Finalmente in Liguria il grande ristorante che mancava: ad Alassio Giorgio Servetto e il noto autore televisivo Antonio Ricci coniugano location e grande cucina
La Storia
La Storia di Nove presso Villa della Pergola
Mancava da troppo tempo, in Liguria, un ristorante come il Nove di Villa della Pergola, con la sua grandeur inconsueta in una regione avvezza al fai da te gastronomico. Di fronte al golfo di Alassio, la vista si arrotola sui ghirigori verdi del parco, esteso per 22mila metri quadrati di liane esotiche e arbusti mediterranei. Nel mezzo la villa costruita a fine ‘800 da aristocratici inglesi del milieu preraffaellita, con le sue cupole moresche, le fontane punteggiate di ninfee e lo scalone monumentale in marmo.
Spazi che Antonio Ricci con la moglie Silvia Arnaud e una cordata di amici, dopo aver sollevato il braccio all’asta nel 2006, hanno voluto toccare il meno possibile, salvandoli dalla minaccia della speculazione edilizia, sottoponendoli a un restauro conservativo ed esaltandoli con acquerelli, dipinti e memorabilia fin de siècle. Dal mese di aprile 2016 c’è anche il ristorante Nove, per il senso di novità e più banalmente per il civico, che col bel tempo monta la scenografia di Nettuno dietro i tavoli, ma è incantevole anche negli interni, che hanno conservato l’atmosfera domestica e rarefatta di un tempo.
In cucina la scelta è caduta su Giorgio Servetto, vecchia conoscenza degli alassini. Un cuoco nato nella vicina Savona e finito a fare stagioni dopo la bocciatura all’alberghiero. “Mio padre vigile del fuoco era un tipo severo e decise di lasciarmi a casa dai nonni. Così ho cominciato a servire ai tavoli e poi sono passato a fare il garzone in pizzeria e l’aiuto al ristorante”. Decisiva nel 1995 è stata la conoscenza di Giuseppe Ricchebuono, chef della Fornace di Barbablù, brasserie evoluta dove si è fermato prima e dopo il militare, fino al conseguimento della stella Michelin nel 2001. “Proponevamo piatti del territorio poveri e semplicissimi, con il coniglio, le verdure, i tordi, ingredienti e sapori perduti; in un secondo momento anche crostacei e pesce. Sono seguite esperienze ad Andora e ad Alassio, presso U sciarattu e la Locanda dell’asino, dove ho continuato a proporre una cucina del territorio per gourmet a base di grandi materie prime, pesce delle barche e verdure dei contadini”. Fra un’esperienza e l’altra, stage all’Antica osteria del ponte, al Devero, da Arnolfo e La Madia, senza il precipitato di un vero magistero. Fino all’incontro con Villa della Pergola e alla progettazione di un ristorante su misura.
Oggi la sua cucina è un melting pot di solarità ligure, concretezza piemontese e scuola classica francese. Eclettica a modo suo come l’architettura che la ospita. Locale è innanzitutto il rigore nell’elaborazione della materia, freschissima come si usa da queste parti: il pesce, ma anche il vegetale, sempre coprotagonista. E la stagionalità detta legge, anche a costo di ripetizioni nel menu. “Perché la prima educazione sensoriale l’ho ricevuta da mia mamma a Sassello, pescando nel torrente e scorrazzando in campagna. Ed è lì che ho familiarizzato con la gastronomia piemontese. Mentre ad Albisola i nonni allevavano animali di bassa corte in una tenuta sterminata. E la Francia è stata una passione fin dai tempi della scuola, rafforzata da uno stage con Gianluca Strobino, chef de partie di Bocuse, che mi ha folgorato per la perfezione nei movimenti”.
Le materie prime, allora. Innanzitutto i vegetali, fra i migliori d’Italia, della vicina piana di Albenga (carciofi spinosi, zucchine trombette e asparagi violetti su tutti) o delle colline alle spalle, come castagne, cavoli e patate di Calizzano (“così buone che voglio dedicare loro un piatto in purezza”). Ma radici e tuberi arrivano da Barbiano, dove un giovane coltivatore, Harald Gasser, ha riscoperto varietà antiche nel maso del nonno, ereditato insieme al manuale per la loro coltivazione “naturale” facendo nascere il suo ‘orto insolente’.
Poi il pesce dell’asta di Imperia, visitata personalmente da Servetto, Sanremo e qualche barca, il cui trattamento è variabile secondo le tipologie e la reperibilità. E la carne bovina piemontese, il “kobe italiano”, allevata a nocciole in Val di Vara, le caprette dei Pirenei, sapide come un pré salé grazie al pascolo.
