“Provo a offrire ciò che vorrei ricevere”. L’invito di Alberto mentre ti fa sedere al tavolo. Dina è il novità dell’anno 2019 secondo l’Espresso
La Storia
Alberto Gipponi e il suo Dina
stanno vivendo un hype che neanche gli Strokes al loro primo LP. Qualcuno a sproposito è arrivato a dire se non trovi posto da Bottura – parecchio probabile – vai da Gipponi. Molto è già stato scritto su di lui pertanto, nemici della ridondanza quali siamo, se proprio lo dobbiamo fare per dovere di cronaca, lo faremo in poche righe. In questo modo chi ha già avuto in mano il “file Gipponi” possa tranquillamente saltare al capoverso successivo, quello in cui dovrebbero trovarsi cose nuove. Lo ha fatto anche Alessandro Manzoni, ironicamente, riguardo al capitolo 22 dei suoi Promessi Sposi, quando ha detto chiaro e tondo che per la comprensione della storia non era indispensabile. Noi non siamo ironici.
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Alberto Gipponi è di Brescia, fa il cuoco da pochissimo tempo, un paio d’anni. Non è giovanissimo, ne ha 38. Ha una laurea in sociologia, lavora in ambito sociale, fa il chitarrista, ma abbandona perché a sua detta non era abbastanza bravo. Nel 2015 inizia a lavorare da Orsone durante i weekend, poi si avvicina a casa e per 1 anno è al Nadia di Castrezzato. Una sua ricetta presentata a un concorso colpisce Bottura che lo stimola a inseguire il suo sogno. Non l’avesse mai fatto. Il Gippo, così lo chiamano i più confidenti, inizia a marcare Bottura in stile Kanté e dopo qualche mese si ritrova alla Francescana. Ci trascorre un anno, in apnea. A fine 2017 apre il suo Dina a Gussago. Respiro.
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Il Ristorante
<br />L'ambiente, da Dina
La sera in cui abbiamo cenato da lui erano appena passati due giorni dalla seconda incoronazione del Lider Massimo come miglior cuoco del mondo. Gipponi a fine servizio era partito con il suo amico e collega Saulo Della Valle alla volta di Modena per festeggiare con i suoi ex-compagni di squadra. Segno di un legame ancora forte con quell’Osteria da tetto del mondo.
Al Dina ci sono diversi segnali di quel legame. La fortissima presenza dell’arte contemporanea, i nomi dei piatti, la loro narrazione. Lo diciamo subito per sfatare ogni sospetto. Non si tratta di un mirroring dell’idea di Bottura.
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Noi ci abbiamo visto un altro leit motiv, neanche così leit: la sproporzione. Questa è la parola che sintetizza il Ristorante Dina, il suo chef, i piatti, l’ambiente, fino alla toilette. Che non prevede la divisione tra bagno per gli uomini e per le donne.
Partiamo dal nome: Dina. La nonna di Alberto. Ti aspetti una trattoria di paese. Suoni il campanello e ti ritrovi in un’anticamera. Su una scritta al neon non c’è scritto “Tesoro, ti ho fatto il tuo piatto preferito”, ma “Until then if not before”, opera dell’artista J. Monk.
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Alberto ci ha aperto la porta e fa il padrone di casa, anche se al primo impatto pare la guida del museo. Staremo al gioco. “Provo a offrire ciò che vorrei ricevere”. L’invito di Alberto mentre ti fa sedere al tavolo rivela l’antropologo che c’è in lui, non tanto lo scienziato, ma l’innamorato dell’uomo con le sue imperfezioni e sproporzioni.
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Siamo seduti nella prima sala, la più grande. Sul nostro tavolo c’è un libro – c’è su ogni tavolo. Il libro si trova spesso anche nei musei, o nelle chiese. Alberto vuole dei feedback a fine cena, sui suoi piatti ma anche sulla performance. Vi diciamo subito cosa ci abbiamo scritto. Un’unica parola: dinamite. C’è il nome, c’è la tenerezza di un gigante che sembra uscito da un film di Tim Burton. C’è la promessa di esplodere, perché all’inizio è solo una miccia che brucia.
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Quando abbiamo aperto il menù, la tensione si è rivolta ai nomi dei piatti e ai prezzi. Dei nomi parliamo tra un attimo, dei prezzi subito. Molto più bassi rispetto a quello che ci aspettavamo, 55 e 63 euro i degustazione, sproporzionati?
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“Dina deve sopravvivere, fare ristorazione non è giocare, ma stare in piedi. In che posizione, preferibilmente quella che piace al cuoco”. Sapere che nel backstage dello spettacolo ci sia un commercialista come tecnico delle luci, ci fa stare tranquilli.
