La peste suina africana in Cina ha costretto ad abbattere oltre 200 milioni di animali facendo aumentare il costo della materia prima del 40% con gravi ripercussioni per l’industria degli insaccati e dei salumi.
La Notizia
L’arrivo in Cina della peste suina africana pare non avere colpito solo quei poveri animali, ma anche l’intera Industria di insaccati e salumi. Con l’abbattimento di oltre 200 milioni di capi la Cina ha iniziato a comprare la carne suina dal resto del mondo, provocando un innalzamento dei prezzi, tanto che il costo della materia prima nel 2019 è aumentato del 40%.“La peste suina africana, presente anche con alcuni focolai nell’Europa dell’Est, priva di effetti sull’uomo, rappresenta una problematica sanitaria per la quale tuttora non è stata individuata alcuna vaccinazione. Da qui l’esigenza di abbattere gli animali contagiati. Soltanto in Cina sono stati eliminati circa 200 milioni di animali su un totale di circa 450 milioni. Si è così verificata una riduzione della reperibilità di carne suina con annesse pressioni al rialzo sui prezzi e sulla domanda internazionale” ha detto Davide Calderone direttore di “ASSICA”, l’Associazione degli industriali delle carni e dei salumi.
Una vera e propria emergenza per l’Italia e non solo se si pensa, infatti, che l’Industria degli insaccati della Penisola vale 8 miliardi di fatturato, 900 aziende, oltre 30.000 addetti. Da considerare, poi, che entra in ballo anche la tradizione, lo si sa bene, in Italia ogni regione ha i suoi insaccati tipici.
Nella produzione degli insaccati il costo della materia prima incide dal 50% al 75% del costo totale, è evidente, quindi, che un aumento della materia prima del 40% provochi delle ripercussioni “catastrofiche” sui margini se non si varia il prezzo finale o non si trova qualche altra soluzione. La situazione è ancora più preoccupante se si considera un’indagine condotta da “Rabobank”, la banca che da anni realizza report sul comparto delle carni. Nelle previsioni più rosee prevede che la crisi della peste suina durerà almeno altri due anni, dovesse andare male almeno cinque. A risentirne maggiormente sono le piccole imprese, che nel settore sono la maggioranza, in quanto in difficoltà a ricevere dei finanziamenti dalle banche per poter acquistare le carni. In queste condizioni i magazzini non sono più considerati asset, ma un peso, una zavorra. Una crisi nata da mancanza di materia prima si sta trasformando in una crisi di liquidità. «Quale banca sarà disposta a finanziarci con delle premesse così? La vera crisi per il settore rischia di diventare una crisi finanziaria. Le banche dalle nostre parti cominciano davvero a chiedersi se le imprese del comparto salumi saranno in grado di restituire i prestiti grazie ai quali si finanziano... E in questi giorni c’è già chi ha cominciato a produrre di meno: non perché non c’è domanda, ma perché non c’è la capacità di finanziare la produzione». afferma Giulio Gherri, AD di “Terre Ducali”, un’azienda medio-piccola di salumi nel parmense con una trentina di milioni di fatturato, una discreta propensione all’export e tanta preoccupazione.
Non sono indenni da questa crisi anche le grandi aziende, il costo della materia prima è aumentato per tutti, ma con la diversificazione riescono a sopravvivere. “Non vedevo una crisi delle materie prime così da cinquant’anni, noi abbiamo retto bene per qualche mese perchè siamo un’azienda diversificata, ma ora subiamo anche noi rincari della materia prima che sono arrivati anche al 50-60% in più in un anno”, ammette Michele Fochi, direttore della Business Unit Salumi della “Galbani”.
Si pensi che in alcuni particolari casi, vedi la pancetta, l’aumento è stato persino dell’80%. Variazioni davvero insostenibili.
Il problema principale è che i prezzi finali non vengono adeguati all’aumento del costo della materia prima. In Italia infatti il per il comparto salumi i prezzi della grande distribuzione si stabiliscono una volta l’anno e i discount sono contrari ad un aumento dei prezzi finali. Sui banconi dei supermercati continuiamo a trovare offerte per un salume piuttosto che per un altro.
