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Rivoluzione Contraste, Matias Perdomo e la ricerca della nuova creatività post-barocca

di:
Alessandra Meldolesi
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matias perdomo 2023 05 08 08 16 07

È scoccata un’ora nuova al Contraste, fra gli indirizzi top di Milano. Le lancette indicano una creatività fondata sul prodotto, che non mira necessariamente a stupire. Meno improvvisazione, più ragionamento è la formula.

La Storia

Sempre più collegiale, sempre più profondo: non vuole essere solo un gioco il nuovo Contraste di Matias Perdomo, Simon Press e Thomas Piras. Indirizzo perennemente in sold-out, benedetto da un successo che dura dall’apertura nel settembre 2015, poi sdoppiato nel chiosco gourmet di Exit. I Proiettili del suo Pulp Fiction, dessert signature della prima fase, hanno colpito al cuore la clientela milanese: veicolano ludus e virtuosismo tecnico, figurativismo e divertimento sfrenato, in chiave più che spagnola latina, viste le origini dei due cuochi. Quasi a sospendere l’ospite nella magia del real maravilloso, dove niente è ciò che sembra eppure tutto emoziona.


Oggi a premere tuttavia è una nuova fase, post-neobarocca si direbbe, visto che a cadere è la petizione alla meraviglia ben codificata in chiave trasversale da Omar Calabrese. “Tutto va maturando: adesso siamo alla ricerca di quella che sarà la nuova creatività, come tutti i cuochi della mia generazione”, dice Matias Perdomo, sempre più allergico alla divisa da cuoco e agli stereotipi della categoria. “Ma restiamo concentrati sul benessere del cliente e sul menu a specchio, che cerca di assecondare i suoi desideri, tenendo conto della stagionalità. E per questo non abbandoniamo neppure i piatti rodati e le icone, come i donuts alla bolognese. Per tanti anni abbiamo agito d’istinto, associando elementi in modo spontaneo, cercando lo stupore e la provocazione con una certa incoscienza. Ma più crei e familiarizzi con la materia, più questa conoscenza può farti riflettere e arginare la creatività. Perché alla fine una mozzarella può essere perfetta in se stessa, ma tu sei un manipolatore, non un selezionatore, e ti rendi conto che la cazzata non puoi più permetterti di farla. Oggi è il tempo di una consapevolezza diversa, e anche di un diverso ruolo della tecnica. I piatti non devono essere un colpo di fortuna, ma il risultato della conoscenza e della standardizzazione. Secondo tre assi: il prodotto, la tecnica e la memoria del gusto, in mancanza della quale, se il prodotto è nuovo, urge una nuova tradizione. Meno improvvisazione, più ragionamento è la formula”.


Vogliamo organizzare la creatività, ma senza un luogo e un momento dedicato: il Lab è la quotidianità della cucina. Quello che abbiamo fatto va avanti in automatico: è come camminare, si impara una volta sola. E la standardizzazione è più che mai necessaria, data l’instabilità delle brigate. Ma non deve rubare il tempo di ragionare. La creatività va ricercata quotidianamente. E spesso si dimentica che il ristorante è un’azienda, la cui clientela nutre aspettative crescenti. Se io sono il genio creativo (e non è vero), quello folgorato dall’ispirazione, non sto facendo azienda, perché il giorno in cui manco cade tutto. Il futuro della ristorazione non sta nel divismo: il Contraste non è Matias Perdomo. La parte creativa la conduco insieme a Simon Press, che segue l’organizzazione e la ricerca dei prodotti, anch’essi schedati”.


