Anthony Genovese continua a sorprendere grazie ad una proposta gastronomica che punta su gusto, equilibrio e tecnica. “La curiosità è la molla della sperimentazione”.
Il Pagliaccio di Anthony Genovese
La Storia
“Ingegno, predisposizione, capacità e doti intellettuali rilevanti in quanto naturali e intese a particolari attività”: la definizione di talento esplica in modo esauriente quanto possa essere preziosa questa capacità che permette ad una persona di valorizzare ciò con cui si relaziona, o cimenta. Una dote rara spesso menzionata in ambito sportivo o artistico, e che da sempre ha dato vita ad un dibattito molto interessante: il talento può esaurirsi? Crediamo sia capitato a tutti, osservando la carriera di un musicista, di un attore, di un calciatore o comunque di una persona talentuosa a prescindere dall’ambito, di notare come sovente nel tempo la qualità di un brano, di un film, di un dipinto o di una punizione sia venuta a mancare.
Una caratteristica non necessariamente correlata all’età ma piuttosto al tempo, come se una determinata quantità di talento dovesse prima o poi andare a finire perché utilizzata più o meno intensamente per creare, produrre, originare ciò che crea stupore in chi osserva. Esistono però delle eccezioni a questa regola, “artisti” nel senso più ampio del termine capaci di riuscire a sorprendere in ogni momento della loro vita, come fossero in possesso di un talento che non conosce limiti.
Una riflessione resa attuale da una delle ultime esperienze gastronomiche capitoline, un pranzo da Il Pagliaccio**, il ristorante guidato da Anthony Genovese. Nato in Francia da genitori calabresi, una vita spesa tra le più importanti cucine di tutte il mondo lungo un percorso caratterizzato dalla fondamentale influenza della cultura culinaria orientale, che ha fatto divenire le spezie un elemento imprescindibile delle sue creazioni. Un uomo riconosciuto in maniera plebiscitaria quale straordinario maestro capace di trasmettere la sua conoscenza al nutrito “battaglione” di allievi che ha colonizzato la scena gastronomica romana, da Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice (Retrobottega) a Antonio Ziantoni (Zia Restaurant*), passando per Tommaso Tonioni e tanti altri ragazzi e ragazze.
Un cuoco capace di rinnovare stagione dopo stagione la propria cucina evidenziando una innata capacità di trovare soluzioni innovative, che però seguono un filo conduttore immutato nel tempo: eleganza e consapevolezza per rendere riconoscibile un percorso gastronomico che cerca pieno significato nel gusto, nell’equilibrio e nella tecnica.
Una dimostrazione di come in alcuni casi il talento non conosca limiti: “Può capitare a chef dalla carriera importante di restare bloccati dal punto di vista creativo dopo tanti anni, una sorta di ‘blocco dello scrittore’ che non permette di uscire dalla propria comfort zone. Tempo fa ho letto ‘Il Perfezionista’, libro che racconta la vita di Bernard Loiseau, uno dei più celebri cuochi francesi, detentore delle ambitissime tre stelle sulla Guida Michelin. Un testo che mi ha colpito per tanti motivi e che mi ha fatto capire che strada seguire, quali stimoli cercare. La voglia di conoscere cose nuove è la molla che mi consente di continuare a sperimentare alla ricerca di abbinamenti che possano essere unici ed originali” ci confida Genovese. “Il Pagliaccio è più vivo che mai, lo sento dall’entusiasmo della brigata, dall’energia del team di Sala, dal confronto con i clienti, dalle gratificazioni che giungono per i componenti di questo straordinario gruppo”.
Il Ristorante
Cosa consente d’esser credibili? Molto probabilmente la capacità di essere coerenti sempre, senza esitazioni, per conseguire risultati il cui valore resti immutato nel tempo. Il Pagliaccio e Genovese sono credibili grazie alla combinazione vincente che unisce talento e lungimiranza, per poter consentire alla propria proposta gastronomica di risultare attuale in ogni istante. Questa ‘filosofia aziendale’ ha trovato nuova forma grazie a 4 percorsi degustazione a sorpresa, ed all’assenza del menu a la carte.
Si parte con Circus, “un percorso da oriente ad occidente che non conosce confini, ma legami di emozioni e sapori incentrati sul piatto” (10 portate a 190 euro), per poi proseguire con Orme, “sentimento, calore e contatto di un viaggio che traccia la via di casa, costellata di fermate che richiamano ricordi” (8 portate a 170 euro), quindi Terrae, una “esperienza di rispetto dell’ingrediente” (6 portate a 150 euro) e chiudere con Intermezzo, “un bivio essenziale, tappe elementari di esperienze leggere” (4 portate a 100 euro, disponibile solo a pranzo).
In questo meccanismo così ben oleato ed apprezzato dalla clientela e dagli addetti ai lavori (l’edizione 2022 della Guida Michelin ha assegnato a Matteo Zappile, direttore de Il Pagliaccio, il riconoscimento per il miglior servizio di sala d’Italia) Genovese continua quindi a rinnovare la proposta gastronomica facendo però in modo che la sua filosofia culinaria risulti sempre riconoscibile, coerente e quindi credibile.