“Il grido di allarme che lanciamo – spiega ancora il Direttore Calderone – è che i prezzi finali devono essere adeguati agli incrementi della materia prima, altrimenti le aziende lavorano in perdita. Va segnalato che riscontriamo una certa difficoltà a vedere riconosciuto questo incremento nei prezzi di vendita. Ma il rischio è che molte aziende, specie quelle più piccole e meno diversificate, chiudano”.
Anche il resto d’Europa risente di questa crisi dovuta alla peste suina, ma in Paesi come la Francia e la Spagna è la legge a regolamentare i prezzi all’interno della filiera dei salumi e quando il prezzo della materia prima, così incisiva sul costo di produzione, sale troppo i produttori possono chiedere alla GDO ( la grande distribuzione) di aumentare i prezzi retail.
La filiera, appunto, un altro problema cruciale in questo settore. Gli allevatori di suini in Italia oggi, infatti, non stanno subendo questa crisi, ma anzi, data l’elevata richiesta, sono l’unico anello della catena che si avvantaggia anche se in passato hanno subito dei ribassi. Arrivare a degli accordi all’interno della filiera sarebbe davvero auspicabile.
Oltre a questo riequilibrio all’interno della filiera sempre Giulio Gherri di “Terre Ducali” sostiene che “...lo Stato, per primo, dovrebbe creare un fondo di garanzia per sostenere le imprese che non ce la fanno più con le banche, che sono davvero la maggior parte”.
Ad aggravare questa situazione, già di per sè molto critica, contribuisce il calo delle esportazioni che per la prima volta da anni, nel primo semestre del 2019, è diminuito dello 0,8% a cui si aggiunge un calo della richiesta interna dello 0,9%. Per non parlare poi della “Brexit”, in caso di “no deal” salumi e insaccati sarebbero soggetti a dazio.
Preoccupazione avanza pure il Presidente di “ASSICA” Nicola Levoni: “Stiamo vivendo da troppo tempo una serie di problematiche senza precedenti: dalla vera e propria mancanza della materia prima, mai così grave dal dopoguerra, fino al problema dei dazi negli Usa e al rallentamento degli scambi mondiali in generale. Se le condizioni di mercato non miglioreranno sensibilmente nei prossimi mesi consentendo un adeguato riconoscimento del prezzo finale del prodotto, già a partire da Marzo 2020 almeno il 30% delle nostre imprese si troverà in una situazione di difficoltà economica e finanziaria”.
Questa gravissima crisi sta passando un po’ in sordina alle orecchie dei più come ha affermato Levoni durante il convegno tenutosi il 26 Novembre 2019 a Milano: “Chiediamo al Governo l’istituzionalizzazione del tavolo bilaterale con la GDO e un accordo su alcune misure finanziarie ad hoc. Chiediamo, inoltre, la realizzazione di campagne di comunicazione volte ad informare il consumatore, a valorizzare correttamente l’immagine della salumeria italiana ripristinando il giusto collegamento qualità/prezzo al consumo e a sostenere/promuovere i consumi interni. All’Europa chiediamo, con la collaborazione del Governo, flessibilità nel giudicare misure nazionali di aiuto a tempo determinato...”. Perché, sì, il 26 Novembre a Milano, “ASSICA” ha organizzato un confronto tra operatori e Istituzioni data l’urgenza della situazione, a cui ha partecipato anche la Ministra delle Politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova che aveva promesso la convocazione di un tavolo di filiera a breve, ma di cui ad ora non c’è traccia.
È davvero fondamentale che tutti, ma soprattutto le Istituzioni si rendano davvero conto di questa pesantissima crisi del settore dei salumi e degli insaccati e prendano gli adeguati provvedimenti.
Non vogliamo certo smettere di mangiare il Prosciutto di Parma, il Salame di Felino, la Sopressa, il Crudo di San Daniele e tutti gli altri fantastici salumi e insaccati della nostra tradizione. Soprattutto non vogliamo smettere di farli gustare al resto del mondo.
Fonte: Il Sole 24 ore