Chef

Albert Adrià: “Per fare avanguardia servono i soldi. Io oggi vivo di rendita”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina albert adria

A causa dei costi alle stelle e della mancanza di personale, che fa impennare i salari, l’esercizio della creatività pura è ormai diventato una chimera perfino per Albert Adrià, che descrive la formula gastronomica e organizzativa del nuovo Enigma.

La notizia

Il peggio sembra essere passato per Albert Adrià, che dopo la riapertura del suo Enigma con una formula rinnovata, ha riottenuto la stella dopo due anni di limbo. “Non voglio mentire, ci è costato molto riaprire il ristorante, a me come alla squadra. Ci eravamo abituati a un altro modo di lavorare e non volevamo assolutamente riprendere l’abitudine di rientrare a casa all’alba. Ho provato a cedere il locale, ma non ci sono riuscito, c’era da pagare e portarlo avanti. Quindi ci siamo buttati, all’inizio d’ufficio, poi abbiamo creduto nel progetto e ora il coinvolgimento della squadra è totale. Un ristorante trasmette molta allegria, ma anche problemi”.


Stiamo vivendo una seconda giovinezza, con molta forza ed entusiasmo. Anche con la responsabilità di offrire ai clienti quello che cercano: un ibrido fra l’antico Enigma e Tickets. Non ho toccato né lo stile né i piatti di Tickets e ho eliminato gli spetti più estetizzanti, formali e statici di Enigma. Ma se vuoi disporre di personale qualificato, oggi devi offrirgli un orario accettabile. È fondamentale che lavori otto ore al giorno e con il doppio turno sarebbe impossibile. All’inizio intendevamo aprire a mezzogiorno, ma i commensali arrivano insieme e c’è solo un’ora di servizio, mentre la sera sono tre. Semplicemente devo fare 45 coperti perché tornino i conti. Durante la pandemia mi sono reso conto che la mia vita era tossica (lo racconta qui, per esteso). Ora riesco a tornare a casa a mezzanotte e nel fine settimana siamo chiusi. Abbiamo intravisto questa possibilità, perché molti ristoranti il lunedì non aprono. Per il momento funziona. Ed è un modo per curare il personale”.

@LAIA BENAVIDES



Di fatto, a causa di uno scontrino medio da 250 euro, di cui 75 in anticipo, la clientela è quasi interamente straniera. “Ho solo una carta di 30 piatti e la grande differenza è che manca il prezzo finale. C’è spazio per 45 ospiti accuditi da 45 persone in uno spazio di 700 metri quadrati, quindi i costi sono enormi. Il prezzo delle materie prime continua a salire ogni giorno, così come i salari, visto che occorre retribuire bene un personale qualificato che scarseggia. La gente chiede fra 15 e 25 piatti. Se ognuno dei 45 commensali mangia in media 18 piatti, sono 600-700 preparazioni al giorno. Per questo abbiamo bisogno di tanto personale e il menu costa quello che costa. Non è una cifra folle. Il pagamento anticipato allontana, è vero, ma all’inizio senza menu c’era chi spendeva 50 euro e i conti non tornavano. Con l’impoverimento della classe media, si spendono in media 40 euro a Barcellona e 60 a Madrid”.

@LaVanguardia-Web



“Poco alla volta, stiamo scrivendo il nostro stile. I cuochi escono in sala per spiegare i piatti e finirne alcuni. Ci sono elaborazioni in condivisione e altre no, tradizione e avanguardia si danno la mano, la tecnica è spesso nascosta, perché non è una cucina di ghirigori né di storielle. Il nostro DNA è nel sapore e camminiamo verso la sostenibilità. Ho tutte le ricette del mondo e posso disporre del mio lavoro. Il processo creativo è molto istintivo, perché ancora non abbiamo potuto attivare il taller. Al momento è necessario investire ore nel ristorante e metterlo in marcia a gennaio per formalizzare la creatività. Per tutta la vita mi sono mosso istintivamente, quindi partiamo da idee basiche”.

Sashimi di melone



“Si parla tanto di creatività, ma conosco pochi cuochi creativi al mondo. Per esserlo servono tre cose: denaro, denaro, denaro. Serve per comprare lo spazio, il tempo e la squadra. Il tempo ora non ce l’ho. Per questo vivo di rendita, come tantissimi altri. Per me c’è solo un posto che ha la creatività nel suo DNA ed è il Mugaritz di Andoni Luis Aduriz. Ma un ristorante è una fabbrica di errori, è qualcosa che ho imparato a elBulli, perché quando la gente aspettava sei mesi per mangiare nel migliore ristorante del mondo, niente era abbastanza”.


Fonte: La Razon

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Foto di copertina: @Elisenda Pons

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