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Borgobrufa: la nouvelle vague umbra fa il tutto esaurito con una cena a 8 mani

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina cena borgobrufa

Quattro diverse visioni del territorio si sono intrecciate in una cena a otto mani orchestrata da Bruno Petronilli a Borgobrufa: hanno alzato il velo su un’Umbria inconsueta, che farà parlare di sé.

L'evento

Perugia, domenica 12 marzo 2023, ore 20 e 30. L’Umbria ha tremato: ma nel piatto. Non si era mai vista, forse, una concentrazione di talenti e di energie come quella riunita da Bruno Petronilli, direttore di James Magazine, presso il ristorante Elementi del resort Borgobrufa, per l’occasione al completo con una lunghissima lista d’attesa. Tanto che già si ragiona sulle repliche, dopo i lavori di manutenzione che si svolgeranno nella struttura per le prossime due settimane.


Se ciò che chiedeva Anton Ego al ristorante era una prospettiva, Andrea Impero, Giulio Gigli, Federico Gramignani e Vittorio Ottavi hanno tratteggiato le linee di fuga di una gastronomia in divenire, secondo un’ipotesi di futuro che fa ben sperare. “Perché in Umbria non si è mai mangiato così bene”. Nelle loro differenze i quattro chef, tutti intorno ai trent’anni, hanno mostrato anche robuste concordanze nel legame con il territorio e nell’audacia, aggiornata sulle tendenze contemporanee perfino nelle nostalgie più struggenti.


Oltre alla selezione Petronilli ha curato la “regia” della serata e gli abbinamenti, pescando dalla gamma di Cantine Cenci, di cui Antonio Boco del Gambero Rosso dice: “Credo che i vini di Giovanni interpretino bene il momento dell’Umbria enogastronomica. Sono rigorosi, buoni, fatti con competenza ma anche molto autentici, di una territorialità che definirei contemporanea. Vini mai forzati, saporiti e complessi, ma anche eleganti e di grandissima bevibilità, ideali in abbinamento con una cucina moderna che non vuole pesantezza, ma equilibrio”.


Il padrone di casa Andrea Impero, che ha da poco inaugurato il suo nuovo fine dining in uno spazio indipendente, ha in realtà origini ciociare, ma nella regione si è bene ambientato in questi quattro anni.  “Sento di aver sposato da subito questa terra, in modo che potesse parlare da sola, attraverso i produttori e i prodotti, con un vincolo forse più forte di tanti che qui sono nati”. La sua è una cucina corale e neorurale di grande impatto gustativo, spesso propensa al coreografico passo indietro.


Fra gli appetizer ha inserito il torello alla perugina, piatto antichissimo e dimenticato, simile a un vitel tonné, ma con la salsa di fegatini al posto del tonno. Sul piatto come spiedino scottato sulla padella lionese, ottenuto da tre tagli anatomici di bue grasso etrusco di Valentino Gerbi, più paté di fegatini di pollo, capperi fritti, acciuga. Uno spunto che diventerà probabilmente piatto nel prossimo degustazione. Poi il signature dello chef: lo spaghettino in crioestrazione di cipolla di Cannara, ispirato da una visita al produttore Luigi Ortolani, omaggio al più umile dei vegetali, fra Aimo e Nadia e Niko Romito; il predessert di pane autofermentato da lievito di frutta e 18 grani moliti per la casa, con miele di melata di bosco Giorgio Poeta per la colazione contadina; il maritozzo mignon, per la tradizione romana e quale reminiscenza del locale dove Impero lavorava a Mosca, chiamato appunto “Maritozzo”.


Per tutti noi è stata una bellissima serata”, commenta. “Ognuno ha uno stile un po’ diverso e un suo pensiero di contaminazione, forse mi sono sentito più vicino a Giulio Gigli per i gusti schietti e l’amore per le conserve, che producono una vibrazione stagionale. Ho scoperto che utilizziamo perfino le stesse sementi di pomodoro del Parco 3A. Federico invece guarda spesso a Oriente, mentre Vittorio è un autodidatta specializzato sul pesce di mare”.