I Piatti
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Dal menu di Gipponi
Il Casoncello crudo ma cotto, rappresentazione del furto infantile capitato a molti, ci è piaciuto ma solo perché dopo di lui sono arrivati i casoncelli quelli veri, con crema di Grana Padano e polvere di salvia, nel ripieno coda, lingua, fesa, cipolla, pomodoro e burro “come non ci fosse un domani”. Non è un caso che Davide Di Fabio abbia esclamato “ne mangerei un bidet”, diventato poi il nome del piatto. Qui la tecnica si fonde con la risposta dei nostri sensi, soddisfatti all’unisono, insoddisfatti perché durato troppo poco.
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La sequenza dei piatti era cominciata con un brodo solo verdure per attivare lo stomaco a cui era seguito Casomai venisse a pranzo Davide Oldani, fatto con sfoglia croccante, gelato di cipolla di Tropea in carpione e crema di parmigiano. Uno dei due piatti che ci è piaciuto meno nella sua esecuzione. La sfoglia non vale la cipolla caramellata, il gelato di cipolla fa emergere più note acide che equilibrio. Al contrario, ci è piaciuto molto perché il Gippo ha messo in menù una sua fonte di invidia positiva, come tappa di un percorso. La sproporzione tra sentirsi arrivato e riconoscere di essere solo all’inizio.
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Postilla sul vino, giusto per rimanere fuori dagli schemi. Al Dina lo chef assaggia alla cieca tutti i vini che gli vengono proposti, assieme al giovane sommelier Marco Abeni. Quello che non piace ad Alberto non ha chance. Come i bianchi senza personalità, quelli che non dicono la loro quando non sono freddi. La Franciacorta, di cui fa parte anche il paese che ospita il ristorante, è molto ben diraspata. Diciamo che non è una scelta scontata, come per Ca’ del Vent che, fra l'altro, non rientra più nella Doc Franciacorta. Qui il loro buonissimo Pas Operé si chiama Dina. Sì, proprio sull’etichetta. Questione di feeling. Il vino più interessante della serata è però stato l’Ici et maintenant della cantina Les Petit Riens, 85% syrah e 15% mondeuse. Balsamico, speziato di fieno. Un syrah con gli scarponi e la piccozza, terso, teso, vibrante.
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Il piccolo bidone dell’immondizia in cui sono state scaricati funghi e cozze con pomodoro, menta e salvia, è emblema di cucina narrativa. Quello che più avvicina alcuni piatti di Alberto all’arte contemporanea. L’uomo è un parassita, ma è anche un filtro che a volte lascia passare cose buone. L’inclinazione dell’uomo all’individualismo si contrappone al desiderio di amare e di essere amato.
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La storia prende una piega noir quando lo chef ci serve il suo panino avvolto nella carta stagnola dicendo “Homo Hominis Lupus”, l’individualismo appunto, ma violento. Poi aggiunge “sporcatevi!”. Effettivamente può essere mangiato solo con le mani. Il piatto si chiama l’Agnello Nella Bocca del Lupo. Per noi era street food, il miglior kebab della nostra vita.
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A dimostrare che al Dina la relatività è una dimensione reale, il reset che anticipa il dessert non è freddo ma caldo. Risotto? Ma non doveva essere pane burro e marmellata. La forma è quella di un riso con estratto di rosmarino, arancia e pinoli. Una lama acido-balsamica che ti trapassa il palato, un gioco di equilibrio precario, proprio come l’elefante rappresentato sul piatto appoggiato alla sfera di riso. Spettacolare. Nella vita ci comportiamo da pachidermi, con parole o azioni, eppure a volte riusciamo a compiere l’inimmaginabile.
“Corrado Assenza mi ha detto «non sono più solo», anche se sarei egoista a fare tutti i piatti così”. Non fa una piega, Assenza è un genio ma ha anche un altissimo istinto di sopravvivenza imprenditoriale.
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Per un attimo Aberto non racconta di sé. Con soddisfazione introduce Ma che cavolo!, un piatto ideato dal suo sous chef Gian Nicola Mula. Spuma di cavolfiore, vaniglia, crumble al cioccolato salato, gelato al miele di corbezzolo, limone amaro. Un dolce non dolce che ci ha fatto esultare.
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C’è qualcosa che non…quaglia! per noi è stato c’è qualcosa che non…quadra. Un piatto limite in cui la quaglia, il miele, il caramello e il whiskey erano come vicini a una riunione di condominio.
Alberto ci accompagna alla porta. Il momento del saluto tra amici è sempre strascinato, perché non vorremmo andarcene, perché sappiamo che tanto ci si rivedrà presto.
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Quando gli confidiamo cosa abbiamo scritto sul libro del nostro tavolo, il Gippo ci confida che è la stessa cosa che ha scritto Andrea Grignaffini qualche giorno prima. La miccia continua a bruciare, anche per uno che ha bruciato le tappe.
P.s Alberto Gipponi è altissimo
Le fotografie sono di Lido Vannucchi
Indirizzo
Ristorante Dina
Via Santa Croce n 1 - 25064 Gussago (BS)
Tel: +39 030 2523051
Mail info@dinaristorante.com
Il sito web