Come funziona il “sistema Koppert Cress”, dalla ricerca dell’eccellenza qualitativa agli studi sull’architettura aromatica. Tutto sul brand che fa scoprire il vegetale ai top players della ristorazione.
*Contenuto con finalità promozionali
Sono passati ormai più di vent’anni da quando, nel 2002, con una visione per allora del tutto all’avanguardia, Rob Baan ha fondato Koppert Cress rilevando la prima serra. Lo ha fatto per cambiare il modo in cui si guardava al vegetale, in una terra in cui la carne prevaleva in modo netto nell’alimentazione. Inoltre, la sua idea, fin dall’inizio, era quella di far sì che prodotti e ciclo produttivo fossero naturali, sani e sostenibili e in un’ottica alimentare nutraceutica.
Ciò che oggi può sembrare scontato, allora non lo era affatto. La zona di Westland, nell’Olanda meridionale, è storicamente vocata all’orticoltura e alla coltivazione in serra: questo grazie a un clima particolarmente mite per queste latitudini, senza eccessivi sbalzi termici, e alla grande disponibilità d’acqua. Non solo, perché la sua posizione è particolarmente strategica anche dal punto di vista logistico, grazie alla vicinanza con Rotterdam. A proposito di logistica, essa viene seguita non direttamente da Koppert Cress, ma tramite operatori specializzati in import-export e in grado di ottimizzare le spedizioni.
Abbiamo avuto modo di visitare la Koppert Cress di adesso, un’azienda che quell’avanguardia di allora l’ha saputa proiettare in una dimensione decisamente interessante. Da conoscere, a partire da una sede all’insegna di ogni accorgimento possibile e in perfetta coerenza con uno dei pilastri fondanti della sua filosofia qual è la sostenibilità. Come, ad esempio, attraverso un ingegnoso schema idraulico che consente di riscaldare e rinfrescare il complesso utilizzando l’acqua dei canali, grazie agli strati di argilla e di sabbia che permettono di immagazzinarla e utilizzarla in funzione della necessità. Ancora, i crescioni che nascendo si muovono da un substrato di cellulosa ricavata da alberi coltivati anch’essi secondo principi sostenibili.
Prima di addentrarci in una definizione che è al cuore di questo sistema ed è anche un suo concetto pregnante, ovvero quello di architettura aromatica, vale la pena sottolineare come dietro a Koppert Cress e ai suoi prodotti ci sia una macchina complessa che ne definisce l’eccellenza del livello qualitativo. Come ci racconta Katia Piazzi, volto italiano dell’azienda: “La pianta ha bisogno dei semi, si parte proprio dalla loro produzione che viene fatta dalle aziende sorelle (uno dei due soci di Rob Baan è impegnato a Taiwan in questo settore). Non viene utilizzato alcun tipo di sostanza chimica di sintesi, tutto è concentrato e molto piccolo, perciò il seme dev’essere di alta qualità. I semi sono tutti puri, non geneticamente modificati. Rob ha viaggiato moltissimo e nel tempo si è creato una squadra di hunters, cercatori di piante particolari in giro per il mondo che vengono utilizzate abitualmente su determinati territori. Specie magari scontate per un’area geografica, ma che in Europa non si sono mai viste e sono potenzialmente interessanti per gli chef. Così si importa il seme e si ricreano habitat, temperatura e umidità ideali, il giusto contesto, insomma; in ogni caso, prima di partire con la produzione di una nuova pianta c’è un periodo piuttosto lungo di test.” Ciò che è accaduto con lo sviluppo dell’unica vaniglia europea, messa sul mercato dopo quasi dieci anni di ricerche.
In Koppert Cress, che riprende il suo logo dal crescione, si lavora su foglie, inflorescenze, germogli, fino al crescione stesso, con il suo stelo morbido e dal sapore concentrato. La gamma delle possibilità offerte alla cucina è piuttosto impressionante, ma è particolarmente opportuno sottolineare come questa varietà rappresenti proprio il tema portante dell’architettura aromatica. Perché, prima che una decorazione colorata e appetitosa alla vista, i prodotti che Koppert Kress mette a disposizione sono veri e propri ingredienti. Il che significa sapori ed effetti in grado di intervenire in modo sostanziale nell’elaborazione gustativa del piatto, quindi anche parte della sua struttura. È decisamente illuminante per un professionista della ristorazione assistere a una sessione dimostrativa, meglio ancora se qui a Monster, nella cucina super-attrezzata in cui si muove il resident chef Eric Miete, stabile in azienda e in stretto contatto con un pool di chef da tutta l’Europa.
Abbiamo assaggiato abbinamenti nuovi, fuori dal coro e sicuramente riusciti: difficile immaginare l’impatto di un’ostrica affogata al caffè, eppure con Oyster Leaves e Blinq Blossom, una varietà di fiore con un aspetto che lo fa somigliare al cristallo, succoso, fresco e dal sapore salmastro, il risultato ci ha lasciati a bocca aperta. Oppure ancora un gyoza croccante servito su foglia di cardamomo con il gusto agrumato delle sansho leaves, mango e shiso cress. Croccante e dal gusto intenso che ricorda il cumino, lo shiso purple in tempura, con tartare di barbabietola, tahooon tops dal sapore delicato di nocciole tostate e infine il tocco dolce-acidulo che ricorda il mais dell’alga powder Emerald. Solo alcuni esempi di come un dettaglio, gestito come si deve, può far realmente svoltare il rendimento di un piatto, dettaglio che andrebbe naturalmente menzionato mentre lo si descrive.