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Ai Portici cambia tutto: nuovo chef e menu per il fine dining di Bologna

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina i portici bologna 2023

Per i Portici è ormai una vocazione, lanciare giovani professionisti di talento. Questa volta tocca a Nicola Annunziata, pupillo di Anthony Genovese, che in cucina giostra come un saltimbanco stile mediterraneo e contaminazioni contemporanee, incrociando fulmineamente sensi e colori.

I Portici

Il ristorante


Guido Havercock, Agostino Iacobucci, Emanuele Petrosino, Gianluca Renzi. Tocca ora al trentunenne Nicola Annunziata raccogliere il testimone dei Portici, ristorante che oltre a vantare l’unica stella di Bologna, funziona da anni come formidabile macchina da talent scouting. Nella speranza che i tempi si allentino e le conquiste si sedimentino, in una città che ne avrebbe bisogno.


Classe 1991, nato a Sarno, Nicola è rimasto stregato dalla cucina quando era bambino, osservando manovre e allestimenti delle donne di casa. Abbastanza per scegliere di frequentare l’alberghiero, di getto e senza troppe riflessioni. Poi per lui è stato subito fine dining: a 17 anni già dava una mano per i banchetti al Faro di Capo d’Orso, dove si è fermato 5 anni con Piefranco Ferrara, partendo stagista e finendo capopartita. Da lì l’approdo a Latina, dove Rocco De Santis aveva preso in mano un albergo con fine dining, stellato a stretto giro.

@Giulia Nutricati



Ed è successo che quando è partito, la proprietà ha chiesto a me, che fungevo da secondo, di farmene carico. La strada si è impennata, per la stella appena presa, che andava confermata, e per un incarico così impegnativo a soli 24 anni. Ci ha dato una mano Anthony Genovese, che mi ha trasmesso la serenità del professionista. Mi sedevo alla scrivania con lui, buttavamo giù qualche idea, poi facevo il menu e lui mi aiutava a mettere a punto i piatti, che poi assaggiava”.

@Giulia Nutricati



Alla fine, sono tre geografie agli antipodi: la Francia del neomonsù Ferrara, la Campania di De Santis, il melting pot di Genovese, che negli anni ha distillato dalla fusion un concetto di cucina astratta.Quello che poi è diventato il mio modo di interpretare la professione”. Dopo un anno al Ristorante 1978 di Roma, arriva la chiamata dal Praia Art Resort di Isola Capo Rizzuto, dove per tre anni guida il ristorante stellato Pietramare Natural Food (come vi abbiamo raccontato qui). La proprietà gli chiede una cucina profondamente radicata nel territorio calabrese, cui lavora con l’aiuto di un etnobotanico, che l’accompagna nella pratica sistematica del foraging.


Nonostante le soddisfazioni, ho sentito il desiderio di spostarmi in una grande città e quando nel dicembre 2022 mi è arrivata la proposta dei Portici, la proprietà mi ha dato carta bianca nella gestione di tutti gli outlet ristorativi. Sono convinto che Bologna abbia bisogno di una cucina fresca e creativa, quindi cerco di rinnovare anche me stesso, portando qualche spunto campano e iniziando senza fretta a lavorare sul territorio. Questa è una piazza che ha un potenziale inespresso e prima o poi esploderà, sarebbe bello esserci. Siamo un team giovane, che vuole costruire nel tempo e riportare il cliente bolognese ai Portici”.



Dei sedici elementi in squadra, infatti, 5 sono fedelissimi dello chef, in arrivo dalla Calabria. L’ultimo tassello sarà il pizzaiolo, che dopo avere sfornato da maggio a ottobre en plein air, si fermerà in struttura nelle vesti di chef boulanger. Poi c’è Matteo Corridore, pasticciere autodidatta, ma passato per belle case, rimasto dalla gestione di Renzi. Anche la squadra di sala gira bene, secondo la tradizione dei Portici, dal maître Oreste Piacentini al sommelier Riccardo Ricci, ex Marconi dei fratelli Mazzucchelli. Degli ambienti che dire? Sono un gioiello, accuratamente lustrato dalla proprietà e ormai ben noto ai gourmet internazionali, dove presto sfreccerà un carrello dei formaggi nuovo di zecca.

Oreste Piacentini


I piatti


I degustazione sono tre, da 5, 7 o 9 portate a 110, 150 o 180 euro, quest’ultimo a mano libera. Ma si può mangiare anche alla carta, pescando qua e là. Ritraggono una cucina che scalpita, all’inizio un po’ imbrigliata nel paradigma mediterraneo, ormai egemone nei grandi alberghi di tutt’Italia; poi via via più libera, ariosa e capricciosa, quasi a ripercorrere la biografia professionale di Annunziata. Si comincia con appetizer stagionali: l’insalatina di fave con gelatina di prosciutto, spuma di pecorino e cialde di guanciale; la melanzana in pickle di aceto di lamponi alla brace; la montanarina con pomodoro, capperi, olive e acciughe; la nocepesca in osmosi di Aperol spritz; la tarte salata di baccalà mantecato e piselli.


Il polpo arrosto è un feticcio dello chef. Cotto a bassa temperatura e poi arrostito, giustamente tenace, è accompagnato sul piatto da porro bruciato ripieno di gelatina di mela cocomerina in delicato contrasto, crema di porro, polveri di olio all’alloro e di verde di porro, mandorle tostate e olive nere per simulare la brace. Dove il pensiero va alla grigliata d’estate.

