In un castello millenario a 20 chilometri da Torino, un giovane chef riporta in vita antiche preparazioni e sapori dimenticati, esaltando la cucina medievale con tecniche moderne: è Fabio Sgrò, al timone della Locanda della Rocca di Arignano con la consulenza di Ugo Alciati.
La Storia
È un viaggio nel tempo quello che si fa alla Rocca di Arignano, non solo per la struttura degli anni 1000, ma anche per il menu che si rifà alle vecchie ricette medievali. Ma partiamo dagli inizi, da una storia d’amore e da un sogno comune che si è trasformato in un progetto di vita.Luca Veronelli ed Elsa Panini - lui erede di una famiglia imprenditoriale e consulente aziendale, lei biologa con la passione per la cucina – sono marito e moglie con tante passioni, fra cui l’arte, l’enogastronomia e l’antichità. Da sempre hanno un desiderio condiviso: vivere e lavorare a contatto con la natura, in un contesto che abbia quel gusto del vissuto che dona a tutto un sapore diverso.
Nel 2016 leggono un annuncio molto originale - “Vendesi castello con tesoro e fantasma” – cha da subito attira la loro curiosità e li spinge e fare un sopralluogo al suddetto castello con fantasma, che dista solo 20 chilometri dalla città di Torino.
Il maniero diroccato si trova nel paese di Arignano, al confine con il Monferrato, ed era stato lasciato andare, nel corso dei secoli, in uno stato di degrado e abbandono tale per cui la natura ha preso il sopravvento sui ruderi del castello, e si era ripresa i suoi spazi, pur conservando tutto il fascino originario. Per Luca ed Elisa è amore a prima vista: sin dal primo istante intuiscono la potenzialità del luogo e realizzano che il loro desiderio è far risplendere la Rocca e ridarle quella vita che le è stata rubata secoli fa.
La Rocca è posizionata nella parte più alta di Arignano, dove si sviluppa il nucleo medievale, e nelle giornate limpide lo sguardo dalle terrazze panoramiche si perde tra le colline del Monferrato, la Basilica di Superga e la cornice delle Alpi. L’edificio, altero e sovrastante tutto il paese, è composto da tre livelli di edificazione: uno del 1000, uno del 1200 e uno del 1300, epoca in cui è stato eretto il corpo di fabbrica centrale, interno rispetto ai bastioni, dove attualmente si trovano tutti gli ambienti abitati, che all'epoca, però, non fu mai ultimato.
“A differenza di tutti gli altri edifici medievali che troviamo in Piemonte, la Rocca è rimasta dormiente dal 1400. In questo è uno dei più rari esempi di architettura medievale rimasta intatta con il passare dei secoli” spiega l’architetto Massimo Raschiatore che, con la supervisione della Soprintendenza Archeologica, data la natura storica dell’opera, ha curato i restauri.
“Fin da subito era evidente che la sfida non sarebbe stata delle più semplici. Per capirlo bisogna guardare le foto dell’avanzato stato di abbandono in cui si trovava la Rocca. Per questo sono felice che la proprietà abbia deciso di dedicare un'ala della struttura alla memoria storica dei lavori fatti”. I nuovi volumi, infatti, sono stati studiati in modo tale da integrarsi nell’impianto architettonico, seguendo un filo conduttore comune dell’originalità e del recupero.
Un lavoro certosino fatto su tutte le murature, a partire dalla spazzolatura dei mattoni, fino al ripristino delle malte e delle parti mancanti, così come sono stati mantenuti i piccoli arbusti incastonati nelle murature. I nuovi volumi, come il corpo ascensore, sono stati studiati in modo tale da integrarsi nell’impianto architettonico. L’interno dei bastioni è stato liberato dai terrapieni e destinato a spazi di servizio come le ampie cucine o la cantina. Le pavimentazioni, l’illuminazione e gli arredi, seguono tutte un filo conduttore che è quello dell’originalità e del recupero.
Sono anche state ricavate sei stanze dove gli ospiti possono vivere l’esperienza della Rocca, riposare in ambienti che non hanno avuto abitanti per secoli, guardare da quelle finestre che, per 700 anni sono rimaste serrate. Ogni camera ha mattoni che rivestono le generose altezze, materiali di recupero, vecchie ceramiche, legno, ferro grezzo, velluti e portoni borchiati che sanno di storia.
Non manca la suite della Camera della Guardia con accesso privato, che prende il nome proprio dalla sentinella che qui riposava al termine della ronda, e la Camera della Trinità, la suite a doppia altezza con vasca idromassaggio, che culmina con il terrazzo privato che si trova a 30 metri di altezza da cui si può godere di un panorama che lascia senza fiato (non manca una stanza adibita allo spazio benessere solo su prenotazione per gli ospiti della Rocca).
