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Pane Carasau
Negli anni ’80 nella penisola era conosciuto come “carta (da) musica” perché, sostenevano alcuni, la sua croccantezza lo rende rumoroso, oltre che saporito, come la musica, o forse perché, sostenevano altri, assomiglia ad una specie di pergamena da chiave di violino, su cui scrivere una vera e propria sinfonia del gusto, aggiungiamo; con il passare degli anni anche nel resto d’Italia si è cominciato a chiamarlo col suo nome in sardo: ‘pani carasau’ o ‘pan’e fresa’.
È un pane biscottato, ossia cotto due volte, e deve la sua croccantezza e conservabilità alla doppia cottura, che elimina gran parte dell’acqua contenuta. In questo modo ha una shelf life lunga sino a 180 giorni, impensabile per un qualsiasi altro pane da banco.
fotografia di Villa Sarda
Come i marinai di un tempo avevano le fidate gallette, immarcescibili, che li accompagnavano nei lunghi viaggi in mare, così i pastori di Sardegna avevano nelle bisacce il carasau, fatto a regola d’arte dalle donne di famiglia, per i lunghi mesi di transumanza con le greggi, lontano da casa. Un pane nato dalla necessità insomma: nella solitudine degli ovili il carasau poteva essere consumato così, croccante e asciutto, o ammorbidito con brodo insieme ad un pezzo di carne, o sbollentato in acqua calda, mangiato insieme a formaggio o ricotta.
Il pane carasau è sicuramente un pane antico, gli archeologi hanno trovato preistorici tegami rotondi di terracotta utili a cuocere schiacciate, e più di un bronzetto nuragico rappresenta offerenti con pani circolari in mano.
fotografia di Stefano Fusaro
Sin dal Novecento in Sardegna si è sviluppata una vera e propria industria del carasau: al giorno d’oggi ci sono almeno una cinquantina di moderne aziende che lo producono, che formano un vero e proprio Distretto del casasau e del pistoccu, concentrate nelle aree storiche di Barbagia e Ogliastra; tuttavia la produzione ha caratteri spiccatamente artigianali, perché alcune operazioni del processo produttivo sono ancora manuali, una su tutte il taglio delle sfoglie tra la prima e la seconda cottura.
fotografia di Stefano Fusaro
Le fasi della preparazione comprendono la realizzazione della spianata, che assomiglia ad una pita mediterranea lievitata; messa in forno e rivoltata rapidamente, al calore della fiamma la spianata si gonfia determinando la formazione di due sfoglie, unite solo per il bordo esterno.
fotografia di Stefano Fusaro
Sfornato velocemente il pane viene ‘fresato’ (da cui ‘pan‘e fresa) ossia si procede alla separazione delle due sfoglie lungo la circonferenza con un coltellino e ciascuna viene rinfornata e così biscottata. Una volta sfornata ciascuna sfoglia può essere piegata in due, a mezzaluna o anche in quattro, a spicchio, o lasciata rotonda; le sfoglie vengono impilate, e una volta raffreddate vengono impacchettate.
fotografia di Sardinia Slow Experience
Esistono poi delle differenze da zona a zona in termini di forma, diametro, e spessore del pane carasau: se è rettangolare e più grosso viene chiamato ‘pani pistoccu’, in altre zone ‘pan’e fresa’ ma si tratta in tutti i casi di pani a sfoglie, biscottati, realizzati con lo stesso procedimento. Una curiosità: il pane estratto dalla prima cottura si chiama ‘pani lentu’ o ‘pani modde’, ed è considerato una ghiottoneria perché si mangia ancora in caldo, sfornato da poco.
Quando il carasau incontra l’olio extravergine d’oliva sardo e il sale marino delle saline costiere dell’Isola diventa “pani guttiau”, pane gocciolato d’olio appunto, da gustare tiepido.
fotografia di Reporter Gourmet
Il carasau si presta poi a mille preparazioni, in sostituzione delle classiche fette di pane raffermo, le più note delle quali sono ‘su mazzamurru’ del sud dell’Isola, dove le sfoglie si alternano a abbondante salsa di pomodoro e pecorino grattugiato in una capiente pirofila, o in ‘su pani frattau’, con l’uovo in camicia, salsa di pomodoro e un’abbondante spolverata di pecorino sardo a sigillare la bontà del piatto; e ancora ne ‘sa suppa cuata o zuppa gallurese’, dove il carasau ammollato nel brodo di carne vaccina o ovina, incontra il formaggio locale, vaccino o misto, con una manciata di finocchietto selvatico ad esaltare il profumo di Sardegna.
Il carasau negli ultimi anni è stato anche usato come una lasagna per preparazioni salate o dolci, o fritto e aromatizzato con zucchero o miele, o ancora inumidito e avvolto, forgiato in varie forme o usato come un fagottino, contenitore di salse e intingoli: la creatività con cui viene utilizzato dagli chef sardi d’oggi la dice lunga sulla bontà e duttilità del carasau, un pane antico, ma a proprio agio nella contemporaneità, come tutti i ‘classici’ della cultura gastronomica.
La fotografia di copertina è di Reporter Gourmet