Da ragazzo appassionato di tartufi a imprenditore di una delle aziende gourmet più affermate d’Italia: la storia di Luigi Dattilo, con un focus sulle varietà del pregiato fungo ipogeo.
La storia di Luigi Dattilo
Il mondo del tartufo o meglio dei tartufi, come spesso accade a quegli universi di conoscenza solo apparentemente noti, è di una complessità unica. Si tende a semplificare sulla base del sentito dire, ma quel che si sa è davvero poco. C’è però chi attorno a questi funghi ipogei ha creato e sta creando cultura, com’è accaduto a Luigi Dattilo grazie al suo amore per la natura e gli animali.L’abbiamo incontrato alla Appennino Food Group, azienda fondata nel 1985 a Savigno, in particolare Valsamoggia, sui colli bolognesi. “Nasce da una passione che un ragazzino, io, aveva per il mondo animale. Ho sempre amato gli animali e in particolare i cani, ma non solo. Avevo 14 anni, ora ne ho 54. Mia mamma era disperata: abitavamo a Casalecchio di Reno, al sesto piano di un condominio. Su una delle terrazze avevo fatto l’allevamento delle lumache. Poi, dall’altra parte, guardando Portobello in televisione sono stato ispirato da un soggetto che era andato a presentare la torta di lombrichi. Quindi su una terrazza le lumache, sull’altra un piccolo allevamento di lombrichi. Cani gatti, volatili. Mio padre a un certo punto dice: compriamo un pezzo di terra e tu ci metti tutti i tuoi animali, cani, gatti, volatili. Così fu e a Monteveglio i miei iniziarono a costruire una casa e lì davo libero sfogo alla mia passione.”
Luigi è un ragazzo sveglio: tra le altre attività inizia ad allevare piccioni viaggiatori e canarini, cosa che gli permetteva di avere un minimo di indipendenza economica. “Mi autofinanziavo, in pratica. Arrivato a quasi 18 anni mio padre mi propone di acquistare un’auto: prendiamo una macchina per te, magari usata ma ti serve. Io gli rispondo ‘voglio un cane da tartufi’, così lui mi guarda sorridendo e mi dice: ‘secondo me sei scemo’, queste le sue parole.”
Il cane era un pointer addestrato per andare a tartufi: “Lo pagammo sei milioni e mezzo di lire, erano tanti: una Golf nuova costava allora intorno ai dieci milioni.” Come si spostava allora Luigi per andare a tartufi? “Per muovermi usavo una moto, avevo una Ktm 250 da regolarità, ci caricavo anche il cane e mi facevo queste colline, tutte.” Anche se in realtà il tartufo non era lo scopo primario: “Il tartufo è stato un di cui, io tenevo al cane, il mio obiettivo non era raccogliere tartufo per venderlo, era invece di rafforzare il rapporto di simbiosi con il cane.
Solo poi ho iniziato a scoprire il mondo del tartufo, che conoscevo perché mamma lo comprava: ho ricordi lontani, di questo odore forte a volte anche stantio nel barattolo di vetro in frigorifero, lo aprivo, lo annusavo e non mi piaceva, così lo rimettevo via. Però la curiosità era forte ed è quella che sicuramente ha fatto la differenza.” Una trentina d’anni fa nasce la tartufaia tra le colline: “L’ho fatta io, non c’erano gli alberi lì, mio padre ci faceva piantare il grano.” Ed è davvero istruttivo ascoltare Dattilo mentre con le mani rovista nella terra e spiega come si possano leggere dal terreno i segnali che fanno intuire la presenza del tartufo, che si può trovare anche senza il cane, animale che ha il vantaggio di avere un olfatto enormemente superiore a quello dell’uomo.
Parlando della filosofia aziendale, Dattilo sottolinea un tema che gli è particolarmente caro: “Prima che avere interesse a vendere vogliamo contribuire alla conoscenza, perché è questo è un mondo ancora poco noto anche per molti chef. Perché ci sono tante varietà. Ci sono il nero, il bianco, sì, ma che tipo e in quale periodo e con quali caratteristiche? È lì che ci mettiamo in gioco e che si apre un mondo.”
Basti pensare che di questi funghi ipogei che si sviluppano in un rapporto simbiotico con piante madri di alto fusto come roverelle, carpini, salici selvatici, querce, tigli, pioppi e noccioli e con piante ‘comari’ come cespugli e piccoli arbusti. Per tartufo si intende il corpo fruttifero che prende il nome di ‘carpoforo’: è composto di due parti, quella esterna detta ‘peridio’ e la ‘gleba’ interna, formata da aschi che contengono le spore.
Sito Web Appennino Food Group
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