Chef

Alessandro Borghese: “Noi chef come i calciatori, una vita di sacrifici”

di:
Sveva Valeria Castegnaro
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copertina alessandro borghese chef e calciatori

Alessandro Borghese fa il bilancio della professione e consiglia i giovani chef sulle giuste mosse da compiere per portare a casa l’obiettivo. La fatica? È parte del percorso, così come le paghe non (sempre) adeguate.

L'intervista

Chi alle elementari non ha mai scritto un tema dal titolo: “Che cosa vuoi fare da grande"? E quale maestra non si è ritrovata a leggere: “Da grande vorrei fare il pilota, il calciatore, l’astronauta, la ballerina, il pompiere…”? A quanto pare, però, negli ultimi anni ad occupare un posto di spicco tra i lavori dei sogni dei bambini è la figura dello chef. Sicuramente Alessandro Borghese, volto noto che con i suoi numerosi programmi e show cooking televisivi è riuscito ad entrare nelle cucine e nei cuori degli italiani, ha fortemente contribuito a far conoscere la figura del cuoco anche ai più piccoli.


Mi fermano tutti i giorni bambini dai 7 anni in su. Credo che l’attrazione per la cucina nasca dalla manualità: la puoi vedere, la puoi toccare, è alla portata di tutti, vicina, raggiungibile. Ma, come per il calciatore, è una vita di sacrifici. Non esistono sabato e domenica, Capodanno e Ferragosto, ai fuochi d’estate fa caldo, c’è tanta fatica fisica, ti giochi tutto in 90 minuti a tavola. Ora che ci penso, bisognerebbe adeguare gli stipendi degli chef a quelli dei calciatori”. Così la pensa Borghese, che certo non ha bisogno di presentazioni; da piccolo, come ha recentemente raccontato al Mattino, sognava di fare il pilota. Poi però, quando all’età di 17 anni si è imbarcato sulle navi da crociera, ha scoperto l’amore per cucina e per il lavoro di squadra.


Ho sognato a lungo di fare il pilota, seguendo la tradizione di famiglia. Sono nato in mezzo alle miscele. Tra la Riviera di Chiaia e piazza dei Martiri, nonno Vincenzo aveva l’officina Autoricambi Borghese e una scuderia sua. Non l’ho conosciuto. È morto da giovane durante una gara a Posillipo. Papà ha corso per tanti anni su Suzuki, Harley Davidson, Honda, Yamaha. È stato fra i primi a provare le gomme slick. Mi ha messo lui su una macchina, ho imparato a usare la frizione da bambino, ho fatto motocross, modificavo il Ciao. Ho vissuto in corsia di sorpasso, ecco. Con l’adrenalina, poi ho portato lo stesso entusiasmo che avevo per i motori in cucina. Anche uno chef è egocentrico, assolutista, ma come un pilota deve imparare a lavorare in brigata, in un team. Deve imparare ad affidarsi. Ai giovani raccomando sempre di viaggiare, conoscere le abitudini più diverse nei posti più disparati, imparare come si lavora in gruppo. All’estero in questo sono più bravi di noi. Un americano da solo fa fatica, tre americani insieme mandano uno shuttle sulla Luna. Noi siamo più degli one man band. Ai ragazzi che incontro dico: solo dopo aver fatto tutti i vostri bei viaggi, rientrate in Italia, dove esiste un patrimonio gastronomico unico, vastissimo, regionale”, racconta.
 

Il ristorante di Alessandro Borghese a Venezia


Inutile dirlo, la cucina è molto affascinante, ma il lavoro dello chef comporta sacrificio e spesso la paga risulta insufficiente. È un lavoro che, in tutti i sensi, non permette mai di “star seduti”. “La verità è che non si finisce mai di imparare, a qualsiasi età incontri qualcuno che ti insegna qualcosa. Uno chef è una persona perennemente alla ricerca. Come accade ad ogni creativo, ci sono dei momenti in cui si attraversa uno stato di grazia, ma la fantasia si nutre con l’impegno quotidiano, con la costanza. L’ispirazione non è una magia calata dall’alto”, raccomanda Borghese ai giovani.

@4 Ristoranti


Fonte: ilmattino.it

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