Maître e Sommelier

Chi sono i re della sala secondo la guida Michelin 2021: ecco il miglior maitre e il miglior sommelier della ristorazione italiana

di:
Alessandra Meldolesi
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sala guida michelin 2021

Abbiamo intervistato le nuove stelle della sala 2021 per la guida Michelin. Ecco chi sono Christian Rainer e Matteo Circella

Christian Rainer

Christian Rainer - Miglior direttore di sala per la guida Michelin 2021


Non bastava il premio Espresso strappato lo scorso anno: sempre lui, l’altoatesino Christian Rainer, ha virtualmente ritirato dalle mani delle sorelle Cotarella, sponsor attraverso la scuola Intrecci, anche il titolo di miglior direttore di sala per la guida Michelin 2021. La maison tuttavia nel frattempo è cambiata: non più il St.Hubertus di Norbert Niederkofler, ma il ristorante Peter Brunel ad Arco.  “Fantastico. Sono molto emozionato. È come vincere la Champions League”, esulta.



  • Dopo i primi passi mossi nell’albergo di famiglia, Goldenes Kreuz a Schnalstal, la tua formazione si è svolta nell’hôtellerie di alta fascia, fra Alto Adige, Germania e Francia.  


L’Auberge de l’Ill è stato la mia prima esperienza a fianco di un grandissimo chef, Marc Haeberlin, e di un sommelier campione del mondo. Era un servizio più classico, fino alla lampada. Una lezione utilissima, che ho fatto evolvere in qualcosa di mio. Per esempio facciamo i cocktail al tavolo o il servizio del caffè, mentre Peter spiega i piatti, perché ci mette il cuore. Io non cambio come persona: sono come sono, uno che si mette a tavola. Quando sono in servizio, è come stare seduto con gli ospiti. Per me l’importanza della sala è spesso sottovalutata. Una brutta esperienza è forse più dannosa della cattiva cucina. Voglio che i clienti passino una serata a 360 gradi, che ricorderanno per anni. E sono in tanti a confermarmelo.

 

  • Come definiresti il tuo approccio?


La mia idea di servizio è la cura dei dettagli: stile impeccabile, accoglienza con naturalezza e lavorare con il cuore. Bisogna capire il cliente in due minuti, entrando nella sua psicologia, senza sottovalutarlo. Per me conta molto anche il fattore wow: i desideri vanno anticipati con tanti piccoli accorgimenti extra. Per esempio se l’ospite ha gli occhiali, metto il tovagliolino accanto e con permesso nel caso li pulisco. Ricordo un cliente che faceva 300 ristoranti l’anno, in Italia e nel mondo; mi disse: “In 23 anni non mi era mai capitato”. Bisogna fare attenzione a tutto: se cade un tovagliolo, se il cliente diventa nervoso, l’acqua, le briciole…



  • La sala italiana è diversa rispetto a quella francese o germanica?


In Italia l’accoglienza è nel sangue, soprattutto a sud. Lo constato girando. In Germania sono bravissimi, hanno grandissime sale, ma è tutto un po’ freddo. In Francia sono di nuovo bravissimi, ma molto impostati.

 

  • Nel tuo curriculum c’è anche il Weinkulturpreis. Quanto è importante il vino per un uomo di sala?


Il vino è importantissimo. Punto sugli abbinamenti: ogni piatto ha il suo vino ideale, da servire alla temperatura corretta e nel bicchiere migliore, tipo Zalto. Mi piace decantare per gli amici ed è un momento in cui mi siedo a tavola con loro. In cantina ci sono ragazzi che mi danno una mano, ma io voglio un servizio fluido, dove mostro tutto a tutti e i ruoli cambiano.



  • Un dettaglio che non ti sfugge mai da cliente?


Si trascurano l’accoglienza, il saluto, il sorriso all’inizio. Ma se sorridi hai già vinto.

 

  • Pensi che l’emergenza sala si stia risolvendo?


Penso positivo. Sono molto happy, già collaboro con l’alberghiero di Merano, ma oggi esistono altre scuole come Intrecci, dove è possibile trasmettere la conoscenza. Mi riconosco nelle loro 3 C: Classe, Carattere, Calore, quindi eleganza, accoglienza senza invadenza, autenticità intesa come capacità di distinguersi, restando fedeli a se stessi e al proprio territorio. I ragazzi interessati alla professione sono più numerosi di un tempo. Vedo subito se ascoltano, seguono, iniziano a muoversi come me, se sono in ordine e arrivano puntuali, anzi in anticipo. Ai colloqui guardo subito le scarpe, importantissime.