Insomma, percorrere le mura, affacciarsi dalle alte torri, girare per le numerose stanze e ambienti che ancora conservano, dove possibile, dettagli, decori e arredi del passato, o passeggiare nel Giardino dei Semplici dove svetta l’imponente Cedro del Libano, è un qualcosa che non si può descrivere.
Oggi Luca ed Elsa, soddisfatti della scelta fatta, si dividono in compiti: se lui racconta la dimora storica, con aneddoti e curiosità, a chi ha voglia di conoscere la storia di questo antico castello abbandonato per 700 anni, lei è la direttrice creativa della Scuola di Cucina della Rocca e dispensa consigli per un’alimentazione salutare e genuina agli allievi dei corsi. Un incastro esemplare, il loro, che resiste nel tempo e ha ancora tanta voglia di fare.
Foto: Crediti Elisa Carucci
Il Ristorante
A firmare la carta del Ristorante La Locanda della Rocca, lo chef Ugo Alciati, del Ristorante Guido, 1 Stella Michelin. Chiamato a coordinare il progetto ristorativo, ha scelto come executive chef Fabio Sgrò, classe 1985, dopo aver instaurato con lui un rapporto umano prima ancora che lavorativo.Fabio, oltre alla Scuola Alberghiera a Barolo, annovera importanti esperienze presso alcuni fra i più importanti alfieri della ristorazione locale: da Massimo Camia alla Locanda del Borgo Antico a Barolo, 1 Stella Michelin, passando per il Ristorante L’Enoteca di Canale, con lo chef Davide Palluda, e la Locanda del Pilone di Alba prima di approdare al ristorante Marcelin di Montà come sous chef, alla giovane età di 20 anni.
Da qui decide di fare un passo indietro e va l’Albereta di Erbusco (BS) per uno stage quando vi è ancora – seppur non come executive chef – Gualtiero Marchesi. L’esperienza lo riporta con i piedi per terra, gli insegna che ha ancora molto da imparare. Dopo alcune esperienze da chef de cuisine, nel 2011 ritorna nel ristorante che aveva lasciato da sous chef – il Marcelin di Montà – per ricoprire la carica più importante, quella di executive chef. Rimane al ristorante fino al termine del 2014, quando si imbarca per Hong Kong per un “chiamata” di Umberto Bombana che gli propone di prendere in mano la brigata del ristorante italiano La Piola, del gruppo di proprietà dello chef.
L’esperienza orientale traccia in lui un solco fondamentale e lo segna incredibilmente: “L’ Oriente mi ha dato una grande apertura mentale nei confronti della ristorazione, mi ha permesso di conoscere modi diversi per esprimere un concetto in cucina che sia buona, sana e di gusto. A Hong Kong avevo la possibilità di assaggiare 60.000 ristoranti di varie etnie e poi ero vicino a tutto".
"Avevo un’idea chiara della cucina ma, nel corso di quegli anni, si è evoluta sensibilmente, anche nel rapporto con la brigata. Ho imparato a capire le sfumature dei piatti: ero abituato a lavorare in maniera più lineare, con gusti definiti, invece adesso la mia cucina è più ricca di sapore, più confusa. Da ogni esperienza fatta mi sono arricchito personalmente e professionalmente, tutti i cuochi e le persone che ho incontrato mi hanno lasciato qualcosa di grande. La cucina è stata, per me, una grande lezione di vita, è come fare il militare, l’effetto domino è importante”.
Dopo tre anni lontani dall’Italia, arriva il momento di fare ritorno: è la fine del 2017. Dopo una parentesi come executive chef all’Albergo dell’Agenzia di Pollenzo e alcune collaborazioni e consulenze, si rimette di nuovo in gioco per un progetto unico. Si tratta della Rocca di Arignano, un millenario castello il cui ristorante, La Locanda, vede la sua presenza come executive chef con la consulenza del maestro Ugo Alciati, che l’ha personalmente scelto per l’occasione.
L’obiettivo dei due chef è stato quello di realizzare una proposta cucita su misura sullo storico luogo di epoca medievale, documentandosi sulla cultura e le abitudini gastronomiche del tempo. Il risultato è un’offerta che si ispira a quel periodo storico – per l’utilizzo di alcune spezie, come lo zenzero o lo zafferano, o per il servizio di un’entrée che non prevede la presenza di posate - e viene realizzata con prodotti del territorio, al fine di soddisfare rispettivamente le richieste della proprietà e quelle implicite dello scenario, senza perdere di vista le esigenze più che mai attuali della clientela.
