Dagli approvvigionamenti alla selezione del personale, dagli standard durante il servizio alla salvaguardia dello stile della casa, le loro responsabilità sono totali. Ecco tutti i nomi e gli identikit dei sous-chef che affiancano i numeri 1 della ristorazione mondiale.
La notizia
Senza di loro, nessuna eccellenza. Che formalmente siano sous-chef o chef executive, quasi sempre mandano avanti le cucine più importanti del mondo. Soprattutto oggi che gli star chef accumulano ristoranti come caselle del Monopoli, fin su diversi continenti, e non hanno un attimo di tregua o un buco in agenda, impegnati come sono nell’ordire nuovi business, presenziare a meeting, sudare davanti alle telecamere, controllare i follower su Instagram, piroettare agli eventi del settore.È il caso di Paul Genthon, da un mese spalla di Hélène Darroze al parigino Marsan (e prima di Jean-Luc Rabanel), oppure di Marco Zampese, suo vice a The Connaught, in brigata da 8 anni. Le loro responsabilità sono totali, dagli approvvigionamenti alla selezione del personale, dagli standard durante il servizio alla salvaguardia dello stile della casa, fin negli infimi dettagli. Ma non basta. Se l’idea spesso balena dalle fantasie dei capi, la quadra della ricetta viene trovata insieme. Per esempio come sposare il foie gras, feticcio del sud-ouest, con la marmellata amara di limoni e le alghe.
Troppa acidità per la Darroze, desiderosa di maggiore rotondità, magari attraverso un po’ di zucchero. “Allora abbiamo rilavorato la polpa di limone, cercando una maggiore dolcezza, e ho provato qualcosa con la lattuga di mare e la salicornia”, racconta Genthon. Poi a un certo punto la bionda lo ha fissato perplessa: “Che cosa c’è lì dentro? Del levistico? Si può usare ma fatico, come col melone e il cocomero” … Genthon, che sta imparando a conoscerla, continua a prendere appunti su appunto. “Non c’è piatto che esca dalle cucine senza che l’abbia assaggiato”, dichiara lei. “È una questione di onestà. Ma quando il ristorante apre, sarebbe frustrante per il mio secondo se restassi tutto il tempo alle sua calcagna”.
I salari, in Francia, non sono niente male: per uno stellato la media è di 2500 euro, che salgono fino a 7000 nei palaces. I nomi tuttavia restano musica per gli addetti ai lavori; la mission quella di non farsi notare. E sono pedine che si spostano in modo imprevedibile: il secondo di Jean Imbert al Plaza Athénée, per esempio, si chiama Jocelyn Herland e ha già officiato con Ducasse a Le Meurice e al Dorchester. Mentre a dirigere le cucine del nuovo ristorante di Versailles, Le Grand Contrôle, è Stéphane Duchiron, che racconta di avere incontrato il grande chef in veste di cliente nel suo stabilimento Les Fougères.
Del Resto Ducasse, alla testa di 50 realtà, comprese cioccolaterie, gelaterie e manifatture varie, si concepisce ormai come un “direttore artistico” e non cucina praticamente più, limitandosi a fornire le linee direttrici agli chef con cui si sente in sintonia. Le carte che Duchiron progetta per il pranzo e la cena a Versailles sono controllate e testate personalmente da Ducasse. Duchiron sa bene quanto ami il mare, un’acidità ben padroneggiata, il movimento nel piatto, un bel condimento; ma ha dovuto frenare la sua predilezione per la selvaggina, che pensava consona ai luoghi, in favore del vegetale.
I rapporti fra uno chef e il suo secondo, riconosce Pierre Hermé a proposito di Christophe Drapier, suo alter ego in Giappone, sono quasi fusionali, talvolta perfino filiali, grazie alle interminabili ore spese insieme e al romanzo di formazione che si instaura.
Fonte: lemonde.fr
Foto di copertina: Getty Images