L’espressione di questo approccio è rappresentata dall’assenza di piatti banali, da un percorso sempre interessante, stimolante, creativo: “Matteo ed io riusciamo oramai a lavorare in perfetta sintonia, curando ogni singolo dettaglio, coinvolgendo tutti gli elementi del team nelle scelte quotidiane, da quelle legate alle materie prime al tipo di approccio con il cliente, dagli abbinamenti tra piatti e beverage al modo in cui comunichiamo all’esterno la nostra realtà” sottolinea Anthony. L’insieme di gesti e scelte contribuisce a rinnovare il fascino di uno spazio di grande eleganza, arredato con gusto e per sottrazione, rendendo così speciale ogni singolo elemento che fa parte dell’ambiente principale de Il Pagliaccio.
Ma è naturalmente a tavola che il talento trova massima espressione, confermando la sua grande intensità e la capacità di creare un percorso armonioso e logico al tempo stesso, sin dal primo momento, quello rappresentato dal Benvenuto che ha i sapori e i colori dell’avena, del miso e del tè verde, e di una vera e propria “esperienza nell’esperienza” grazie ad un inizio ricco di proposte intriganti, una sorta di manifesto della filosofia gastronomica di Anthony Genovese. Qui trovano spazio abbinamenti tra birra e arancia, tra topinambur e banana, tra arancia e zucca, ma anche un estratto di sedano rapa e alcune pregevoli soluzioni tecniche che consentono di reinterpretare ricette e preparazioni di altri paesi donando una veste personale e intima che nasce dall’ispirazione di Genovese.
I Piatti
La successiva fase del pranzo consente di assaggiare piatti nei quali è possibile ritrovare sensibilità, gusto ed equilibrio. Accade nel caso del Chawanmushi, un flan di uova e acqua di cannolicchi, julienne di cannolicchi crudi e rapa rossa cotta sotto sale e alghe, finito con olio all’erba cipollina e finocchietto, crema di limone arrosto, erba cipollina e finocchietto tritato, che sorprende per l’armonia al palato, e con Il Cavolfiore, un cavolfiore al cartoccio cotto con olio sale e burro, laccato con il latticello, al lato crema di castagne fermentate e gocce di saba, ribes sott’aceto, piatto che colpisce per la capacità dello chef nel donare “spessore” gustativo al vegetale.
La portata seguente, Il volo al mare (Carpaccio di piccione crudo marinato con sale di acciughe e affumicato, laccato con salsa XO e ricoperto dalla pelle di piccione croccante, fette di abalone cotto a vapore finito con foglie di oxalis) mostra una inedita e riuscita interpretazione di un classico ingrediente dell’alta cucina, corroborato dal piacevole paté di fegatini di piccione lavorati con cognac e mirtilli, polvere di pepe lungo e mirtillo sotto spirito e dal Brodo di piccione e gocce di whisky.
Si torna poi in Oriente con Rosso Noodles, rapa, salmone e sumac, dei noodles mantecati con burro di rapa rossa, cassis e acqua di alloro sopra polvere di kimchi, sumac e pepe rosa, finiti con uova di salmone e serviti (volutamente) ad una temperatura bassa che però non preclude l’avvolgenza del boccone.
Segue un altro primo, Il coniglio e l’anemone, dei ravioli di farina di lenticchie con ragù di cosce e spalle di coniglio marinati in acqua di mare e cotti sottovuoto con timo, limone e finocchietto. Sopra i ravioli troviamo invece un’insalata di finocchietto marino e alghe, ed infine alla base telline e lupini panati nella polvere di pane tostato e nero di seppia. Piatto molto complesso che mostra la voglia di Genovese d’uscire dalla comfort zone con proposte tutt’altro che banali.
L’Animella di vitello, una animella arrosto servita con latte di pinoli e laccata con jus di vitello, fette di mandarino caramellato e insalatina di rucola selvatica sbollentata, è probabilmente il piatto del giorno grazie ad una cottura senza eguali che consente all’animella di esprimere tutto il suo potenziale per gusto e consistenza.
In dirittura d’arrivo giunge il Porro, pistacchio e lemongrass, un porro cotto al bbq, quindi laccato al pistacchio di Bronte soia e mirin, coperto con polvere di porro fermentato pistacchio e caffe verde del Guatemala (azienda Agust) e con alla base emulsione di lemongrass, acqua di porro e cocco. Altra proposta eccellente per la capacità di donare ad un ingrediente apparentemente semplice una stratificazione di sapori da far saltare il palato.
Idea di formaggio, una bavarese al caprino con granita al vermut, chutney di pere e spuma di latte e verbena, è un divertente intermezzo che ci conduce a Il Raviolo, pasta all’uovo ripiena di zucca e mandorla a pezzi, liquore all’ amaretto, vino bianco, con sopra nocciole tostate e polvere di amaretto. Il raviolo è passato nella beurre noisette, succo di limone, arancia e vaniglia ed è servito con alla base una sbriciolata di pasta sfoglia, con gelato all’amaretto e semi di zucca caramellati. Un dessert vincente per presentazione, gusto ed effetto sorpresa, una armonica unione di dolcezza e asprezza.
Un percorso così interessante non poteva che essere accompagnato da una selezione di vini di altissimo livello; selezione che ha compreso lo Champagne Blanc de Blancs grand cru di Bruno Paillard, il “Podium V.23” Verdicchio dei Castelli di Jesi classico superiore 2015 di Garofoli, il “Vittorio” Greco di Tufo selezione 2007 dell’Azienda Agricola di Meo, il “Sacrisassi” 2018 di Le Due Terre, il Ninki Gold Sake e in chiusura il Tokaji 5 puttonyos 2004 – Chateau Imperial Tokaji.
Foto: Crediti Aromi Group