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Verso, il gourmet dove la sala sta in cucina: l'effetto simbiosi dei Capitaneo

di:
Martino Lapini
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copertina verso milano

Verso è un moto a luogo: sta nell’analisi logica dell’alta ristorazione non come un complemento, bensì come un soggetto che ha ancora qualcosa di nuovo da dire sul finedining. La sfida simbiotica dei fratelli Capitaneo.

Il nuovo Verso a Milano

I fratelli Capitaneo


Dietro un grande chef c’è sempre un grande sous chef. Enrico Bartolini, arraffone di cavalcate stellari, ne aveva addirittura due. Remo e Mario, i Capitaneo Brothers, hanno contribuito a rifar vedere le tre stelle a Milano - quanto? Tanto? Contando che Bartolini probabilmente parla ancora meno da quando la sua coppia d’assi lo ha lasciato - poi hanno preferito la luce dorata della Madonnina. Lo hanno fatto per non rischiare di diventare pezzi da museo? Non lo sappiamo. Sappiamo che ora “abitano” in Piazza Duomo in una casa dove c’è la sala in cucina o la cucina in sala, se preferite.


La loro nuova casa si chiama Verso. Non pensate al suono estatico che le vostre corde vocali produrranno quando assaggerete i loro piatti. Troppo personale per raccontare un brand. Verso è un moto a luogo, sta nell’analisi logica dell’alta ristorazione non come un complemento bensì come un soggetto che ha ancora qualcosa di nuovo da dire sul finedining.


Nel comunicato stampa alliteravano il nome Verso, collegandolo alla nuova cucina, a un nuovo rapporto con il cliente, al mondo multiculturale milanese. Tutto corretto. Eppure, qualcosa non mi tornava. O meglio, non mi bastava. Dopo il pranzo da Verso, la pancia era piena, il palato ridente e pure il cervello sazio. Avevo visto l’andata e ritorno di Verso, la simbiosi. Ecco, osservare Mario e Remo lavorare in cucina, poterli vedere. Cucina comunionale si può dire? Visione periferica che si intreccia con quella personale. E continui punti di fuga perché organizzare e programmare sono un must, ma l’imprevisto è la sola speranza. Come quando non ti senti nell’auricolare, ma ti ricordi che sei un fenomeno e vai avanti come se nulla fosse, non come se adesso non sono più nulla.


Il locale


Qualche dettaglio tecnico. Verso ha 28 coperti in totale, tre isole aperte da cinque coperti ciascuna, in cui Mario “chiude” tutti i piatti. Come stare al pass insomma. Un tavolo da 6-8 persone e una saletta privata da 6 quasi pronta. Siamo al civico 21 di Piazza Duomo, sotto il portico dovete entrare in uno stretto corridoio e poi salire su un ascensore vetrato. Secondo piano e ci siete. Verso non ha un’insegna sulla strada, anche se non si vede siamo sicuri che ha più utenti del metaverso.


Chissà quanto sarà avverso l’affitto? In un angolino della vostra ve lo state chiedendo, nevvero? Duomo 21 s.r.l, già owner di Terrazza 21, è l’investitore e partner dei fratelli Capitaneo. Nonostante la società gestisca locali solitamente meno silenziosi, il desiderio era quello di avere un ristorante di alto livello tra i loro asset. Diciamo che non gli è andata male. Verso e Spazio, due sole parole identificano i principali ristoranti che si affacciano su piazza Duomo e che propongono una cucina di alto livello. Se Spazio si muove in verticale, sublimando il potenziale di un ingrediente secondo il credo del fondatore Niko Romito, Verso procede in orizzontale andando a cercare le simbiosi, le anime gemelle tra gli ingredienti. Prediligendo la complementarietà, la reciprocità, lasciatemi dire la realizzazione dell’altro.


Come dicevamo, anche tra i fratelli Capitaneo, la relazione va nella medesima direzione. Il tentativo è quello dell’atto simbiotico. Credo che la cucina di Spazio sia molto più mentale di quella di Verso. A volte la singolarità dell’ingrediente può risultare più cerebrale da intelligere per il palato. È semplicità apparente, perché è come la quantumania dell’ingrediente, un frattale gustativo.


Torniamo alla cucina di Verso ancora un attimo. Allo spazio cucina. La cappa scorre lungo tutta la lunghezza della zona lavoro della brigata. I clienti non possono non notarla, ma nemmeno non notare quanto sia efficace e silenziosa. Menzione meritata per l’azienda Icaro Milano, già scelta da Diego Rossi, Federico Sisti, Carlo Maldotti e Noemi Sala di La Sala Bistrot, e da Exit Pastificio Urbano. Per un concept in cui lo chef è sempre al cospetto del cliente, un fastidioso sottofondo romperebbe qualsiasi magia potenziale. E di cucine aperte o semi aperte in cui la cappa era l’unico fastidioso membro della brigata ne ricordiamo.


