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Alberto Redrado: "I piatti fine dining? Devono essere buoni, più che belli”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina alberto redrado

Lo Champagne? Sopravvalutato. Come l’estetica e la messinscena in cucina. Quello che conta, per Alberto Redrado, è la soddisfazione del cliente oltre lo spettacolo.

L'opinione

L’Escaleta di Alicante è un ristorante a due stelle Michelin che si è fatto notare non solo per la cucina, ma anche per la carta e la sapienza dei vini. Se ne occupano rispettivamente lo chef Kiko Moya e suo cugino Alberto Redrado, premiato nel 2009 quale migliore sommelier di Spagna. Dal suo osservatorio privilegiato e nelle sue intense peregrinazioni gourmet, compresi viaggi lampo dalla Borgogna al Celler de Can Roca, ha maturato idee chiare sulla ristorazione contemporanea.


I prodotti, per cominciare. Cari? Sopravvalutati? “Nel mio campo, se dovessi parlare di sopravvalutazione, di un prezzo esagerato per la qualità, forse citerei alcune zone vinicole. Per esempio, lo Champagne secondo me è sopravvalutato: troppo caro per quel che bevi veramente”. E in cucina? Conta troppo la messinscena. “Ci sono cose che possono generare uno spazio più interessante, più complesso, più ricco. Ma è sicuro che oggigiorno c’è troppo rumore attorno al piatto, tendiamo a dimenticare che alla fine l’importante è che sia buono.


C’è troppa metafisica in giro e ci perdiamo in stoviglie, confezioni, cianfrusaglie e gadget, nella spiegazione in quanto tale, dimenticando che conta solo che l’ospite al primo cucchiaio esclami ‘che buono’. Non valgono nulla tutta questa energia e tutto questo denaro per l’involucro, se trascuriamo la parte principale, ossia il prodotto che abbiamo nel piatto. Sfortunatamente oggi l’immagine prevale sulla sostanza”.

Alberto Redrado e Kiko Moya



Sono invece persuaso che si tenda a sottovalutare il lavoro quotidiano: l’hôtellerie è un mondo di artigianato, ripetizione. Alla fine a essere sottovalutato è il lavoro delle squadre che hai intorno, forse più in sala che in cucina, dove il riscontro è maggiore. Non è scontato essere tutti i giorni ben disposti, smaniosi, quando si svolge un lavoro silenzioso. Oggi gli chef hanno conquistato una grande visibilità e forse si scorda che dietro di loro esistono grandi squadre, che fanno in modo che tutto funzioni, sia piacevole, sia pronto. Il lavoro della sala è molto più complesso. Trarremmo grande giovamento se valorizzassimo i piccoli lavori nelle brigate dei ristoranti”.


“Mi sembrano un controsenso la ricerca di materie prime eccellenti, ogni volta più straordinarie, e il gusto della gastronomia oltre la cucina. Se c’è una cosa che invidio molto agli chef che credo di conoscere fuori dalla Spagna, siano essi francesi o italiani, è il concetto di gastronomia totale. È una generalizzazione, ma vedo chef più centrati sulla propria arte e meno curiosi di generare proposte complete.


Preoccuparsi di un cliente che ama i distillati con una proposta in materia. Dedicare tempo al vino e a come accompagnarlo. Poi nell’alta cucina vorrei trovare materie prime migliori. In Francia e in Italia è la norma, ma in Spagna per esempio c’è troppo prodotto fuori stagione. Bisognerebbe recuperare questa figura del cuoco che fa acquisti quotidiani, va al mercato e vede quello che c’è. Qualcosa di molto romantico e di arduo, visto che i ritmi delle squadre di ricerca e sviluppo non sono sintonizzati con quelli del mercato”.


Fonte: bonviveur.es

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Foto tratte dal sito ufficiale del ristorante Escaleta

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