“A Milano il pubblico è sempre più evoluto e internazionale. Per questo il servizio deve cambiare: vedi Exit, dove la cucina resta aperta tutto il giorno. Mentre mediamente si lavora 16 ore al giorno, ma solo 4 in pubblico. E abbiamo altre idee: un’enoteca di Contraste, che abbini un menu settimanale al vino, oppure una bottega con piatti da finire a casa e prodotti selezionati. Anche se la casa madre non cambia”. La tua è una cucina italiana? “Sì, ed è una tradizione così ricca che ancora mi sembra di non saperne nulla. Anche se un maiale con le verze lo trovi a Milano come in Corea. Ho già fatto i miei 15mila chilometri dall’Uruguay: non ho bisogno di fare avanguardia. Ogni piatto deve essere un cortometraggio, equilibrato quindi autonomo. Solo così posso permettermi di comporre menu a specchio, alla Tarantino, che puoi vedere anche dalla metà in poi. I primi sono solo evocativi, non materia ma idea, quindi posso giocare come voglio: l’unico filo è l’intensità del sapore. Tanto che la nostra cotoletta viene servita in antipasto, per quanto è delicata. E quasi manca il pane. Anche fisicamente abbiamo due sezioni: la calda espressa e la fredda per la rigenerazione. Non le classiche partite, ma una divisione per temperature”.


La comunicazione da via Giuseppe Meda filtra parca. Perché chi spoilera è nemico della sorpresa. Sta di fatto che la scelta è fra il degustazione dei classici, composto di 6 corse a 120 euro, e il celebre menu riflesso da 150, che comprende ufficialmente 10 portate, in realtà il doppio, pescate in un bacino di circa 45 preparazioni per assecondare i desiderata dell’ospite. Senza vincolare in nessun caso gli altri componenti del tavolo, visto che Perdomo odia “la dittatura del gusto”. E anche l’abbinamento è tailor-made da Thomas Piras, fra i migliori sommelier d’Italia per capacità di divertire e di osare. I camerieri cambiano a ogni portata, in modo da vivacizzare ulteriormente il pasto. “Perché la prossima rivoluzione saranno la sala e i dolci”, scommette Perdomo.

I Piatti


Si comincia con la scatola degli appetizer, effetto sorpresa, variata per ogni commensale, di cui fornisce anche il primo feed-back: per esempio sarda in saor alla menta, sfogliatella di zucchina gialla alla ricotta, finta fragola di peperone con tartare di fassona, aceto affumicato e salsa di vitello tonnato. Bocconi acidi ma poco croccanti, ancora figurativi. Come la rosa di tartare di scampi con succo di agrumi, modellata in uno stampo con riduzione di barbabietola e adagiata su leche de tigre. “Ma mi sto distaccando dalle forme conosciute: per creare si può partire anche dall’immagine dell’ingrediente al microscopio, come ho fatto a Identità Golose”. E non è il solo benvenuto: ci sono il cavolfiore croccante al pompelmo e salmone affumicato, la polenta all’anguilla e patata tipo tamales, la classica crème brûlée al foie gras. In abbinamento il sidro altoatesino da mela weirouge, dal gusto prossimo al melograno, di marca Kandlwaalhof, il cui residuo zuccherino, scommette Piras, bilancia l’acidità, restando nel tema delle bollicine da aperitivo.

Polpo patate chorizo



È poi ottima la seppia cruda in tartare, modellata a onda in una salsa di centrifugato di baccelli di piselli addensata come un pil-pil, che finisce di compattarla con un duplice collagene marino: un reverse crudista tutto iodio e clorofilla, fra le migliori seppie con i piselli mai mangiate per presentazione, fragranza e delicatezza. Il nero finisce nella pastella a base di pasta Gerardo Di Nola ammollata e frullata, per un gioco di parole sulla carbonara, la cui salsa liquida esplode in bocca. In chiusura il biscotto di olive nere e asparagi bianchi, in equilibrio dolce/amaro.


È il gusto il protagonista indiscusso di questa fase creativa del Contraste: centrato, ecumenico, appagante. Vedi i noodles di capesante in dashi di alga kombu e Parmigiano: una pasta di pesce dalla consistenza leggermente gommosa, fedele all’originale, nata casualmente da una prova. “È un mollusco poco amato, proprio per questo lo abbiamo frullato dopo la cottura nell’olio a 70 °C”.  Si beve il friulano Gredic 2015 Movia, che riprende il citrino.