I piatti


La simbiosi ricercata da Remo e Mario non sempre arriva - come del resto l’introspezione perfetta di un ingrediente a Spazio - però quando arriva è un’epifania che anche tu vorresti portargli oro incenso e mirra. La metafora tra il sacro e il profano chiama immediatamente un pezzo forte. Animella di vitello, ricci di mare, sedano rapa alla brace e bernese al caffé. L’animella di cuore da vitello supergiovane è di Michele Varvara. Tenerissima appena scottata in burro e aromi dopo la sbollentatura in acqua. E poi ripassata sui carboni del Mibrasa. I ricci sono quelli pugliesi carichi di magenta. Insieme sono un vortice di dolcezze e spigoli diversi, che, rincorrendosi, si integrano perfettamente. Il sedano rapa alla brace e la bernese al caffé sono gli applausi amaricanti che chiudono il cerchio. Una folgorazione edibile. Un’idea. Nuova.



Il pranzo, all’esordio, ha previsto una Torta di zucca e caviale, perfettamente eseguita e languidamente dolce e lussuriosa, seguita da un Ostrica ai carboni, ceci neri e mandorla. Una proposta in cui i ceci smorzano, e di parecchio, la potenza salmastra dell’ostrica. Il medaglione di cioccolato rosa appoggiato on the top, oltre alla dolcezza evoca l’acidità frizzante dei frutti rossi, come a ricordare che le ostriche si mangiavano (e si mangiano ancora) con il limone.



Quando arrivano i Ravioli di funghi, ristretto di pollo e anguilla affumicata e ne osserviamo la forma semi sferica, maliziosamente pensiamo ai celebri bottoni di Enrico Bartolini. È un gossip-pensiero passeggero. In questo piatto è come se l’umidità della terra e la sua grassa ricchezza fossero state concentrate. Fungo e anguilla. Re e regina coreggenti, con un tocco di anice a consigliare di non essere troppo severi. Parlando con Mario e Remo, ci si confrontava sul fatto che l’anice potrebbe farsi sentire un poco di più, magari utilizzandolo anche nella realizzazione del brodo. La simbiosi non perfettamente eseguita è tutta nello Spaghetto al granchio e marasciuoli. Il vegetale pungente dell’erba spontanea, spesso usata nella cucina tradizionale pugliese, copre il sapore della polpa del granchio. Il risultato è un piatto non totalmente legato, nonostante lo spaghetto utilizzato, del pastificio pugliese del Duca, sia di livello pazzesco.


Piccola parentesi pugliese. Avrete notato che la Puglia ha iniziato a fare capolino. C’è una spiegazione molto semplice: gli chef sono pugliesi e, con passione e senza ossessione, valorizzano la loro regione di provenienza. Ci hanno parlato anche dell’ostrica di San Michele, grassa e opulenta, che avevamo già assaggiato alla corte di un altro chef pugliese, Felix Lo Basso. Chiudiamo con il secondo atto simbiotico. Agnello delle Dolomiti Lucane, broccoletto di custoza e peperone di Senise. Remo e Mario sono in fissa con la cottura espressa, e qui si vede quanto la sappiano maneggiare senza che la carne diventi sasso. L’agnello è scottato con il burro per pochissimo tempo e poi riposa a circa 40 gradi per cinque minuti. Questo procedimento viene fatto tre volte. Un dettaglio di tecnica che rende la carne tenera e succosa. Nella denominazione della pietanza non c’è un elemento che secondo me merita tutti gli allori possibili. Il melone. Nel piatto la materia prima si sviluppa longitudinalmente a creare una linea di demarcazione.


Assieme all’agnello, le sue interiora arrotolate, il broccoletto e, a prima vista, quello che sembra essere una mazzancolla. In realtà Mario e Remo hanno usato il melone per avvolgere il peperone alla maniera di una carapace. Dopo averlo assaggiato e con questa rappresentazione in testa, il piatto si può sinteticamente definire l’agnello che va in vacanza, che scende dalle alture lucane e si dirige verso il mare per prendersi una pausa, per vivere qualche giorno più spensierato. Il melone e il peperone riescono a esaltare il carattere dell’agnello, senza toglierne l’anima campestre e l’intensità. Arriva poi un fuori programma. Una trippa e menta di vitello che gli chef propongono solo dopo avere scansionato per bene il cliente. Il fornitore è l’azienda Pantano Carni, vicino a Padova, dove si allevano solo Black Angus. Come pre-dessert per noi è il top. La Meringata di tartufo nero, mandorla e radicchio tardivo segna il termine del nostro percorso.

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Mario è stato in prima linea tutto il tempo. Loquace e discreto allo stesso tempo. Remo è il braccio armato della cucina, il trasformatore live. Mario è perfettamente a suo agio a mostrare un lavoro artistico senza tirarsela, sempre in ascolto, eppure al contempo mai distratto dall’eseguire un grande piatto davanti ai tuoi occhi. Remo non si è ancora abituato alla luce, all’apertura totale, ad essere in sala. Forse perché, per sua natura, si esprime meglio nell’ombra, nel backstage anche quando il backstage fa parte dello spettacolo. Il suo passato da graffitaro riemerge delicatamente, non patinato, piuttosto come una nuvola spray che, per nostra fortuna, non smette di diffondersi. Sono i fratelli Capitaneo e sono simbiotici.

Indirizzo


Verso Ristorante

P.za del Duomo, 21/secondo piano, 20121 Milano MI

Tel: 02 8975 0929

Sito web

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