Chef

Massimo Bottura, never trust a skinny italian chef

di:
Alessandra Meldolesi
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Mai fidarsi di un cuoco italiano magro”. Alessandra Meldolesi ha intervistato in esclusiva Massimo Bottura, che racconta del suo libro in uscita ma sopratutto della sua vita e di cosa lo ha spinto a scrivere.

L'Intervista

Intervista a Massimo Bottura


“ho aspettato molti anni prima di mettermi all’opera, non so nemmeno io il perché. Forse non mi sentivo sicuro di avere qualcosa di importante da dire. Perché non mi interessava snocciolare ricette. Volevo che il mio fosse un libro diverso, tanto che il titolo originale doveva essere No recipes. Ma quando Phaidon ha iniziato a proporsi, ha messo subito in chiaro che senza ricette nessuno lo avrebbe comprato. Così abbiamo conferito loro un significato ben preciso, spostandole alla fine del libro, compresse in un font piccolissimo. È stato Redzepi a farmi rompere gli indugi per telefono: Basta, fallo!

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Fotografia di Per-Anders Jorgensen, Malmo, Sweden
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Avevo in mente un libro sulla creatività, nel senso della passione che porta in profondità, di tutto quello che sta dietro ai piatti e alla loro ideazione, ma per centrare l’obiettivo dovevo sentirmi maturo. Per questo, tra le altre cose, la copertina in pelle. Che non riconduce immediatamente alla cucina e si colloca fuori dal tempo. Nel senso che tutto ciò che è bello è contemporaneo, come ha scritto Eliot. La creatività odierna è la stessa del Rinascimento.


A seguire, immediatamente, una fotografia e l’introduzione surrealista di Cattelan, che conosco dal 1997, nella forma di un dialogo fra noi due. Quindi quattro capitoli dedicati alle tradizioni in evoluzione, alle materie prime povere, al rapporto con l’arte contemporanea, alla responsabilità dell’artista, cioè all’impegno. Considerando tutte le fasi della mia cucina, dalle prime ricette personali a Campazzo fino all’ultima stagione in Francescana.

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Fotografia di Paolo Terzi, Modena
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Mia moglie Lara in tutto questo ha svolto un ruolo fondamentale: quello di tenermi ininterrottamente sotto pressione dalle 8 di mattina per farmi parlare, raccontare la mia vita. Dagli esordi, quando facevo zero coperti e ho venduto tutto quanto per tirare avanti (se lo ricorda bene Grignaffini, che veniva con i suoi amici della rivista del sigaro), al pezzo di Vizzari sulla tagliatella postmoderna dopo il quale sono passati tutti quanti.

Io tentavo sempre di sottrarmi, ma Lara era lì a braccarmi con il registratore. Mi seguiva parola per parola, nessun altro avrebbe potuto fare lo stesso. È andata avanti per 2 anni, con me che parlavo un po’ in italiano un po’ in inglese. Mentre le fotografie portano due firme: Stefano Graziani, che ha ritratto il caos della cucina, e Carlo Benvenuto, che ha catturato la poesia effimera dei piatti, nel momento in cui arrivano a tavola e stanno per scomparire.

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Fotografia di Paolo Terzi, Modena
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Abbiamo coinvolto due artisti della galleria di Emilio Mazzoli, uno che mi ha fatto riflettere sulle provocazioni e sul rischio della deriva iconoclasta, quando servivo i tortellini che camminano sul brodo o i triangoli di pasta con il tuorlo embrionale iniettato di ragù, che fecero saltare sulla sedia Heston Blumenthal. Una fase che di certo non rinnego, né nel libro né nella vita, perché è stata necessaria. Bisogna attraversare l’avanguardia, ma occorre anche capire che oggi la mia tagliatella al ragù si situa ancora oltre.

È la transavanguardia che mi ha insegnato Mazzoli: un’arte tipicamente italiana, perché non ha senso scimmiottare espressioni che non ci appartengono come la land art. Achille Bonito Oliva ha scritto del genius loci, e vale anche in cucina: perché fare un dashi di bonito e non di Parmigiano, oppure di tartufo bianco? Contaminazioni che ritornano al territorio.

Dobbiamo riappropriarci della nostra storia, che è mostruosa ma non deve essere subita, bensì vissuta in funzione dell’oggi. Prima di mettere le mani su un sifone bisogna conoscere la lievitazione e le diverse acidità di una madre fatta con un frutto o con un altro; con lo stesso spirito con cui Redzepi si è messo a studiare il metodo con cui viene prodotto l’Aceto Balsamico Tradizionale”.

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