Dici “mostro sacro” e vedi Pierre Gagnaire: 15 ristoranti e 12 stelle Michelin a coronarne molti. Un successo mondiale per un figlio d’arte che all’inizio non era neanche così entusiasta dell’eredità del padre. “Messo davanti a un fornello senza desiderarlo veramente, ho subito la cucina e le tecniche mi hanno subito”, talentuoso e carismatico, Pierre non poteva che aver successo.
Pierre Gagnaire nasce il 9 aprile 1950 ad Apinac, nella regione della Loira. Suo padre è un ristoratore affermato, alla testa del “Clos Fleuri” di Saint-Priest-en-Jarez. E fin da piccolo in casa l’antifona è una sola: “diventerai un cuoco e riprenderai il locale di famiglia”. Lui a dire il vero non manifesta entusiasmo, pur tuttavia si rassegna docilmente a quello che sembra un destino già scritto e inizia a dare una mano in pasticceria. Seguono le prime esperienze qua e là: un’estate da Paul Bocuse, un passaggio a Lione da Jean Vignard, che ha già formato Alain Chapel e di cui sarà l’ultimo apprendista. Un mago delle cotture, che lo colpisce ma non lo rapisce. Lui prosegue la sua educazione, scopre nuove maison, eppure fatica ancora a entusiasmarsi.
È il 1973 quando a ventitré anni fa ritorno, figliol prodigo, a Saint-Priest-en-Jarez, dove il padre da diversi anni detiene la stella Michelin. Tutt’intorno la cucina francese è in subbuglio: c’è un manipolo di giovani chef che sta mettendo in discussione la gastronomia costituita, con il supporto degli agitatori Henri Gault e Christian Millau. L’ancor più giovane Gagnaire è incuriosito dall’audacia di Paul Bocuse e Alain Chapel, Jean e Pierre Troisgros. Pur non iscrivendosi nei ranghi della nouvelle cuisine, inizia a capire che un’altra ristorazione è possibile. La cucina può davvero essere arte.
È con questo spirito che nel 1981 monta il suo ristorante nella vicina Saint-Étienne, dentro il vecchio studio di un fotografo, dove dà libero sfogo alla sua creatività. “Spesso mi sono sentito come una marmitta col coperchio chiuso: dentro ribollivo. La cucina ha acquistato il suo vero valore ai miei occhi quando ha smesso di essere una ripetizione cieca di pratiche apprese senza discernimento. L’atto di cucinare è diventato una felicità quotidiana, quando ho osato rifiutare di fare della cucina una cantilena sclerotizzata, ripetuta ogni giorno nello stesso modo”.
La critica non tarda a notarlo; arrivano una e poi due stelle Michelin, già nel 1986. A colpire è l’audacia di una cucina che pratica i contrasti e la collisione dei gusti, i colpi di scena sapientemente padroneggiati a squarciare il racconto, le sincopi e la suspense, fino alla dissonanza. C’è chi paragona Gagnaire a un vecchio jazzista per la capacità di improvvisazione sui vecchi temi degli standard. Tanto genio merita una nuova cornice: nel 1992 Gagnaire si trasferisce in un antico hôtel particulier, che impreziosisce a mo’ di galleria d’arte con l’aiuto dei suoi amici pittori e scultori. La Michelin lo premia con la terza stella.
“La mia storia è iniziata a Saint-Étienne. Oggi continuare a ricercare senza costrizioni, significa restare se stessi, essere fedeli agli amici, ai clienti, alla città e alla mia squadra. È costruire a Saint-Étienne un luogo vero per il futuro e la creazione”. Il sogno tuttavia si infrange sulla durezza delle condizioni date: ubicato in un contesto operaio, carente di tradizioni e di capacità di spesa, il ristorante osannato da tutti nel 1996 chiude i battenti. Gagnaire si dice vittima di “una sorta di cinismo bancario” e rivendica il suo idealismo. “Ho imparato che la libertà è il denaro, ma io non avevo più i mezzi per svolgere il mio lavoro”.
Non resta che cambiare piazza: Parigi lo calamita e lui accetta la sfida, ma con uno spirito rinnovato e più consapevole. “La mia cucina si è semplificata. È fatta di pezzi di spago, piccole cose, tocchi modesti. Voglio disarcionare le persone, sorprenderle, offrire loro delle sensazioni. È meglio realizzata, meno sperimentale, più pensata e meglio costruita. L’idea per l’idea non mi interessa più”. Convince anche Michelin, che gli restituisce prontamente la seconda e la terza stella, nel 1997 e nel 1998.
Chi ha la fortuna di affiancarlo, racconta di un processo creativo ininterrotto, che lo porta a riconcepire i piatti in pieno servizio: la marmitta bolle ancora. Ha trovato un partner nello scienziato Hervé This, fondatore della gastronomia molecolare, con il quale collabora alla definizione di una cucina “note à note”, basata sulla combinazione di composti e molecole anziché di ingredienti. Ma i due sono anche autori di libri capolavoro come “Il Bello e il Buono” e “La Cucina Nota a Nota”. Il pasto diventa così un’alchimia di scienza e arte, connubio irripetibile di musica e ritmo, visione e passione.
Nel 2003 Pierre viene nominato Comandante delle Arti e delle Lettere e nel 2006 Cavaliere della Légion d’Honneur.
Ma lo chef che era stato travolto dalle turbolenze finanziarie, negli anni si scopre anche insospettabile uomo d’affari. Nel 2002 apre lo “Sketch” a Londra, nel 2005 un secondo locale parigino: “Gaya Rive Gauche”. Lo stesso anno comincia a esplorare la scena asiatica aprendo un “Pierre Gagnaire” a Tokyo, che aveva visitato nel lontano ’86, un anno dopo ne apre un altro a Hong Kong nell’”Hotel Mandarin Oriental” e nel 2008 uno a Seoul. Il 2009 invece è l’anno dello sbarco a Las Vegas, con “Twist” anche sta volta all’interno dell’”Hotel Mandarin Oriental”. Poi “Les Menus” a Mosca e “Colette” a Saint-Tropez. Nel 2011 tra riconoscimenti al suo talento (sono arrivate 2 stelle Michelin a Hong Kong), Pierre è diventato nonno del suo primo nipote.
Lo chef non si ferma mai: apre a Berlino, Dubai, Bordeux, Shangai, Courchevel, Nîmes e l’ultimo, nel 2022, a Aix-en-Provence, accumulando stelle su stelle. In tutto nel 2023 fanno quindici ristoranti e dodici stelle Michelin, ma le sorprese di sicuro non sono ancora finite.