Alta cucina

L’aspic di astice perfetto: la grande cucina classica francese dimenticata rinasce in Toscana con Angelo Torcigliani

di:
Alessandra Meldolesi
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torcigliani aspic

Tra i piatti simbolo della grande cucina classica francese. Ripescato in maniera magistrale da Angelo Torcigliani. Rinasce così il sublime aspic di astice reso perfetto nelle consistenze con il brodo luminoso e gelificato al punto giusto, attraverso tecniche maniacali.

La Storia e Ricetta

I classici? Il problema non è se siano attuali ai giorni nostri, ma se lo siamo noi rispetto a loro, ammoniva lo scrittore Giuseppe Pontiggia. Il quesito torna inevitabilmente in mente quando il pensiero corre, insieme alle ginocchia dei più fortunati, ad Angelo Torcigliani, anticonformista della cucina con pochi eguali in Italia.

Nella gola la sua è la quarta generazione: un DNA che si conficca a fondo dentro la materia, un giro di vite e un colpo di testa dopo l’altro. In origine era il bisnonno Settimo, che in piena seconda guerra mondiale aprì un punto di ristoro dedicato alle tipicità toscane, chiamato Il Merlo; poi il nonno Guido, fondatore di un emporio con bar per il quale transitavano i blasoni del vino francese; quindi Claudio, che con la moglie sfoglina, Romana di nome ma emiliana di origine, volle ampliare l’offerta a qualche piatto caldo. Infine Angelo, che dopo l’alberghiero e qualche stage ha riaperto il Merlo, prima nel retro della gastronomia, alla maniera di Cantarelli, poi sul mare. Il suo romanzo sentimentale di autodidatta è stato scritto nei migliori ristoranti del mondo, in veste di cliente però, e non di cuoco.



Chi altri, se non lui, poteva ripescare una ricetta tanto sublime quanto dimenticata, o forse rimossa: l’aspic, dal latino aspis, a causa della forma spiraliforme degli stampi, della temperatura fredda come il sangue dei rettili, dello scudo minerale in gelatina. Nella cucina d’antan era un’entrata fredda, ben descritta da Alexandre Dumas. Torcigliani però è partito dai precordi di un’infanzia spesa nelle gastronomie di famiglia, quella del padre Claudio e quella del cugino a Lido Di Camaiore. Ed era un tripudio di cime alla genovese, terrine e pâté con e senza croûte, perfino aragoste in bellavista. “Allora è nato il mio amore per questi piatti, che si è definito maturando esperienze sul campo. Si tratta di ricette che ho rivisto sulla base delle mie conoscenze e della selezione della materia prima, in questo caso piccoli astici pescati locali, spesso blu del Tirreno. E c’è la ricerca alchemica del brodo perfetto e della chiarificazione a regola d’arte, con una presentazione dalle geometrie maniacali. Lo servo in antipasto con la maionese, ma anche una mousseline con la panna montata va bene”.


L’idea è riaffiorata per il delivery delle festività natalizie, insieme alla faraona cotta nella creta e al boeuf Wellington, perché è un piatto scenografico, che quando è eseguito con cognizione e con amore è grandissimo. Per me è qualcosa di naturale, ma è stato messo da parte, forse perché la gelatina evoca preparazioni vecchie o addirittura poco genuine. Mentre nel mio immaginario era il trionfo del garde-manger dei grandi alberghi, laboratori dove si confezionavano sculture di burro e di ghiaccio, più simili ad atelier di falegnami che a cucine di ristoranti. Il concetto è moderno: si tratta di usare tutto degli animali, ma occorrono molta tecnica e altrettanto lavoro per centrare il gioco di consistenze con il brodo luminoso e gelificato al punto giusto, tremolante e non gommoso. In passato lo preparavo anche di terra, con foie gras grigliato, lingua di manzo salmistrata e gelatina di coda di bue”.

Il risultato somiglia per luminosità e geometrie a quel diamante, che per Roland Barthes assomma tre caratteristiche: brillantezza, durezza e limpidezza. In questo caso un brillante effimero come la bellezza della cucina, orbato della durezza che è durata in favore del languido piacere. Un’esperienza da conservatorio della grande tavola e museo di storia della cucina, dove imparare a essere noi, abbastanza attuali per rovesciare il Santo Graal in gola. In abbinamento un altro oro luminoso: quello del Trebbiano Casale 2004, per la leggera ossidazione, quasi da Vin Santo, indissolubile dal brodo.

 

ASPIC DI ASTICE 


Ingredienti per 4 persone 

2 astici da 300 g l’uno 

1 costa di sedano 

1 carota 

mezzo porro 

prezzemolo, cerfoglio, aglio 

1 pezzo di anice stellato 

1 testa di cernia o altro pesce grande 

100 g di polpa di gambero biondo 

1 albume

2 cucchiai di Pernod 

2 fogli di colla di pesce 

Sale e pepe

 

Procedimento


Bollire l’astice e raffreddarlo in acqua e ghiaccio, spolparlo, quindi con le teste, la testa del pesce grande, odori e aromi preparare un buon brodo. 

Quando sarà pronto, aggiustare di sale e pepe, e procedere alla chiarificazione tramite la polpa di gamberi biondi e l’albume sbattuto. Alla fine controllare il grado di gelificazione del brodo e aggiungere la colla di pesce ammollata in acqua e due cucchiai a crudo di Pernod. 

Prendere uno stampo a ciambella da aspic poggiato su ghiaccio tritato, versare sul fondo mezzo centimetro di brodo e lasciare solidificare, poi iniziare a sistemare le carote e i porri del brodo, tagliati a pezzettini. Aggiungere ancora brodo e fare solidificare. Quindi mettere i pezzetti di astice in modo armonico e regolare, coprire di brodo e lasciare gelificare. Ripetere sino a esaurimento ingredienti (verdure, astice, brodo). 

Lasciare una notte in frigo, quindi il giorno dopo sformare con l’aiuto di in cannello per staccare dallo stampo di alluminio. Servire a fette con maionese e cerfoglio fresco.  

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