È una maturità precoce quella di Nikita Sergeev all’Arcade di Porto San Giorgio: piatti che dialogano disinvoltamente col classico, privilegiando l’eleganza sull’esibizione.
La Storia
Sette anni: non è breve il percorso compiuto da Nikita Sergeev a Porto San Giorgio. Intrapreso con qualche incoscienza dopo il diploma all’Alma, è progredito un passo dopo l’altro verso esiti sempre più personali e convincenti. “All’inizio mi rimproveravano qualche barocchismo, così ho iniziato a lavorare per sottrazione, anche troppo”, dice lo chef che viene dal freddo. “Non amo le mode, ma da giovane vieni travolto. Adesso è il momento di una cucina più mia. Classica? Sicuramente, nei riferimenti e in bocca. Ma dipende anche dalla stagione, nel senso della temperatura esterna. In inverno cerco sensazioni corroboranti, poi una maggiore freschezza”.Il lockdown è ormai alle spalle: Nikita ha preferito tenere tutto chiuso, senza stravolgere la cucina del ristorante. Ha riaperto il 4 giugno con un assetto praticamente invariato, compreso Banco 12, punto di ristoro informale a pochi passi dall’Arcade, che ha il merito di aver avvicinato una nuova clientela e parzialmente sgravato la cucina del ristorante. Con lui restano Edoardo Corpetti, sous-chef fin dall’apertura, passato per la Locanda Locatelli, e Riccardo Lupi, chef de partie con esperienze da Uliassi, Cedroni e Recanati. Ma le idee partono tutte da Nikita, che poi le elabora in gruppo.
Insieme allo stile, nel tempo si è decantato anche qualche signature, che in futuro potrebbe essere messo in valore, magari leggermente rivisto: il risotto con alga kombu, ricci di mare e brodo di manzo, il soffritto all’italiana e qualche piatto recente che strappa l’applauso. Allo stato attuale i degustazione sono 3, tutti a sorpresa: Piccolo buio di 4 portate a 35 euro, Grande buio di 7 a 55 e il Percorso Nikita di 11 corse a 75, mentre la carta è stata abolita. “Ma non rappresentano un salto nel buio: mi reco personalmente al tavolo per definirli con l’ospite, in modo da entrare in sintonia. Lavoriamo con acquisti quotidiani: ci sono i piatti angolari del menu e altri che di giorno in giorno potrebbero cambiare secondo il mercato, in modo da abbattere costi e spreco. Per esempio il gambero rosa in tartare lo serviamo in un brodo fresco di ciliegie sottaceto, per tornare alla tradizione italiana senza abusare della fermentazione, con il sedano, come un’insalata al cucchiaio; se manca ricorriamo al pagello fragolino, con una leggerissima affumicatura di legno di ciliegio in uscita. Da tanto avevamo in programma questi cambiamenti, che la covid ci ha consentito paradossalmente di accelerare”.
Foto di copertina di Cinzia Camela
I Piatti
Gli appetizer evitano acidità eccessive, puntando sulla morbidezza come il resto del pasto, che pure è punteggiato qua e là di affondi più dritti. Sono l’oliva di paté di oliva con mandorla quale nocciolo e in funzione di sostegno e arancia candita, per le classiche infornate con la scorza del centro Italia; la cialda fritta con ricotta del Fermano, pomodoro secco in polvere e basilico, tipo caprese; il roll di baccalà mantecato allo zafferano; la spugna di rapa rossa farcita di tartare di tonno all’estratto di rapa rossa fermentata, per l’acidità e l’umami. Quale benvenuto arriva il liquido di vegetazione del pomodoro verde servito ghiacciato con olio al cardamomo, che in bocca ricostruisce la sensazione tattile di un brodo di carne non sgrassato, ma fresco e acido. Dove inizia l’interlocuzione incessante fra Nikita e il classico.
Prosegue nell’ostrica: un’irlandese di dimensioni medie, grassa e nocciolata, condita con una vinaigrette classica allo scalogno e servita con un distillato di prosciutto di Sant’Ilario. Prima il frutto quasi agrodolce; poi, complementare, la sapidità rancida e umami-driven del sorso.
