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Al Metrò di Nicola Fossaceca, dove la semplicità è pro-vocazione

di:
Alessandra Meldolesi
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Nicola Fossaceca e il suo ristorante Al Metrò, dove la semplicità diviene pro-vocazione

La Storia

La Storia del Metrò


Il Molise è a pochi giri di pneumatici, passato il fiume Trigno, ma la monotonia della costa non sembra darsene conto. Non un mare da cartolina, forse, quello di San Salvo, paesino lievitato tumultuosamente attorno al focolaio di qualche industria e al turismo dall’entroterra. Le venature azzurrine davanti alla vegetazione delle dune, condensato di biodiversità adriatica, poi un mix di cemento, canne e sterpaglie, la succinta quadrettatura d’asfalto e il condominio bianco dove ha sede il ristorante. Straordinariamente quotidiano a dispetto della stella Michelin, solitaria a queste latitudini.

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Un Metrò, tante stazioni prima di arrivare alla consacrazione della rossa, datata 2013, e alla recente ristrutturazione del locale, con il suo grigio totale, le vele a separare i tavoli nudi sotto strategici faretti, la resina sul pavimento e alle pareti. Il primo arresto è nella pasticceria di famiglia con i suoi profumi di cacao e di vaniglia: “La aprirono i miei genitori nel 1979, senza nessuna formazione. Papà Domenico, che aveva lavorato alla metropolitana di Roma, e mamma Antonietta, che faceva la sarta. L’intenzione era quella di rientrare a Trivento, in Molise. Ma dopo qualche corso e un tirocinio a Roma finirono a San Salvo, proprio negli spazi dove adesso è il Metrò.

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La produzione era classica: bombe, cornetti, bignè, torte, in stagione anche specialità tradizionali come il fiadone di formaggio e biscotti chiamati ‘cielli pieni’. Fin da piccoli capitava che io e mio fratello Antonio venissimo coinvolti in piccoli lavoretti, per esempio separare i tuorli dagli albumi e preparare il caffè. Così ho frequentato l’alberghiero e quando Antonio ha deciso di trasformare la pasticceria in birreria alla belga, nel 2001, mi sono ritrovato in cucina con lui. Ci siamo presto accorti che la domanda era rivolta soprattutto al cibo, così nel 2002 il Metrò è diventato un ristorante, inizialmente con piatti tradizionali, che si sono evoluti e personalizzati quando grazie a una serie di incontri ho iniziato a girare, compiendo brevi stage da Mauro Uliassi e al Pagliaccio o affiancando Niko Romito, che mi ha fatto scoprire il mondo durante alcuni eventi esterni”.

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E dal capofila del rinascimento abruzzese Fossaceca ha preso in prestito una semplicità rivoluzionaria: gli ingredienti sul piatto sono sempre pochissimi, riconoscibili e sottoposti ad elaborazioni minimali ed espresse (una spadellata, una passata in forno o sulla piastra, un tuffo nella friggitrice, prediletta per il richiamo alla tradizione marinara), senza accanimenti tecnici o appannamenti di una pulizia pelagica. Compongono contrasti schietti ma gentili, spiazzanti nell’equilibrio, con un Oriente involontario, o preterintenzionale, che si insinua nelle variazioni agrodolci e soprattutto nelle testure, mentre saltuarie spigolature dolci svegliano le nostalgie di un’infanzia spesa nell’arte bianca. Cosicché la semplicità somiglia infine a una pro-vocazione, che chiama fuori gli ingredienti come farebbe una maestra col registro in mano.

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L’approvvigionamento segue la filosofia della prossimità: alle verdure pensa in gran parte papà Domenico, chino sul suo orto a 4 chilometri dal ristorante, in estate e in inverno, mentre il pesce arriva da Vasto e Termoli. “Non c’è un grande assortimento, perché le barche sono poche, ma ha una sapidità particolare”. Finiscono in due menu degustazione: quello dedicato a La Nostra tradizione, con 5 portate a 50 euro, e quello A mano libera, che ne comprende 8 a 70 euro. A curare la carta dei vini, orientata sul territorio, con i grandi abruzzesi e chicche molisane, spesso naturali, è il fratello di Nicola, Antonio, che guida anche il servizio.

