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Ricard Camarena: dallo snack bar al ristorante bistellato con stella verde

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina ricard camarena

Da undici anni Ricard Camarena dedica la sua creatività all’esplorazione del vegetale, lavorando gomito a gomito con i fornitori, al servizio del prodotto nella sua integrità. “Perché ogni ingrediente è buono in sé, non in una sua parte. Dipende sempre da dove punti lo sguardo”.

La storia

Nella cucina spagnola Ricard Camarena è un solista di successo, educato dalle contingenze della vita. Cresciuto a Barx nella bottega di alimentari dei genitori, dove toccava e annusava gli ortaggi, commentando le ricette con le massaie, per studiare hôtellerie ha dovuto accendere un prestito e proprio per ripagarlo a ventisei anni ha affittato il bar della piscina del paese. “Ma non potevamo sopravvivere di tapas, così abbiamo iniziato a fare cose diverse per guadagnare di più, anche perché non sono capace di ripetere, mi annoio. È una costante della mia vita, ho sempre bisogno di qualcosa di nuovo”.


È stato così che nelle ultime tre estati presso la piscina popolare, già serviva menu degustazione. L’esordio nella ristorazione, tuttavia, è datato 2004, quando con la moglie Mari Carmen Bañuls ha aperto Arrop nella vicina Gandia. “Allora ci sembrava la capitale del mondo e il luogo definitivo, finché nel 2008 non abbiamo accettato di trasferire il nostro ristorante, che già aveva ricevuto diversi premi e una stella Michelin, in un albergo di Valencia”. Nella stessa città oggi manda avanti una piccola flotta di 5 ristoranti dietro la nave ammiraglia eponima, che vanta due stelle Michelin più la verde. Ma ha lanciato anche una gamma di prodotti ricavati dagli avanzi dei ristoranti, chiamata Letern sin Desperdicio. “Perché ogni prodotto è buono in sé, non in una sua parte. Dipende sempre da dove punti lo sguardo”.

Risotto cremoso con burro ovino, elbe selvatiche e funghi



Fra i suoi contributi strettamente culinari figurano nuove tecniche di preparazione dei brodi, senza aggiunta di acqua, ma riscattando i liquidi dell’ingrediente stesso con grassi e collagene, per massimizzare l’intensità del fresco a scapito della potenza di cotture e riduzioni. Risultati che ha raggiunto pressoché da autodidatta, senza esperienze nelle alte sfere né mentori eccellenti, piuttosto leggendo e imparando ogni giorno dal prodotto locale. “Ho interpretato la dispensa tipica più del ricettario e già da Arrop la mia cucina risaltava per non assomigliare a nessuna. Quando ha chiuso elBulli, che per tanti era un faro, c’è chi si è sentito smarrito e ha iniziato a cercare il suo cammino, ma noi avevamo già fatto un bel percorso, evolvendoci senza punti di riferimento esterni”.


Oggi la creatività di Camarena si focalizza sul vegetale dell’orto, tanto che è stato premiato ottavo al mondo da We’re Smart Green Guide.Se non tratti i fagioli come caviale, siamo morti, tu e io”, redarguisce un cuoco nella scena di un documentario che gli è stato dedicato, La Receta del Equilibrio. “Da undici anni lavoriamo in dipendenza dall’orto, che detta l’evoluzione del menu in tutti i nostri ristoranti. Siamo un mezzo per valorizzare il prodotto, non il fine che lo usa. Ora sembra sia di moda, ma da molti anni abbiamo compiuto questa svolta, tanto che i vegetali rappresentano circa il 70% del nostro menu. Ci concentriamo su prodotti che sembravano destinati ad accompagnarne altri più importanti, invece la nostra cucina funziona al contrario. Le proteine dei crostacei accompagnano i vegetali, al loro servizio”.


Tutto nasce dalla relazione personale e umana con i fornitori. Ci piace l’idea di poter contribuire al fatto che i raccolti abbiano una riuscita non sono buona, ma paragonabile al meglio, ponendo le nostre risorse creative a disposizione. La pandemia mi ha aiutato moltissimo a trovare il mio ruolo. Ho interpretato il limite come una risorsa, quasi necessaria a livello creativo, e ho cercato un modo di essere utile al nostro ecosistema, a chi lavora nei campi, dando una seconda vita a prodotti che sembrava non avremmo usato mai più. Questo dialogo si è radicato nel profondo ed è penetrato in tutte le nostre proposte”.


Abbiamo separato le cose che portano valore da quelle che facevamo solo perché ‘immancabili’ in un ristorante di livello. Mi interessa sempre di più la semplicità, ma dietro c’è molto lavoro. Come dice Artur Martinez, un cuoco amico, ‘è meglio la semplicità studiata di una complessità forzata’. Sapere che meno è più, che è più facile mettere che togliere. Sono nella fase del levare”.


I piatti del menu non sono specificati sul web, perché cambiano continuamente. “Quello che cerco è l’insieme, non la somma delle parti, a volte sacrifico piatti in posizioni che non li valorizzano, ma dove esaltano il precedente o il successivo. Per me il menu è una squadra dove brillano le individualità, così alcuni si trovano a fare il lavoro più anonimo. Un piatto delicato dopo uno potente, consente di riposare”. Un consiglio, infine, agli aspiranti chef: Che appurino se amano davvero questo, perché una cosa è cucinare, un’altra la vita del cuoco. È un lavoro che richiede molta abnegazione e passione”.

Fonte: clubinfluencers.com

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