Le mani si sono letteralmente intrecciate in una portata a sorpresa: una miscellanea di paste ripiene di diverse fogge, tipo dim sum o mischiato napoletano, eseguite dai diversi autori e affogate in un brodo di ceci neri, per il classico abbinamento col maiale.  Da Impero un plin lungo con “cicotto” di zampini, orecchie e lingua cotto sotto la porchetta con poco pecorino Colforcella; da Gigli un tortello di costine, cavolfiore e limone al sale; da Gramignani un cappelletto ripieno di spalla, pancia e mele, tipo pulled pork alle spezie effetto alchermes; da Ottavi lo scherzo del bottone di fegato di maiale e ventresca cruda di tonno, maiale del mare, al finocchietto per un ricordo della porchetta di famiglia.


Sta facendo parlare di sé Giulio Gigli del ristorante Une di Foligno: per la prima volta chef, vi riassume le tappe prestigiose di una lunga gavetta, spesa fra Francia, Argentina, Stati Uniti e Spagna, fino al ruolo di chef e responsabile della creatività per Disfrutar.Così come creo rete al ristorante, mi piace cercare sinergie con altri cuochi per fare dell’Umbria una destinazione gourmet”, commenta. Il suo appetizer è stato un pomodoro verde del proprio orto in conserva e fritto in tempura al sifone con maionese di peperoni cruschi, sempre propri. Poi nel cestino del pane una tigellina, che recupera le tradizioni di una parte della sua famiglia, preparata con impasto al sifone e ripiena di patata e toma di capra stagionata, condita con pralinato di noci in pickles.


Acidità di nuovo ficcante nel piccione, forse il piatto della serata: l’ossimoro di un piccione ripieno, quindi alla umbra, eppure contemporaneo per cottura. Dove il volatile locale è farcito di ciauscolo di Colfiorito e tartufo bianchetto, poi cotto rosato sottovuoto e spadellato nella rete di maiale per un gusto antico; per contorno la giardiniera con olio, acciuga e concentrato della nonna, anche in sferificazione, che riprende il tradizionale accompagnamento del salume. Quale friandise, infine, la lamella di tartufo in trompe-l’oeil: una cialda di cacao, farina di mandorle e acqua di tartufo conservata in olio al tartufo. “Tecnica questa che non ho visto altrove e che conserva perfettamente il croccante”.


Federico Gramignani è un creativo puro. Per 6 anni in Australia, nel ristorante Radice di Perugia contemporaneizza e contamina la tradizione bruta. È partito con un classico fromage de tête speziato all’anice stellato, cardamomo e coriandolo con crema di aglio confit, carote in pickles e limone conservato oltre un anno. Per main dish un piatto a dominante vegetale: le erbe di campo con ciccioli e noci di Macadamia.


Dove lo spinacio è in crema alla ricotta, la foglia di bieta al vapore funge da pasta tipo cannellone, gli agretti sono lattofermentati, la cicoria è in purezza per l’amaro; più sugo di ciccioli in agrodolce alle spezie e aceti, le noci per il richiamo al nuovo mondo. Di nuovo frutta secca in chiusura con il delizioso finto biscotto da base mou e burro di arachidi passato nella granella e congelato, che sul piatto si scalda restando coeso per il consumo finger, quale guarnizione la mostarda di pera.


Vittorio Ottavi, infine, di Ottavi Mare a Bevagna, è un figlio d’arte che ha preso il largo. Il suo concetto è il mare visto dalla campagna. Quindi il cannolo di pasta fillo con baccalà mantecato in oliocottura e gel di prugna al pomodoro per la tradizione umbra; la terrina classica di trota fario del fiume Nera con beurre blanc di fumetto degli scarti e Trebbiano Spoletino, uova di trota, patata cotta sotto la cenere al nero pregiato e misticanza di erbe selvatiche; la crostatina di crème brûlée. “Per me una serata bellissima, molto formativa, con tre colleghi per cui nutro un grande rispetto”.



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