Polpo arrosto, porro e mela cocomerina



Per il territorio c’è la tartare di razza romagnola e anguilla di Comacchio, dal taglio studiato per approssimare le testure, quale condimento olio, basilico e colatura, sotto una geometria di rape cotte al forno nel sale e condite all’aceto di Sherry. Dove il pesce serve per ingrassare ed evocare la sensazione di cotto sulla carne cruda attraverso il fumo; la piccola quenelle di gelato di senape all’antica ricostruisce il dna di una tartara d’antan.

Tartare di razza Romagnola, bietole e anguilla di Comacchio



Sono invece un tripudio mediterraneo le eliche in zuppa di scoglio, preparate senza tecniche da Nasa. Dove la pasta è cotta per metà in acqua e per metà nel liquido di estrazione della zuppa, ricavato al passaverdure; più pesto rosso di pomodoro, peperone, mandorle, Parmigiano Reggiano e basilico; una polvere di olive nere che struttura; la tartare di pesce crudo del giorno a rinfrescare il morso.

Eliche, zuppa di scoglio, pesto rosso e polvere di olive nere



Ancora Campania nel tortello di classica genovese (2 parti di cipolla e 1 di manzo al Pacojet per la massima cremosità) servito con cremoso di Parmigiano, tre polveri di recupero da buccia di cipolla, radice di liquirizia e prezzemolo, gamberi viola crudi e spicchi di cipolla marinata nell’aceto di lamponi, perché l’acidità qui non manca mai.

Tortello di Genovese, Parmigiano Reggiano 24 mesi, gambero viola e radice di liquirizia



Lo stile cambia repentinamente nei secondi, di solito i piatti più sonnacchiosi. Vedi la rana pescatrice, più geometrica e meno “italiana” nel suo set gustativo. Dove il pesce è passato in una brina di acqua e sale, simile per concentrazione all’acqua marina, in modo da eliminare le impurità e schiarire la polpa, poi cotto con burro alle erbe e rivestito con panure alle mandorle, aglio e prezzemolo. Per contorno un millefoglie di rapa bianca e mela al burro chiarificato, un chutney di limone amalfitano alle spezie e basilico fresco, lo zabaione fatto al momento con burro nocciola al peperoncino.

Rana pescatrice, millefoglie di rape e mela, chutney di limone e zabaione al peperoncino



Il piatto forte è sicuramente l’anatra in doppio servizio, sorta di pechinese passata dal Pagliaccio e poi a Bologna, in un telefono senza fili che rinnova il messaggio. Quindi la coscia marinata con spezie, soia e mirin, poi cotta 12 ore a 58 °C; i petti lasciati in cella 3 giorni a maturare, scottati in acqua bollente per minimizzare il grasso sottocutaneo, fatti riposare altri 2 giorni e tostati in padella sul lato della pelle, nappando con burro alle erbe aromatiche, prima della finitura su piastra barbecue giapponese. Più il jus di scuola francese, con cioccolato al passion fruit, la composta di albicocche del Vesuvio, il crumble di cacao amaro, il gel al passion fruit e squacquerone. Un piatto di temperamento, netto, rigoroso.

Anatra in doppia cottura, albicocca del vesuvio, cacao amaro e passion fruit



Chiude la variazione di giardinetto di Corridore, contemporaneizzata dal guizzo tecnico: fragole, mousse al pistacchio, sorbetto di fragole e shiso, cialda poco dolce di pasta croissant e una salsa di pistacchio ossidato ricavata all’Ocoo, per un esito quasi da gruè speziato. Classica la piccola: pralina di torta duchessa, bignè ricotta e visciole, melanzana al cioccolato.

Fragole, shiso e pistacchio ossidato



Il pairing di Ricci si concentra su piccole cantine, principalmente emiliane, romagnole e campane, ma è allo studio l’inserimento di un succo di frutta di montagna né manca una birra, in modo da tenere basso il tasso alcolico favorendo digeribilità ed equilibrio, secondo gli insegnamenti di Mazzucchelli. Da un lato il Perbenci di Franchina e Giarone, grasparossa con pressatura a grappolo intero e fermentazione spontanea in vetroresina; il Saramat di Al di là del Fiume, barbera di Marzabotto con tanta polpa e succo, da follature manuali in acciaio, il cui nome significa in dialetto bolognese “sarà matto” per l’incredulità sugli esiti; il  Mai Uguale di Tenuta Saiano, sangiovese di altitudine vinificato in acciaio e tonneau.

Il Sommelier Riccardo Ricci



Dall’altra il Paone di Cantina del Barone, fiano della zona di Cesinali leggermente macerato e affinato sulle fecce fini, o l’Aorivola de I Cacciagalli, falanghina dissetante con leggera macerazione in cemento. La birra invece è la Baccabianca di Ca’ del Brado, Italian Grape Ale prodotta a Rastignano con il 10% di grechetto gentile di Gradizzolo e macerazione sulle bucce, per un effetto kombucha che sposa le suggestioni orientali della rana pescatrice, evocando al tempo stesso la classica bionda sulla frittura di pesce per via di panatura.

Babà, arachidi salate e vermouth




Indirizzo


I Portici

via Indipendenza 69 40121 Bologna, Emilia-Romagna

Tel: 051 421 8562

Sito Web

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