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Da apprendista pasticcere a chef con 22 stelle Michelin: com’è nato il mito Alain Ducasse

di:
Alessandra Meldolesi
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Come è riuscito Alain Ducasse ad ottenere ben 22 stelle Michelin aprendo ristoranti nei luoghi più prestigiosi del mondo? Ecco la storia della sua carriera e le scelte che lo hanno portato ad un successo planetario.

La Notizia

Oggi ha 22 stelle Michelin e una trentina di ristoranti, su cui non tramonta il sole. Ma c’è stato un tempo in cui Alain Ducasse era un apprendista brufoloso come tanti. Lo ha raccontato durante una trasmissione di LCP, canale del Parlamento francese, mentre degustava con i giornalisti il suo menu in delivery.

“Ero commis chocolatier da Lenôtre ed esitavo fra la cucina e la pasticceria. Poi è arrivato un ragazzo di 16 anni, si chiamava Pierre Hermé, ho capito subito che sarebbe stato migliore di me e ho scelto il salato. Con Gaston Lenôtre ho imparato a fare i croissant; dagli altri, Roger Vergé, Alain Chapel, Michel Guérard, ho cercato di prendere il meglio. Poi ciascuno deve raccontare la sua storia. Ma non si smette mai di imparare, bisogna sempre fare di più e meglio. Dall’alberghiero sono partito prima del diploma perché volevo andare più veloce”.


Da novembre il grande chef dirige la sua scuola, un campus da 5000 metri quadrati fornito di tecnologie avanzate e di un orto, che mira ad affermarsi come punto di riferimento mondiale. Le nazionalità degli iscritti, si compiace, sono decine. A dispetto delle restrizioni, è stato acconsentito al fatto che gli allievi possano arrivare e partecipare da tutto il mondo, in modo da apprendere l’art de vivre francese. E i migliori possono sperare di entrare nelle brigate del gruppo per un concetto di rete.

Certo la situazione non è facile. Operando su tre continenti, Ducasse fa presto a tracciare i suoi paragoni. “A New York non abbiamo praticamente chiuso, sfruttando gli spazi esterni al 50 %, anche se fuori c’erano meno 10 gradi. Si poteva fare anche in Francia? Chissà. Sta di fatto che molti ristoranti non riapriranno più, noi cercheremo di inaugurarne altri due. Perché l’ottimismo è una decisione del mattino. Ci si può lamentare o si può cercare di uscirne facendo nuove cose, e io ne faccio tante. Col cioccolato per esempio abbiamo lavorato benissimo. Penso che tutto ripartirà molto in fretta, molto bene, siamo molto ottimisti. Non è facile, certo, siamo dei sopravvissuti, ma non bisogna lamentarsi. Questa crisi mostra la necessità di adattarsi. Ci sono quelli che hanno problemi e quelli che hanno progetti per affrontarli”.


Ed ecco l’asporto, che Ducasse ha scelto di non praticare dai suoi tre stelle. “C’è chi lo fa, personalmente non mi sento capace. L’alta ristorazione è un ambiente, comprende la cristalleria, l’argenteria, il servizio, il momento. È una storia globale che necessita del suo involucro. Ma il click and collect è una forma di adattamenti. Non potevamo restare ad aspettare lamentandoci e immagino che alla fine qualcosa resterà, quando ritroveremo il piacere di andare in bottega e al ristorante”.

Il menu Naturiste, venduto sul sito a 25-30 euro, porta i caratteri della “naturalité”, concetto che ispira la recente fase creativa dello chef. Secondo i dizionari, questo indica il carattere di ciò che è prodotto dall’azione stessa della natura, senza interferenze.


“Amo i mercati, la natura generosa del Mediterraneo. Sono sempre stato interessato al cibo sano, anche se nei miei bistrot propongo una cucina di grande tradizione. Sono diverse collezioni. Cerco sempre di essere il migliore nella categoria in cui gioco, scegliendo i collaboratori più bravi. In questo caso si tratta di rendere la ‘naturalità’ accessibile ai più, mettendo al centro le verdure e usando le proteine, soprattutto pesce azzurro, come condimento. Personalmente mangio pochissima carne, ma eccellente. E del vegetale uso tutto, anche le bucce essiccate e fritte in polvere a mo’ di spezia. Oggi sono mode, ma io preferisco anticiparle. Fare bene al giusto prezzo per più persone: è questo il nuovo cibo etico”.

Ducasse, racconta, ha perfino rimesso in produzione l’orto della regina a Versailles: “Maria Antonietta amava le verdure, in particolare i piselli e gli asparagi, mentre l’orto del re è piuttosto un frutteto. Le tecniche di coltivazioni sono ancestrali, non bio: si innaffia molto poco, si favorisce l’impollinazione con metodi naturali, ma in certi momenti potrebbe essere necessario un trattamento per non perdere il raccolto”.

Fonte: Food & Sens

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