Cosa c’è dopo la pizzeria: il fuoriclasse di Caiazzo sforna un format in continua evoluzione
La Storia
La Storia di Franco Pepe
La fila che si raduna fuori ogni sera, sui ciottoli scoscesi di Vico San Giovanni Battista, dice già molto di Pepe in grani, la pizzeria di Franco Pepe, che molti considerano la migliore al mondo. Gente comune, famigliole con il vestito buono, napoletani frammisti a gourmet in pellegrinaggio da tutto il mondo. Perché qui non si prenota: chi arriva prima si siede nella saletta elegante, che nel 2012 è stata ricavata al piano terra di un palazzo settecentesco. Le fondamenta popolari di un edificio che si è alzato sempre più verso la ristorazione gourmet. A quando la stella?
Foto di Luciano Furia
Sono arrivate prima le camere, minimal, moderne, eleganti; poi due ambienti nati per offrire la possibilità di degustare una grande pizza godendo dell’atmosfera e del servizio di un ristorante gourmet, con l’atout dell’insonorizzazione: nel 2015 la sala degustazione, con vista e proiezione video dal forno sottostante, come un cordone ombelicale; nel 2017 Authentica, spazio del tutto originale, con un forno proprio e un bancone per occasioni speciali, didattica e condivisione di conoscenze. Chi lo prenota ha in esclusiva Pepe con la pala in mano e la parlantina sciolta, accompagnato dal sommelier Davide Guarino nell’ultimo cielo di una pizzeria dantesca. Appena 8 coperti ne fanno la più piccola al mondo, tutta legno, pietra e ferro lavorati da artigiani del posto. Il supplemento è di appena 7 euro per la sala Degustazione, mentre per sedersi da Authentica si parte da un minimo di 100 euro a persona, vini compresi.
Eppure Pepe è sempre lo stesso, come ciò che sforna: tutto l’edificio crollerebbe, senza l’architrave di quel brusio in sottofondo. A chi passa si distribuiscono le pizze a libretto appena estratte dalla stufetta a 1 euro e mezzo, per propiziare una fusione a caldo con il territorio e non dimenticare “da dove veniamo”. Pepe definisce la sua pizza per moderazione, espressione di una solida arte bianca eppure non “tradizionale”; studiata in ogni dettaglio eppure non necessariamente “sperimentale”. Una specie di terza via, napoletana nel know-how ma in movimento nelle ispirazioni e nelle tecniche, fino a sconfinare nella tipologia gourmet. “Ma la parola non mi piace, perché la pizza deve restare popolare”, puntualizza.
Le origini sono in una foto in bianco e nero appesa alla parete: ritrae il padre di Pepe, Stefano, fondatore nel 1961 della pizzeria lasciata ai fratelli nel 2012, con il cappellino ricavato dalla carta dei sacchi di farina in testa. Ed era una pizza che derivava a sua volta dal pane di nonno Ciccio, di cui quella attuale rappresenta l’evoluzione antidogmatica.
Il segreto si chiama “punto di pasta”: un impasto perfetto che riposa su regole inderogabili. La farina è la 0 Pepe, un mix variabile modificato più volte nel corso dell’anno per ottimizzare profumo e lavorabilità (ma su prenotazione ci sono anche impasti di farina di legumi e monococco); il lievito non è quello madre tanto in voga ma pasta di riporto con lievito di birra, per ragioni di costanza e quantità (le pizze sfornate arrivano a quota 500 al giorno); la lievitazione non dura giorni ma 12 ore a 22-24 °C. Contrariamente ai cliché correnti, conta di più la lavorazione manuale su legno a norma HACCP (“vorrei che non scomparisse, per dare identità al prodotto e per una questione di sensibilità. L’approccio sensoriale è fondamentale. Se non ci fossero le persone dietro ai processi meccanici, tutto sarebbe uguale, tutto si assomiglierebbe”).
Fondamentale poi è stata la collaborazione con gli chef, che hanno trasmesso a Pepe il loro modus operandi e una metodologia della creatività imperniata sulla ricerca gustativa, solitamente negletta in pizzeria: Nino Di Costanzo in primis, ma anche Giuseppe Iannotti e Fabio Abbattista. “Gli chef hanno aiutato noi pizzaioli a migliorarci, sono stati i nostri insegnanti trasmettendoci tecniche e modalità di scelta e trasformazione delle materie prime. Siamo partiti dal territorio, collaborando con produttori e artigiani sotto il segno della filiera corta. Poi man mano abbiamo imbastito rapporti più stretti con i consorzi, che sono fondamentali, anche per i numeri. Per i pomodori spaziamo dal riccio locale al vesuviano, dal San Marzano al datterino giallo di Battipaglia”. Con Nino Di Costanzo per esempio è stata messa a punto la ricetta di Grana, pepe e fantasia, dove la guarnizione viene incorporata addirittura in tre tempi: prima una crema di Grana Padano 12 mesi, a metà cottura una spolverata di formaggio 24 mesi, in uscita bacon, pepe e scorza di lime.
La carta dei vini elenca una quarantina di proposte dai ricarichi amichevoli, fra cui l’abbinamento elettivo con le pizze rosse, Otto Uve, Gragnano della Penisola Sorrentina di Salvatore Martusciello; ma non mancano le bollicine. Una grande margherita costa 5 euro, una marinara indimenticabile 4. C’è anche il menu Assoluto fritto, composto di 8 assaggi dal salato al dolce al costo di 30 euro.
La Pizze
Si può iniziare con una variazione raffinata degli sfizi fritti: Ciro, cono con crema di Grana Padano 12 mesi, pesto di rucola e oliva caiazzana disidratata, fra grasso e amaro; Sensazioni di costiera, con aglio disidratato, pomodoro cuore di bue, peperoncino, prezzemolo, acciughe di Cetara e scorza di limone; Viandante, con mortadella, ricotta di bufala campana, pistacchi e ancora scorza di limone.
Fra i signature di Pepe ci sono la Margherita sbagliata, con mozzarella di bufala alla base, pomodoro riccio aggiunto a crudo ed extravergine da cultura caiazzana, per esaltare la fragranza del vegetale, protagonista assoluto, e la Scarpetta con crema di Grana Padano, mozzarella di bufala, composta di pomodoro, basilico liofilizzato e ancora scaglie di Grana.
Strepitoso poi il calzone con scarola riccia, acciughe di Cetara, capperi e olive caiazzane, dove il vegetale viene incorporato a crudo e resta ben fragrante nel cuscino vaporoso dell’impasto. Un concetto modernissimo, in realtà opera di papà Stefano. Oppure la pizza classica con salsiccia di suino casertano, broccoli, fiordilatte e scamorza affumicata, sul filo della gassosità vegetale e dell’empireumatico.
Gran finale con le dolcezze fritte: Crisommola, pizzetta fritta con ricotta di bufala, scorza di limone, confettura di albicocche del Vesuvio (le crisommole, appunto), nocciole tostate, olive disidratate e menta; oppure gli straccetti tipo churros con zucchero, cannella e miele, da intingere nella ricotta di bufala campana con vaniglia, rosmarino e scorza di arancia. Deliziosi!
Indirizzo
Pizzeria Pepe in GraniVicolo S. Giovanni Battista n 3 - 81013 Caiazzo (CE)
Tel. +39 0823 862718
Mail info@pepeingrani.it
Il sito web