Fra i protagonisti della gastronomia latina c’è Rodolfo Guzmán, colui che ha messo il Cile sulle mappe dei gourmet. Dagli umili inizi come sguattero negli Stati Uniti, all’apertura di “Boragò” con la sua straordinaria cucina endemica. La rivoluzione dello chef, ispirata dal patrimonio indigeno e dai prodotti autoctoni, gli è valsa diversi riconoscimenti, tra cui il Sustainable Restaurant Award tra i 50 migliori ristoranti dell’America Latina nel 2018 e 2021.
Rodolfo Guzmán nasce a Santiago, in Cile, nel 1978. Inizialmente pensa ad altre carriere e si iscrive a Ingegneria gestionale, ma dopo appena un anno si ritira, nel frattempo pratica lo sci acquatico, suo grande hobby, dedicando alla cucina solo qualche ritaglio di tempo. È proprio un incidente occorsogli mentre sfreccia sulle onde a convincerlo a cambiare vita: a sorpresa decide di studiare cucina presso un istituto professionale a Santiago.
Dopo il diploma gli esordi sono più che modesti: Guzmán parte per gli Stati Uniti e qui lavora come sguattero e cameriere in piccoli ristoranti. Poi sente l’esigenza di rimettersi in gioco alla ricerca di maggiori soddisfazioni e finisce in Spagna, non in un luogo qualunque, ma al “Mugaritz” di Andoni Luis Aduriz, che gli cambierà la vita. Qui riceve la sua vera e propria formazione alla gastronomia in chiave tecnica e creativa. È un apprendista che non si ferma, assorbe, immagina e crea, sviluppando quelle idee che lo accompagneranno durante la sua crescita come professionista.
Nel 2006 si sente pronto per tornare in patria, dove inizia a censire e classificare gli ingredienti della cosiddetta “dispensa endemica cilena”, documentandone gli usi e le proprietà. Lo stesso anno apre “Boragò”.
Davanti a lui si apre un campo di possibilità sterminato: può esplorare nuovi metodi di elaborazione e di cottura per alimenti che nessuno ha mai preso in considerazione, a causa della mancanza di storicità della cucina cilena.
Nasce così una nuova tradizione, in simbiosi con lo straordinario patrimonio naturale e umano di un paese immenso e sfaccettato, in via di rinascita dopo decenni tormentati. La cucina è 100% autoctona, negli ingredienti e nei concetti. Ed è per questo che la risposta iniziale della clientela, abituata al foie gras e alle delizie di importazione, è scettica. Di fatto “Boragò” rimane vuoto per anni, troppo in anticipo su una rivoluzione che deve ancora iniziare.
La situazione comincia a cambiare nel 2013, quando il ristorante appare nella lista dei Migliori Ristoranti del Cile: la svolta tanto attesa, il premio per non essersi arreso. Quella cucina anticonformista e rivoluzionaria ha finalmente i riflettori puntati addosso, comincia ad attirare critici e gourmet da tutto il mondo, curiosi di immergersi in un’alterità culturale e gastronomica incontaminata. Due anni dopo, nel 2015, “Boragò” si classifica al secondo posto fra i Migliori ristoranti dell’America Latina e conquista il 42° posto nella classifica mondiale dei 50 Best Restaurants, ma negli anni continua a salire, arrivando al 30° posto nel 2023.
Guzmán parla di “cucina endemica” un approccio olistico a proposito della messa in valore delle risorse naturali presenti nel paese, perfino l’acqua pluviale della Paragonia. Gli sforzi dello chef sono valsi il Sustainable Restaurant Award tra i 50 migliori ristoranti dell’America Latina nel 2018, edizione inaugurale, e nel 2021.
Nel 2019 “Boragò” si sposta ai piedi del colle Manquehue che svetta sulla valle di Santiago. Guzmán si porta dietro la rete costruita negli anni con 200 persone tra cuochi e camerieri, piccoli produttori e raccoglitori, al fine di sostenere in chiave di sostenibilità le comunità locali. Così accanto alla nuova sede nasce anche il Centro di Ricerca gastronomico del Cile, dove lo chef sperimenta per il ristorante.
Ormai “Boragò” è indiscutibilmente il ristorante più importante del Cile, nonché l’apripista di un nuovo approccio alla gastronomia per i popoli latini, messo a fuoco nel libro “Coming from the South”. Guzman mantiene la barra dritta, anche al punto da essere chiamato in Italia per una masterclass all’Alma, si emoziona ma non si monta la testa. Lascia che sia la sua cucina a parlare, il resto è orgoglio per il lavoro compiuto e per aver ridato il giusto lustro al paese.