Dopo il gambero rosa arriva il crudo di cefalo con burro montato al sifone, bacche di sambuco fermentate e brodo di champignon, praticamente un’estrazione a crudo. Terra e mare, con il burro che regala una cremosità quasi di gelato e le bacche vettrici di acidità, più l’olio di sesamo tostato e gli spaccasassi raccolti di persona a Pedaso.
Lo scampo del Conero, feticcio del cliente marchigiano, viene scottato solo da una parte e appoggiato su una maionese di soia con aggiunta di yuzu, tartufo nero e olio al basilico.
Ottima quindi la miscellanea di conchiglie (piè d’asino, mandorle di mare, tartufi di mare, cannolicchi, vongole veraci, fasolari crudi e abalone cotto) servita su gelatina di pollo arrosto, per il classico binomio pesci e carni bianche, nel contrasto di gusti e consistenze, secondo il concetto di condimento gel di berasateguiana memoria. Viene preparata con un pollo arrosto canonico e ben condito, che potrebbe essere una portata da servire in tavola, usato invece come base di un classico fondo con acqua fredda e ghiaccio, cotto almeno 6 ore, ma senza riduzioni estreme. Una volta filtrato, a freddo si addensa e viene rotto con la forchetta in cristalli, poi conditi con una citronette al peperoncino effetto ceviche. Semplice, calzante, inedito.
E il terra e mare ricorre come motivo di un momento, non necessariamente destinato a durare. Vedi la battuta di controfiletto di cervo all’aceto di Sherry con soupe de moules allo zafferano e latte di mandorle, al posto dell’elemento lattico, che prolunga la mineralità e manteca effetto maionese. Più la salsa di aglio sbianchito e le briciole fritte alla base, sopra una chiffonade di rose per richiamare il velluto suadente del selvatico. “Abbiamo fatto tante prove: il cervo è la carne che con i mitili crea più equilibrio e rotondità”.
Ma c’è anche la murena, fritta seconda tradizione con la farina di riso. Viene servita con salsa all’aglio bruciato e guarnizione mediterranea di datterini, acciughe, capperi e olive, foglie di ruta e di mirto in liaison con la Sardegna. Quando manca si sopperisce con il grongo.
Eccellente anche la testina a cubetti, miscelata all’ostrica che ne mima la consistenza del grasso e ne bilancia la dolcezza con la sapidità, poi spolverizzata di mandorla grattugiata per l’effetto batsoà, che asciuga la succulenza. “Amo i tagli ricchi di collagene e gelatina. Come le teste, che scalchiamo, arrotoliamo, bolliamo e cubettiamo. Per sgrassare ci sono bacche di sambuco o semi di papaia sottaceto, che portano anche il crunch. Mentre la frutta secca, mandorle o noci di Macadamia, sembra quasi foie gras”.
Non da meno, di nuovo nel filone asiatico, la fettuccella di grano duro con brodetto di granchi e gamberi rossi crudi, apparentemente opulenta grazie alla salsa di latte di cocco, lemongrass e foglie di lime, ma sorprendentemente fresca grazie al succo di lime. La guarniscono il plancton e la scorza di limone bruciato, per un esito cremoso, ma anche acido e amaro.
A staccare fra primi e secondi è un sorbetto al limone sui generis: con il succo viene preparato il gelato, con la scorza bianca stracotta un purè montato all’olio, più le bucce candite croccanti. Tra l’acido e l’amaro. La presentazione, in contrasto, è su un vistoso piatto dorato.
Il petto dell’anatra muta viene cotto sulla carcassa; il resto va in un fondo. Il servizio è con insalata di alga wakame e nocciole, più una salsa del suo fondo di cottura montata al foie gras. Classique.
In assenza di predessert, spinge (bene) il dolce, audace geometria acida-sapida-amara, tutto fuorché zuccherina insomma, composta di namelaka di cioccolato bianco con liquirizia e aceto in sciroppo, gel di chinotto ridotto con bucce di pompelmo per raddoppiare l’amaro, gelato al caramello salato e barretta di riso con zucchero che scoppietta.
Tutte le fotografie dei piatti sono di Cinzia Camela
Indirizzo
Ristorante ArcadeVia Giordano Bruno n 76 – 63822 Porto San Giorgio (FM)
Tel +39 0734 675 961
Mail info@ristorantelarcade.it
Il sito web