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Chi è Alessandro Nigro Imperiale, l’italiano eletto miglior sommelier dell'anno

di:
Alessandra Meldolesi
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Non era mai successo: per la prima volta la Francia incorona un sommelier italiano. È il trentunenne Alessandro Nigro Imperiale, già campione AIS in carica, premiato anche da Gault & Millau.

La notizia

Non erano ancora finiti i festeggiamenti per Alessandro Nigro Imperiale, laureato appena un mese fa migliore sommelier d’Italia a Sorrento dall’AIS in una finale combattutissima, strappata infine al romagnolo Marco Casadei. In palio, oltre al premio Trentodoc, una borsa di studio per proseguire la sua formazione ai più alti livelli. Incalzava infatti un altro premio, se possibile ancor più prestigioso: quello per il migliore sommelier dell’anno (ovviamente su suolo francese) da parte di Gault & Millau, mai andato in precedenza a un connazionale.


Attualmente in forze presso il Grand Hotel Saint-Jean-Cap-Ferrat, Costa Azzurra, in qualità di head sommelier, Alessandro è stato prontamente ribattezzato dai giornali francesi “l’empereur du vin”. Di sicuro è un animale da concorsi, visto che già nel 2019 aveva riportato quello per il migliore sommelier pugliese.Sono solo un sognatore, per me il vino è un invito a viaggiare”, si schermisce. “Quando ho ricevuto la chiamata dal direttore di Gault & Millau, mancavano due giorni al concorso. Mi ha detto che aveva una bella notizia per me. Non riuscivo a crederci e ho chiesto: perché proprio io? Ha risposto che avevo meritato per il mio modo di fare, le emozioni che trasmettevo, la diversificazione della carta. Avevo il vincolo di non parlarne fino all’ufficializzazione, ma dentro di me ho sentito una grande forza”.


Resta un anno da incorniciare per questo ragazzo nato a Foggia trentun anni fa da una coppia di contabili, folgorato da Bacco a diciott’anni, quando lavorando in una trattoria, da profano totale si è ritrovato per le mani le prime bottiglie. Giovanissimo sommelier, poi degustatore ufficiale, si è quindi laureato in viticoltura ed enologia presso l’università cittadina con una tesi sugli aspetti critici delle fermentazioni spontanee nella produzione di vini naturali con uve provenienti da regime biodinamico, mentre frequentava anche l’Institut des Sciences de la Vigne et du Vin di Bordeaux. Titoli che ha voluto spendere sulla scena parigina, accreditandosi prima presso il Moulin de la Galette, poi quale assistant head sommelier alla Dame de Pic con Anne-Sophie Pic e con lo chef stellato Simone Zanoni e un altro campione AIS, Gabriele Del Carlo, a Le George, dove ha assunto mansioni anche manageriali.


Quando sei stato premiato dall’AIS, hai subito detto che ne sarebbe uscita rafforzata la tua missione di ambasciatore del vino italiano all’estero. Come si esplica?

La struttura dove lavoro è un resort con sei diverse carte dei vini, che gestisco con i miei collaboratori: oltre al ristorante stellato, il bistrot chic, il ristorante da piscina, il bar, gli eventi, il room service… Quando sono arrivato c’era una carta à l’ancienne, limitata alla Francia. Ma anche qui il mondo dei wine lovers si sta interessando sempre più al vino italiano, quindi ho iniziato a comprarlo e oggi rappresenta un terzo della selezione. Perché la carta dei vini è come la cucina di uno chef, deve riflettere un’identità. Il riscontro è stato più che positivo.


I francesi conoscono già i loro vini e ne vanno giustamente fieri, per questo sono sempre curiosi di provare quelli degli altri e sanno che ci siamo anche noi sul sommet. Il focus è sulle grandi denominazioni piemontesi e toscane e sui cru, ma mi piace toccare un po’ tutte le regioni. Qualche tempo fa c’era al tavolo un cliente olandese che ha chiesto un calice di rosso a nostra discrezione. Il direttore di sala gli ha portato un Barolo La Morra 2017. Lui si è stupito: il vino era buonissimo, ma non si aspettava quella scelta da un francese. E mi ha fatto i complimenti per le mie capacità di persuasione. Sui bianchi invece c’è ancora un gap da colmare, tranne qualche eccezione.

La tua tesi di laurea ha indagato i vini naturali, che conosci anche dalle tue esperienze di cantina in Abruzzo.

Ho lavorato sia con Stefania che con Emidio Pepe. I vini naturali mi incuriosiscono, ma non sono fan. Per me ci sono solo i vini buoni e quelli cattivi, il resto è moda e come tale passerà.


A colpire nel tuo percorso è la duplice formazione da enologo e da sommelier di ristorante. Hai già lavorato per la tenuta sudafricana Villiera Wines e in Languedoc Roussillon per Domaine Grier. La scelta della sala è per sempre?

Sì. L’ho compiuta nel 2017, quando lavoravo in entrambi i ruoli. Mi sono chiesto cosa fosse giusto fare e ho scelto. A me piace moltissimo relazionarmi con il pubblico. In una cantina assaggi solo il tuo vino, manca il rapporto col mondo esterno; qui al ristorante invece incontro ogni giorno clienti da tutto il mondo, è come una formazione continua.

Il momento per la sala, tuttavia, non è dei migliori.

Il covid ha cambiato le carte in tavola, nel senso che abbiamo riscoperto la vita di casa. Nella ristorazione facciamo orari strani, quando lavoriamo la gente fa festa. Improvvisamente abbiamo riassaggiato momenti dimenticati e in molti hanno pensato di cambiare lavoro. Inoltre, i ragazzi di oggi sono diversi da noi, appena usciti dalle scuole vogliono già fare i manager, senza passare da commis. Personalmente non ho problemi di reclutamento, a volte si tratta solo di condividere progetti e obiettivi. È il nostro ruolo di leader e di manager, non dobbiamo essere solisti perché da soli non siamo niente.


Su cosa ti concentrerai ora?

Sto spendendo molte energie nella costruzione della carta dei vini 2023, in modo che diventi un punto di riferimento per la Francia del sud. Sto creando una collezione unica di vini piemontesi, paragonabili ai grandi Borgogna anche per cru e annate vecchie; il mio pallino poi è la biodiversità, i nostri 1200 vitigni autoctoni che il mondo ci invidia. Fra qualche anno mi piacerebbe fare qualche concorso internazionale, ma per vincere questo ho affrontato 3 anni di sacrifici. Ora voglio mettere in vetrina le mie esperienze e fare autobranding come ambasciatore del vino italiano. Tornare in Italia? Mai dire mai, in Francia però sto benissimo, è una nazione che mi ha adottato.



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