte il nulla può nascondere l’emozione più grande.
Intervista di Lido Vannucchi a Simone Cantafio
Indirizzo
Michel Bras Toya Japon c/o The Windsor Hotel TOYAShimizu, Toyako-cho, Abuta-gun, Hokkaido, 049-5722 Japan
Tel. +81-142-73-1111
Il sito web del ristorante Michel Bras Toya Japon