Abbiamo provato una nuova cantina selezionata da Velier per i suoi Triple A: si chiama Chateau le Puy, biologica e biodinamica di Bordeaux che produce vini unici al mondo. Fra questi, un cuvée che affina su un veliero nei Caraibi.
La notizia
Dal momento in cui Velier, uno dei più grandi distributori e importatori italiani di distillati e spirits, è passata nelle mani di Luca Gargano nel 1983, l’azienda ha spiegato le sue vele: curiosa, istrionica, variopinta, aperta verso nuove frontiere, Gargano ha reso così Velier oggi, trasformando un importante distributore in qualcosa di più, qualcosa che coinvolgesse, ispirasse, producesse e collegasse passioni e persone.Velier, oltre a importare i migliori liquori da vendere ai ristoranti e alle enoteche più esclusive, è stata la prima azienda italiana ad importare vini del nuovo mondo, da Cile, Argentina, California, Nuova Zelanda, Australia e Sud Africa, ancora nel 1988, quando in Italia erano appena trascorsi due anni dallo scandalo del vino al metanolo. Attraverso i viaggi e le sue competenze nel mondo del beverage, Velier non ha mai avuto paura di frenare la sua curiosità e la sua competenza: per questo nel 2003 ha lanciato la “Triple A”, il primo protocollo al mondo sui vini naturali.
Questo marchio determina ben più di un prodotto, sancisce un rapporto tra uomo e vite: chi produce un “Triple A” dev’essere prima di tutto “agricoltore”, curare un’uva sana e matura esclusivamente con interventi agronomici naturali; dev’essere inoltre anche “artigiano”, per attuare un processo produttivo viticolo ed enologico che non modifichi la struttura originaria dell’uva, senza dunque alterare conseguentemente quella del vino. Infine, dev’essere un “artista”, rispettoso delle caratteristiche organolettiche del suo vino e capace di esaltarne l’anima.
Velier aveva già anticipato alcuni aspetti, quali il mondo del “biologico” e del “biodinamico”, ancor prima che queste parole diventassero più di moda più che di valore: “In questi dieci anni abbiamo assistito a un rinascimento del vino”, ha scritto Gargano. “Sono nati moltissimi nuovi produttori che, applicando i principi generali del nostro protocollo, producono vini buoni, gustosi e salutari, e molti altri sono ritornati sui loro passi, comprendendo che il futuro è nel passato, riprendendo i metodi agricoli e di cantina dei loro padri e nonni. I vini Triple "A" sono dissetanti, producono convivialità, sono l’espressione suprema del savoir faire umano e simbolo tangibile delle forze d’amore che, partendo da un gesto agricolo positivo, arrivano a chiudere in una bottiglia il soffio del vento, la luce del sole, il respiro della terra, le migliaia, milioni di sentimenti e gesti che sono avvenuti in quel vigneto.”
Tra le etichette che al meglio rappresentano un vino con una storia simile e soprattutto un’anima da “Triple A”, c’è una nuova arrivata, Chateau le Puy. “Nuova” si fa per dire: questa cantina situata sul secondo punto più alto del dipartimento della Gironda, a Bordeaux, è stata fondata nel 1610. La famiglia Amoreau se ne occupa da quindici generazioni, tramandandosi di padre in figlio la coltivazione di 54 ettari destinati alla viticoltura, in una produzione fortemente biodinamica.
Ciò che contraddistingue le Puy è l’attaccamento alla loro terra e la certezza che ogni centimetro del suolo, sia strettamente connesso al cielo, alla foresta, alla vita e all’ecosistema che la circondano: gli ettari coltivabili sorgono attorno a un sito di megaliti millenari, che testimoniano una storia ancora più antica della generazione degli Amoreau. Il loro terreno composto da argilla, silice e calcare è perfetto per la crescita dei principali vitigni quali Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Malbec, Carménère, Sémillon.
Gli interventi della famiglia Amoreau sul terreno sono ridotti al minimo: seguono il processo biodinamico insegnato da Maria Thun, senza aggiungere pertanto concimi chimici, diserbanti, insetticidi né pesticidi. Si avvalgono dei cavalli per arare il terreno e lasciano 46 ettari liberi dai vigneti, dedicandoli esclusivamente a terreni che influiscano naturalmente sull’ecosistema della vigna, come foreste, laghi, frutteti e campi. I vigneti oggi hanno circa 50 anni e si procede con tutti a una raccolta manuale. La produzione arriva a stento a duecentomila bottiglie, ma ogni grappolo, ogni fase della selezione fino alla produzione passa sotto un’idea precisa, capace di stupire chiunque per la sua unicità.
In un territorio come quello di Bordeaux, la famiglia Amoreau si distingue per una produzione senza prodotti chimici, senza lieviti aggiunti e senza solfiti. I vini vengono fatti maturare in grandi botti di quercia e infine l’imbottigliamento è fatto senza filtrazione. Anche in questa fase e anche al momento dell’apertura, la cantina segue le fasi della luna calante e consiglia ai suoi clienti il momento più adatto per stappare le sue bottiglie. Seguendo questo rigoroso e ispirato metodo, le Puy produce otto etichette a oggi. Tra queste, si distingue in modo particolare Retour des îles, che abbiamo avuto modo di assaggiare nel corso della presentazione di Velier.
Questo blend 85% Merlot e 15% Cabernet Sauvignon nasce come un cuvée di un altro vino della cantina, dal nome Barthélemy. Ciò che lo trasforma e lo rende un vino completamente diverso, è un viaggio lungo i Caraibi. Ad avere l’idea è stato Jean-Pierre Amoreau, padre dell’attuale esecutivo della cantina: lui aveva letto che gli inglesi, durante la guerra dei Cent’anni, avevano notato un deterioramento del vino che ricevevano dai francesi che lo spedivano attraverso la Manica. Grazie alla sua passione per la vela e alla sua curiosità verso questo fatto, ha fatto un esperimento: ha destinato quattro barili accuratamente selezionati della sua micro-cuvée Barthélémy a un viaggio di andata e ritorno di 20.000 chilometri attraverso i Caraibi.
Così il vino trascorre otto o dieci mesi di maturazione sopra un brigantino a vela, spinto esclusivamente dai venti dell'Atlantico. Questo esperimento continua ancora oggi ed evolve il Barthélemy a un rosso elegante e di personalità, del tutto diverso in bocca e al naso dall’etichetta di partenza. I frutti rossi cedono alla speziatura, al tabacco, al garofano accentuato, il floreale agrumato diventa più succoso e profondo. Possibile che un vino possa cambiare così tanto, soltanto perché è stato “biodinamizzato” dal vento delle Barbados e della Repubblica Dominicana? Questa è una domanda ancora senza una risposta chiara. L’unica certezza, per chi ha assaggiato il vino, è quella di aver provato una sorta di “magia”.
Sito web Velier
*Pubblicazione con finalità promozionali