I Piatti

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Si comincia con il territorio e un duplice amarcord della pasticceria con rosticceria di Antonietta e Domenico: un cubetto di fiadone alla ricotta di pecora, ripensato come arioso pan brioche, e l’arancino di riso alla ventricina. In ossequio alle tradizioni pastorali del basso Abruzzo e del Molise, che in cucina non hanno confini.

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Segue in antipasto la zuppa di ostriche con ricotta leggermente affumicata di pecora, julienne di sedano e pepe, bella geometria dove la morbidezza lattica smussa come un pomice le punte iodate e il vegetale porta croccante e acquosità. Le ostriche sono fines de claire, mentre il latticino è quello artigianale di un piccolo laboratorio di Lentella, appena lavorato e liquefatto dal calore.

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Altrettanto lineari i gamberi rossi scottati in forno e serviti con una salsa vegetale acidula, a base di fagiolini o fave, secondo la stagione, e della senape selvatica per un match dolce-amaro destinato a molteplici round. Dove sbuca il foraging come attività praticamente quotidiana, a caccia di acetosella, cicoria e bietolina selvatica per i fossi circostanti.

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Il must tuttavia resta la triglia in skapece espressa, sorta di bignè che si gonfia attorno al filetto di pesce, in ricordo della tradizione perduta della scapece di Vasto, preparata con palombo o razza fritti e conservati anche per mesi in una marinata di aceto e zafferano. “Durante le feste e le fiere la compravamo dagli scapeciari ed era solo a me che piaceva, per quell’acidità fortissima”. Cottura espressa in questo caso e una salsa agrodolce allo zafferano mixata al Minipimer, per un quasi-tempura che trasporta a Oriente dentro la navicella di una nostalgia d’infanzia.

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Delizioso anche il raviolo di ricotta affumicata, sovrastato da una lingua di riccio e tuffato in un sauté di vongole alle erbe aromatiche, la cui verve metallica penetra come una lama nella morbidezza lattica e rassicurante del ripieno, con l’affumicato quale paradossale trait-d’union fra gli elementi. Oppure lo spaghetto risottato al brodo di cicale e saltato alle ostriche su battuta di cicale crude con erba limoncina e scorza di limone, una spolverata di mollica tostata per lo charme rustico: disegnato col tecnigrafo in bocca.

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E il risotto alla salicornia del lago di Lesina, estratta e unita in mantecatura, con la sogliola appena scottata per un’esplosione di vegetale marino priva di blandizie lipidiche.

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Riprende il filone delle cineserie il riuscitissimo carbonaro (unico pesce forestiero con le ostriche) passato in forno dolcemente, senza shock, poi laccato con una riduzione di mela e cipolla e servito con la cicoria fritta, per una perfetta complementarietà di gusti dolci e amari, testure vischiose e persistenti oppure evanescenti e croccanti, al limite dell’impalpabile: l’Oriente nell’orto di casa. “Ma io sono partito dal ricordo delle mele e delle cipolle al forno, con le loro note caramellate, ho pensato di cuocerle insieme, frullarle e filtrarle; mi è piaciuto quell’equilibrio fra dolcezza e acidità naturale, proveniente dalle mele zitelle, con una sapidità appena accennata”.

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E ancora lo sgombro marinato e abbrustolito al cannello, per l’effetto brace, con salse di alghe, prezzemolo e aglio rosso di Sulmona per la sensazione terragna, più qualche lamella di ravanello a rinfrescare e pungolare le papille. Oppure il rombo con foie gras e spinaci, che ripuliscono dall’opulenza con i flavonoidi e l’amaro.

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Per dessert, dopo la crème brûlée di liquirizia, arriva una cialda di mais e rosmarino con gelato di fior di latte di capra e riduzione di mosto cotto, in continuità con le linee della cucina: pulizia, semplicità, memoria. Ma ci sono anche la fresca piña colada, scomposta in gelato all’ananas caramellato, crumble al cocco e granita al rum, e il parrozzo al cucchiaio, ripensato come un montaggio di cremoso al cioccolato, spolverata di parrozzo alla mandorla amara, caramello all’Aurum, mandorle tostate e fave di cacao. Alla ricerca di una pasticceria perduta.

Tutte le fotografie sono di Francesco Fioramonti

 

Indirizzo

Ristorante Al Metrò

Via F.Magellano 35 - San Salvo Marina (CH)

Tel. +39.0873803428

Mail: info@ristorantealmetro.it

Il sito web del ristorante

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