Il coniglio è servito in due servizi, non dichiarati. Prima un altro reverse crudista, o quasi: il filetto scaloppato in shabu shabu del fondo di coniglio arrosto, con estrazione di olive nere al forno e rosmarino, che esalta contemporaneamente gusto (l’arrostitura) e testura (il mi-cuit) con una perfetta centratura del gusto italiano. Poi i rognoncini con salsa al nero di anguilla affumicata e gelato all’aceto, su base spagnoleggiante di cipolla e peperone: una montagna russa, la definisce Perdomo, senza appigli nella memoria gustativa. E qui Thomas Piras sfodera prima lo strepitoso Io cammino da solo 2013 di Daniele Ricci, timorasso dei Colli Tortonesi macerato per 100 giorni in anfora, servito a una temperatura leggermente alta per pareggiare il piatto; poi un rancio De Sol a sol di Esencia Rural dall’ossidazione spinta, ricercata sull’affumicatura. Per mitigare l’acetica viene aperto due giorni prima e servito fresco. Effetto rollercoaster.


Seguono tre classici italiani. Prima le cozze cacio e pepe, dove la spezia propizia la crasi fra due ricette tradizionali, l’mpepata e la pasta romana; ma svolge la stessa funzione il formaggio, per via dei mitili al pecorino. Più il divertissement dei finti frammenti di guscio e una granita di salicornia a rinfrescare. Gusti italiani perfettamente centrati, perché Perdomo nel tempo libero coltiva la passione per le trattorie.


Vale anche per i ravioli di pasta matta alle vongole, che riprendono lo schema della farcia di mantecatura del risotto giallo. Sottratte le apparenze, in bocca il gusto è nitido grazie all’estrazione dell’amido dalla pasta, che veicola il principio di individuazione. E per la consistenza degli spaghetti c’è la cottura tipo gyoza, sulla piastra e al vapore, che apporta una piacevole nota tostata. “Un modo per vincere il pregiudizio e riscoprire un gusto conosciuto”.


Terzo classico italiano è la pasta e fagioli al foie gras, servita intenzionalmente ben oltre la gengiva. In ricordo dell’invasione di Napoli da parte di Napoleone, si tratta di mesca francesca, gli avanzi che la servitù delle famiglie nobiliari gettava alla plebe, con l’aggiunta di una zuppa di foie gras.


Il pomodoro quadrato, impacchettato nella sua pellicola all’acqua di cozze e farina di riso, è farcito di paguro marinato e grigliato con mousse di vongole e pomodori appassiti, per un’idea di pesce al forno. “Un classico delle nonne in Uruguay”. E anche il picciolo candito si mangia.


Sul secondo arriva un vino più “confortevole”, snello e ferroso: Pommard 2016 Joseph Voillot da vigne vecchie 80 anni. Si tratta di una spalla di agnello dei Pirenei con mousse di patate affumicate, coriandoli di bietola e fondo di agnello a colorare. Dove la carne è cotta a 63 °C per 36 ore, perché è dopo i 65, secondo le prove di Perdomo e Press, che sviluppa la tipica nota stallatica.

Fragola



Il predessert cita prosciutto e melone, ma anche un’insalata assaggiata a Favignana con il frutto condito al peperoncino. In questo caso si tratta di polvere di strutto alla maltodestrina, perle di succo di limone, peperoncino e rosmarino in infusione. Uno stacco insolito, che non mira a pulire il palato con l’acidità, quasi assente, ma a costruire una passerella fra salato e dolce.



Chiude un dessert che compone un piccolo buffet. Ci sono due cavalli di battaglia, pulp fiction con i suoi proiettili e la tarte tatin, che recupera lo studio del Pont de Ferr sullo zucchero soffiato, più un paio di dolci variabili. Per esempio l’eccellente studio sul cioccolato stagionato di Marco Colzani compiuto con la macchina Ocoo, che matura gli ingredienti: quindi una tartelletta con ganache di cioccolato trattato 7 ore, sorbetto 21 e polvere 14, per un imprevedibile spettro di sapori oltre la consueta liquirizia.


Poi la torta di rose al posto della piccola pasticceria per il commiato conviviale e l’atmosfera di festa.

Le fotografie dei piatti sono di Alessandro Ghirelli

Indirizzo

Ristorante Contraste

Via Giuseppe Meda, 2, 20136 Milano

Tel. +39 02 4953 6597

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