Matteo Circella

Matteo Circella - Miglior sommelier d’Italia per la guida Michelin 2021


Un premio alla Liguria, regione bistrattata dove da sempre la sala soffre; addirittura a una trattoria, La Brinca, che ovviamente non vanta la stella. Contro qualsiasi complesso di inferiorità. Ha sparigliato le carte Michelin con questo inatteso riconoscimento, andato a un giovanissimo protagonista, Matteo Circella, ben noto nell’ambiente. Soprattutto per le sue motivazioni: viene infatti lodata l’opzione in favore di naturali e biodinamici, sempre più egemoni nella ristorazione di qualità e particolarmente radicati in una terra, che fino a ieri è stata povera e contadina. Per Michelin, più che una svolta, un vortice di novità, che insieme alle due nuove stelle, conferite a Nove e Impronta d’Acqua, certifica un fermento, che non era sfuggito a chi bazzica. Erano le 11 e mezza, ma Matteo ha subito stappato un Montebuono Lino Maga 1990, il suo millesimo.



  • La Brinca ha da poco compiuto 30 anni. Quando ti sei affacciato in cantina?


Essendo una trattoria di famiglia, a 16 anni io e mio fratello Simone eravamo già in mezzo. Poi ci si è messa l’università, per la precisione Economia e Commercio a Genova, ma io tornavo nel fine settimana per mantenermi agli studi. Nel 2016 mi sono laureato, ma sentivo che non faceva per me, così sono rientrato e ho detto a mio padre Sergio: “Fammi fare qualsiasi cosa tranne i conti”. Ero già sommelier e nello stesso anno mi sono iscritto e ho vinto il concorso AIS regionale. Da quel momento sono rimasto fisso in cantina; abbiamo iniziato a creare una squadra di ragazzi del territorio che girano e assaggiano: divertimento oltre il lavoro. Nel frattempo il mio gemello Simone studiava ingegneria, ha preso due lauree ed è rientrato in cucina.  Abbiamo avuto sempre più spazio, anche se Sergio e Roberto continuano a guidare. Questo ha regalato complessità, su basi che restano solide.



  • Tuo padre Sergio aveva già assemblato una bella cantina.


Siamo sempre rimasti una trattoria, ma Sergio ha voluto subito mettere in carta vini importanti del resto d’Italia e del mondo, tanto da vincere il premio Bargiornale nel 2001. Negli ultimi 2-3 anni mi ha lasciato un po’ le chiavi ed è cambiato qualcosa, soprattutto nella parte “quotidiana”. Ma la filosofia è sempre rimasta la stessa: quella di lavorare con le persone e andarle a cercare. Il giorno libero, fidanzate o meno, l’ho sempre speso per cantine e per fiere, un po’ le mattate. All’ultimo censimento le nostre referenze erano 1400, con la Liguria in apertura di tutte le sezioni, suddivisa in Tigullio, Levante e Ponente. Piccole produzioni confidenziali, difficili da reperire oltre i confini regionali, che facciamo girare molto, in virtù di rapporti più che personali. Ed è una Liguria di carattere, anche se qualche vignaiolo ha paura: vini vibranti con tanto sale, come piacciono a me. Poi abbiamo il vantaggio di storicità diverse: in cantina si susseguono tanti momenti del vino italiano, che raccontano come siamo cambiati, accanto ai vini che hanno cambiato noi. Uno dei problemi di questa terra è che le produzioni sono così esigue, che finiscono in fretta, tanto che i produttori non hanno uno storico. Invece noi andiamo indietro di vent’anni anche sui liguri. Ed è qualcosa che può fare la differenza.



  • In Liguria il vino naturale è particolarmente radicato, grazie a padri nobili come De Battè e Perrino, alla consuetudine dell’autoproduzione e anche al ruolo di distribuzioni come Velier. Tanto che mediamente al ristorante si beve meglio che altrove.


Come in tanti parte d’Italia, anche qui i contadini hanno scoperto la tecnica e la chimica, ma c’è chi è rimasto fedele a ciò che era. In media le aziende fanno meno di 30mila bottiglia, quindi sono rimaste artigianali. E quasi sempre un vino di territorio, fatto con uve sane e una vinificazione pulita, finisce nel calderone del naturale. Anche se io preferisco parlare di vini di vignaioli, senza etichette.



  • Un abbinamento da provare alla Brinca?


Dico subito il nostro pesto, battuto al mortaio e strutturato grazie agli ingredienti importanti, con un vino ligure altrettanto solido. Sale su sale. Quindi non un bianco convenzionale su un pesto frullato, che rappresenterebbe una Liguria sbiadita, ma il Berette di Daniele Parma, vermentino sulle bucce che in pratica è nato alla Brinca, per la Liguria vera. Quest’anno poi ho iniziato un percorso di produzione con una ragazza, in una piccola vigna sopra Rio Maggiore, fronte mare. Siamo reduci dalla prima vendemmia, vedremo…

Foto di Lido Vannucchi

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