I Piatti
I menu degustazione sono tre: Tradizione, Vegetariano e la Proposta gastronomica, con 7, 8 e 9 piatti rispettivamente a 60, 60 e 85 euro. Dopo gli appetizer (la perla di gambero in gelé al nero di seppia con chips di tapioca alle alghe, l’ottimo bonbon di foie gras in sfoglia di cipolla e il macaron ai semi farcito di tartrà al Parmigiano, che passano in rassegna i tre orizzonti della cucina), il viaggio gastronomico parte dal Piemonte con i primi antipasti. La crema di topinambur con buccia croccante e broccoletti all’agro, emblematica della passione per il vegetale, come la bagna cauda fredda con tuberi e radici. Un ossimoro di sensazioni e territori, dove il Piemonte guarda verso sud nella leggerezza e nella temperatura di servizio, un po’ bagna, un po’ condiglione. La salsa è una “maionese” di acciughe senza aglio; per il pinzimonio ci sono 16 morsi, cotti e crudi, comprese rarità come la sedanina coltivata, i crosnes, lo sisaro, lo zigolo dolce, sorta di croccantissima nocciola ipogea, e la rapa di Caprauna, tutti al naturale.
Schiuma delicata di aglio di Vessalico, asparagi violetti d’Albenga, uovo poché, caviale Asetra
Ma la Liguria preme. Sono ottimi i rossetti appena scottati serviti con purea di lattuga, crema pasticciera al limone, carciofo fritto e Asetra : una scomposizione delle sensazioni di una classica frittata, con le lamelle di spinoso per la reazione di Maillard e il croccante in superficie, il caviale stemperato in acqua di mare per l’uovo e l’ittico, la “bavarese” nuovamente per l’uovo e la spruzzata acida; mentre la lattuga riprende un’altra preparazione della tradizione, la minestra di rossetti con le lattughine ripiene di Natale, sorta di ramen ligure ante litteram. Con un lieve aggiustamento nelle proporzioni sarebbe ancora migliore.
Ed è di nuovo Liguria, in purezza e in purismo, la deliziosa seppia con i carciofi, modello zimino, dalla limpida pulizia orientale, che si giova delle impareggiabili materie locali. Dove il corpo dei molluschi è quadrettato e appena scottato; i tentacoli sono cotti sottovuoto per 3 ore a 95 °C, in modo da fornire il fondo infuso ai carciofi e alla maggiorana, appena colta per la massima esplosione balsamica, e gli gnocchetti con nero e fegato. “Ed è la stagione migliore: la sera qui di fronte è tutto un baluginare di lampare”.
Il sottobosco interpreta il genere del paesaggio commestibile con la crema classicheggiante di porcini nostrani, la “terra” di crumble alle nocciole di Langa, finferli, spugnole e trombette dei morti: un humus dove si mescolano tre territori.
Tortellini di ricotta di pecora Brigasca, gamberi viola d’Oneglia scottati, infuso di eucalipto del giardino
Ottimi i ravioli al nero di seppia ripieni di cime di rapa con crema all’aglio di Vessalico e acciughe salate in casa, che traslano entro forme nordiche di pasta all’uovo principi gustativi della cucina popolare del sud, nobilitandoli, più un pizzico di peperoncino in polvere e un giro di olio al limone del giardino.
E verso sud guardano anche i cappellacci ripieni di guanciale e glassati al fondo di maiale con acqua di pecorino in stile Bottura, per una fonduta evanescente, e lamelle di cipolla disidratata, che riequilibrano l’inevitabile sapidità attraverso dolcezza e pungenza. “La mia gricia, nata per sostenere i paesi colpiti dal terremoto di Amatrice, in collaborazione con l’iniziativa di Slow Food #unfuturoperamatrice”.
I secondi sono corposi. Le lumache ai pinoli ed erbe balsamiche, innanzitutto, eseguite secondo la ricetta tradizionale del padre di Servetto, naturalmente speziata, con purea di radici di prezzemolo al posto delle foglie, olio al carbone, crema di prezzemolo e coriandolo, uova di lumache per la nota vegetale.
Oppure lo stinco di maiale cotto a bassa temperatura e tostato in padella, servito con crema di cavolfiore e cavolo riccio al fondo di maiale (con osso di prosciutto), olio di senape piccante sul grasso e cipolline caramellate per l’acidità. E la capra, aromatizzata alle erbe e affumicata con carbone di brace, per una sensazione intermedia tra griglia e fumo, passata al burro e servita con fagioli di Pigna in purea e al fiasco e porri di Cervere, nella riedizione del classico stufato imperiese.
Cheesecake di ricotta di pecora Brigasca, sedano, barbabietola, il suo estratto a freddo e vermouth
In chiusura la torta di pere con martin sec in osmosi al vino speziato, frolla, crema di mandorle, bavarese e salsa di pere è un po’ asciutta. Il servizio, ed è raro in Liguria, tiene il passo della cucina: lo dirige Mattia Trentani, che amministra una carta dei vini da 150 etichette, in via di raddoppio sul fronte piemontese. Il tastevin batte tuttavia per gli autoctoni, come vermentino nero e tabacca, e i piccoli produttori liguri, tutti da scoprire. Sarà la prossima stella?
Indirizzo
Ristorante Nove c/o Villa della PergolaVia Privata Montagu 9 - 17021 Alassio (Savona)
Tel. +39 0182 646140
Mail: info@noveristorante.it
Il sito web del ristorante