Coraggioso, spiazzante e di grande effetto: l’abbinamento tra birra e Parmigiano Reggiano è realtà grazie ai consigli di Maurizio Maestrelli, che qui ci consiglia un drink diverso per ogni stagionatura.
Birra e Parmigiano Reggiano: i pairing di Maurizio Maestrelli
Quello fra birra e Parmigiano Reggiano non è certo un abbinamento di tradizione e di territorio: la birra nell’areale del Consorzio è arrivata pochi decenni orsono, quando il re dei formaggi già vantava una storia millenaria, ed è diventata una voga gourmet non prima degli anni ‘90, quando hanno cominciato a esplodere i birrifici artigianali. Maurizio Maestrelli, a quei tempi, era un cronista che veniva dalla Nuova Venezia e da qualche settimanale, ma arrivando a Parma per finire Giurisprudenza, aveva cominciato a frequentato il Dubh Linn Irish Pub e aveva finito per innamorarsi della Guinness Stout.
Ed è stato il publican di quel locale a metterlo in contatto con il giornalismo del settore, aprendo nuovi calamai per la sua penna. Già da qualche anno si teneva la Fiera di Rimini, qualcuno iniziava a organizzare concorsi, dalle cotte casalinghe pian piano si spillavano talenti e nuove imprenditorialità. Oggi i microbirrifici sono un migliaio e sparsi per tutto il paese, con innovazioni come l’Italian Pilsner, che hanno conquistato anche i mercati a forte tradizione brassicola. Rivoluzioni che Maestrelli, oggi direttore de Il Barman-Aibes Magazine, beer writer con tre libri all’attivo e collaboratore di una decina di testate, ha puntualmente raccontato e anche un po’ animato, sempre più uomo della birra, ormai un decano del settore.
È un mondo nuovo e frizzante, che pian piano contagia anche il food. Lui compie i suoi pellegrinaggi nei sancta sanctorum belgi, batte l’Italia fin nei garage più remoti, finisce per ideare anche una manifestazione fuori dagli schemi come la Milano Beer Week. “Volevamo dimostrare che questa è una bevanda socializzante, orizzontale, per tutti, non solo per il consumatore tipo che appare essere maschio, tatuato, harleysta. Del resto il luppolo che interessa ai birrai è solo quello femminile, che ha la luppolina per la conservazione e l’aromaticità. I primi birrai della storia, dalla Mesopotamia al Medioevo, sono state donne che trafficavano con i cereali per il pane”. Birra e formaggio, allora: l’abbinamento è storico e consolidato.
Nei locali belgi è quasi sempre un piccolo plateau ad accompagnare il boccale. Sono paesi, del resto, dove la cultura del vino è meno radicata e basta farsi un giro in qualche monastero trappista, per scoprire che oltre a brassare, si caglia il latte, secondo il concetto benedettino di autarchia. Ci sono caratteristiche organolettiche che favoriscono il matrimonio: ad esempio, il formaggio ha una sapidità che le birre possono gestire nel migliore dei modi. “Nel caso del Parmigiano abbiamo provato di tutto, anche tipologie che sulla carta pensavamo funzionassero bene. Invece, per esempio, l’acidità di un Old Bruin non ci stava. Alla fine, ci siamo ritrovati sul Belgio e su una serie di tipologie morbide, fruttate, talvolta con un leggero residuo zuccherino, il cui crescendo di alcolicità accompagna strutture, che con la stagionatura diventano sempre più importanti”.
Il consiglio è quello di servirle in un bicchiere a tulipano, tirandole fuori dal frigo un po’ prima, per raggiungere la giusta temperatura. È importante anche formare bene la schiuma, inclinando il bicchiere a 45 gradi e raddrizzandolo via via, fino a ottenere un bel cappello che arrivi fino al bordo. “Perché sono birre che vogliono la schiuma, non a caso la spillatura alla belga prevede il taglio con la spatola. È la schiuma a proteggere la bevanda, cui apporto la sua carica aromatica, leggermente diversa dalla parte liquida”. Il Parmigiano Reggiano 12 mesi si distingue per la fragranza erbacea e un sapore già intenso, da imbrigliare e armonizzare con una birra che non prevarichi né sia prevaricata o, peggio ancora, estragga note metalliche.
L’ideale è una Belgian Blonde, birra ad alta fermentazione, quindi più profumata, dalle note di pesca e frutti tropicali, cui i malti chiari tipo Pilsner regalano note di pane, cracker, miele di acacia, senza un ruolo decisivo del luppolo. Nel complesso una birra morbida, dolce negli aromi più che nel residuo, dalla gradazione alcolica ancora contenuta, da servire a otto gradi.
Sapidità, intensità e struttura salgono nel Parmigiano Reggiano 24 mesi; per bilanciarlo Maestrelli sceglie una Dubbel belga, tipologia nata nei monasteri delle Fiandre, per la quale si utilizzano malti più scuri, che conferiscono una colorazione dal rosso carico al marrone intenso, note dolci di malto, biscotto e perfino cioccolato, tutto un fruttato scuro di prugna o di susina, con un discreto residuo zuccherino e circa 7 gradi di alcol, utili per contrastare la potenza del formaggio. Da servire a 8-10 gradi.
Lo scalino successivo è il 36 mesi: qui serve una Strong Belgian Ale, birra più alcolica (intorno agli 8,5 gradi) e più frizzante, che equilibra e sgrassa il palato, invitando al bis. Restano le note fruttate, con una leggera speziatura di pepe bianco, l’amaro è più netto delle bevute precedenti, però mai aggressivo. Ed è una tipologia che classicamente accompagna la casearia. Da servire a 8 gradi.
Il 60 mesi è un monumento che richiede un partner della medesima caratura. “Nella mia cantina ho ritrovato una birra Imperial Stout all’Aceto Balsamico, che ha rappresentato un abbinamento entusiasmante, ma difficilmente replicabile”. Più semplice procurarsi una Tripel, birra chiara nata nei monasteri belgi, dalle note fruttate che però virano sugli agrumi, quasi canditi grazie al residuo zuccherino; più alcolica delle precedenti, con i suoi 9 gradi, ma meno frizzante. Un abbinamento in equilibrio anche tattile sulla granulosità, dangerous drinkable per piacevolezza beverina su un boccone che resta straordinariamente persistente e di carattere.