“Noi qui conviviamo con una struttura dalla forte personalità a cui ci siamo adattati. Si respira la storia, vicende lontane che hanno segnato il luogo e con la cucina cerchiamo di raccontare un’epoca passata con tecniche moderne. Abbiamo preso vecchie ricette dai libri che ha acquistato la proprietà e abbiamo cercato di snellire e attualizzare, pur mantenendo degli ingredienti di base come la salsa per il carpaccio è esattamente come quella di un tempo (pane arrostito, zenzero, aceto e acqua). Nel nostro Giardino dei Semplici, dove ogni specie botanica è stata messa a dimora sia con scopi didattici che gastronomici (sono molte le piante edibili), abbiamo tantissime erbe che andiamo sempre a cambiare” ci spiega Sgrò.
Questo menu, il primo e unico per ora, ha subito alcune modifiche perché “i piatti si evolvono spesso, in base a quello che ci offre il territorio”, spiega lo chef. “Cambiano all’80% giornalmente, perché abbiamo a disposizione le verdure fresche che porta Paolo Gilardi, detto ‘Badola’ (‘stupido’ in dialetto piemontese; soprannome assegnatogli da un compagno di basket quando aveva sbagliato malamente un tiro libero), il responsabile della produzione agricola della Rocca di Arignano che coltiva, nella collina di Pino Torinese, tutto ciò che gli altri contadini hanno scelto di non produrre - zucchine gialle, rabarbaro tedesco e rafano austriaco, solo per citarne alcuni".
"Per il resto degli ingredienti cerchiamo di recuperare quanto ci è possibile dai produttori qui intorno: il 90% arriva da persone che vivono ad Arignano o nei dintorni. Mentre per la tinca o le anguille ci rivolgiamo a un’azienda di Ceresole. Cerco il prodotto migliore per le mie esigenze, pur restando vicino e collaborando con chi ha la nostra stessa filosofia di non spreco e sostenibilità”.
Il risultato è una proposta di cucina singolare: da un lato in grado di richiamare gli usi di un tempo e dall’altro la contemporaneità. Locale, stagionale ed etica sono le tre caratteristiche imprescindibili per la selezione delle materie prime, al fine di ideare un’offerta di cucina in linea con il territorio e in sintonia con il panorama naturale.
Foto piatti: Crediti Frollemente
I Piatti
Il piatto-icona di Sgrò è l’insalata di cipolle, “realizzato con cipolla piattina bionda di Andezeno, brassicacee - come la portulaca trovata nel selciato vicino alla limonaia, le foglie di barbabietola – affumicate, ravanelli, buccia di cipolla arsa, burro ai fiori e cialda di pane; un piatto elaborato ma semplice, pettinato ma senza esagerare, che ben rappresenta quello che avrebbero potuto mangiare nel Medioevo”.Un concetto di piatti originali, molto incentrati sul vegetale e ispirati alle antiche ricette medievali, ben si evince tra i primi, dove propone solo pasta fresca fatta in casa, come gli agnolotti di faraona arrosto con fondo al Marsala, un grande classico eseguito con grande maestria, o gli gnocchi di patate, leggeri e corposi allo stesso tempo, con caprino, carota, foglie delle stesse e polvere di cipolla arsa o i tagliolini integrali con ragù bianco (pollo del Tonchese e coniglio grigio di Carmagnola).
Ma anche tra i secondi dove troviamo un “semplice” uovo morbido con fonduta di Bra duro e radici, un mezzo pollo di pascolo arrostito con spinaci e patate con salsa di burro bruciato o la quaglia scottata con salsa al limone e zenzero e verdure dell’orto.
In chiusura la granita di pesche bianche, la torta al cioccolato con le ciliege di Pecetto, il biancomangiare con frutta secca sabbiata e la frolla con pere al vino rosso: piatti che chiudono in dolcezza un menu costruito con equilibrio.
Per l’autunno Fabio sviluppando nuove idee, stimolato da questo posto che per lui è “arricchimento culturale e uno studio continuo”, e da metà settembre ci saranno alcune nuove portate, più complesse, come la tinca con brodo di betulle e interiora fritte, per un nuovo menu sempre coerente con le esigenze della proprietà e della clientela (saranno proposti pranzi light per snellire il servizio e mantenere un menu più corposo per la cena).
La sala è gestita da Mattia con una proposta dei vini, territoriale, quindi Piemonte, con una predilezione per le etichette locali e qualche disgressione francese tra Champagne e Borgogna. Piccole cantine e piccoli produttori che seleziona e cerca personalmente, girando la zona (ad esempio per la Freisa, vino locale, ha trovato un vinificatore che la fa in più versioni - superiore, in anfora, vivace, con metodo Martonotti e, a breve, una bollicina), ma portandosi dietro anche qualche vecchia conoscenza. C’è anche la birra di un birrificio artigianale, Filodilana che, nella versione al caffè, per esempio, abbina al biancomangiare.
Foto piatti: Crediti Frollemente
Indirizzo
Locanda della Rocca di ArignanoVia Gino Lisa, 16, 10020 Arignano TO
Tel. 0114031511
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