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Coro Orvieto: il ristorante nell’ex chiesa premiato dal Prix Versailles 2025

di:
Bianca Tecchiati
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COPERTINA SITO RACHELE

Nell’ex chiesa quattrocentesca di San Giuseppe, lo chef Ronald Bukri e Francesco Perali firmano un’esperienza che unisce architettura sacra, cucina contemporanea e identità umbra. Un luogo unico, selezionato tra i 16 ristoranti più affascinanti al mondo dal Prix Versailles.

Crediti fotografici: Lorenzo Noccioli

“La chiesa di Combray era un edificio che occupava, se così si può dire, uno spazio a quattro dimensioni, la quarta era quella del tempo … che sembrava conquistare, superare, non soltanto pochi metri, ma epoche successive dalle quali usciva vittorioso.” Con queste parole luminose Marcel Proust racconta il luogo di culto di Illiers-Combray, la cittadina di vacanze della sua infanzia.

Un’immagine che si adatta perfettamente anche all’ex chiesa quattrocentesca di San Giuseppe a Orvieto, oggi sede del ristorante Coro: un edificio che, proprio come quello proustiano, ha attraversato i secoli con grazia intatta, uscendo a sua volta vittorioso dalla sfida del tempo.

Il luogo

A cinque minuti di camminata da quel capolavoro che è il Duomo del piccolo borgo umbro, Coro è uno spazio austero, imponente e magnetico che, dopo secoli destinati alla contemplazione, accoglie oggi un rituale diverso ma non meno sacro, quello della convivialità. Artefice della trasformazione l’architetto Giuliano Andrea Dell’Uva, che ha operato con tocco rispettoso, restituendo vitalità a un luogo avvolto in una dimensione atemporale. Ha ricomposto la verticalità dello spazio, l’altezza raggiunge i nove metri, facendo dialogare pareti in tufo, volte a crociera, le tracce dell’altare antico con elementi di arte contemporanea e un arredo essenziale, in un incrocio di estetiche raffinate che convivono in una laica sacralità.

Il ristorante

Il ristorante è all’interno di Palazzo Petrvs, boutique hotel di nove suite dalla raffinata essenzialità, nato dalla visione di Raffaele Tysserand, imprenditore deciso a restituire centralità alla città, e che ha confidato nello chef Ronald Bukri e nel direttore di sala Francesco Perali per la gestione dell’ambito ristorativo.
Dal primo sguardo, non sorprende affatto che questo luogo sia stato selezionato fra i sedici ristoranti più fascinosi al mondo dal Prix Versailles 2025, riconoscimento internazionale patrocinato da UNESCO e Nazioni Unite, che premia progetti di architettura capaci di coniugare identità, sostenibilità ed estetica urbana. È l’unica realtà italiana nella lista, e segna una testimonianza rara di come un luogo possa rigenerarsi diventando parte integrante dell’esperienza gastronomica, non semplice contenitore.

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Il nome nasce dalla fusione tra le ultime e le prime sillabe di FrancesCO e ROnald e richiama anche l’antico coro ecclesiastico all’ingresso, abbracciando anche un principio di coralità che anima l’intero progetto. Una trentina i coperti, compresa una sala sopraelevata da una decina di posti, raggiungibile tramite una scala che ricorda un antico pulpito; al centro, un grande tavolo conviviale, simbolo della socialità che la cucina vuole ritrovare.

Il team

Se l’involucro emoziona, è la tavola a completarne la promessa. Chef Bukri — nato a Durazzo nel 1987, cresciuto a Empoli, porta con sé un percorso maturato tra alcuni dei più rilevanti indirizzi d’alta cucina: Arnolfo a Colle Val d’Elsa, Sketch a Londra, Guillaume at Bennelong a Sydney, oltre alle tappe con Paolo Lopriore, Igles Corelli ad Atman, e Terry Giacomello a Inkiostro a Parma. Nel 2017-18 guida la cucina di Osticcio a Montalcino, dove ritrova in sala Francesco Perali, dopo un precedente primo incontro, e nel 2024 i due inaugurano il loro ristorante a Orvieto. La sua cucina combina precisione tecnica, comfort raffinato e un senso di misura che non indulge nel virtuosismo fine a sé stesso, ma cerca il piacere a tutto tondo di chi si siede in sala.

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Francesco, formazione classica, laurea in economia e consolidata esperienza in Umbria e Toscana, dirige il servizio con ritmo rilassato e moderna naturalezza. Leggibile anche nelle divise indossate dai camerieri di un casual-chic contemporaneo, simbolo di un lusso disinvolto. Valentina De Angelis, sommelier, firma una carta orientata ai vignaioli orvietani e a produzioni identitarie, immediata è la percezione di un legame diretto con questa terra e della sua formazione solida maturata a partire da studi universitari trasformati in vocazione.

Coro è un luogo dove viene superata la distinzione tra forma e funzione perché l’ambiente diventa parte integrante del vissuto e non semplice contenitore di un’offerta gastronomica.

La sala

La sala conta in tutto una trentina di coperti, da un lato si scorge una scala che conduce a una piattaforma, che non è il pulpito per i sermoni, ma una saletta privata per una decina di persone che chiedono maggior privacy.

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Far precedere la cena con un drink al bar Gocce, attiguo alla lobby dell’hotel, è sicuramente una buona idea, Francesco Cocco, il bar manager, ha pensato una carta dei cocktail che appaga con sobrietà, come per il Gold Rush, dove Orvietan, l’amaro autoctono con venticinque erbe, gin al tè Jasmine e sciroppo di camomilla si annodano sprigionando una aromaticità che avvinghia al sorso.

I piatti

Oltre ai fiori, sul tavolo c’è un oggetto che ricorda inequivocabilmente una pisside e infatti contiene due ostie, con polvere di mais e mix di spezie, nessuna eco sacrilega, ma un’allusione benevola al fulcro della liturgia che ha caratterizzato questo luogo nei secoli. E soprattutto una introduzione azzeccata allo sfaccettato benvenuto che arriva insieme ai pani con farine semi-integrali locali, crackers di semi misti, burrolio, l’olio emulsionato con cera d’api, con polveri da parti vegetali di recupero

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Un parterre di snacks che picchietta su tutte le corde gustative, con l’acidità del lime della polpettina di ricciola, la terrosità del gazpacho di rapa rossa, olio al pepe rosa; del finto sushi di riso soffiato, acciuga marinata, salsa di curry verde; o della brisée di funghi, crema e polvere di funghi, lattuga. La dolcezza del mini-girasole di spuma di mais e semi di zucca; l’umami delle praline di Parmigiano 36 mesi e chutney di pepe, come dei samosa farciti di patate e polvere di curry rosso; per arrivare all’amarognolo della crema di carciofi e topinambur croccante.

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Nel calice scivola l’Orvieto Classico Superiore di Barberani 2018, Trebbiano e Grechetto di una intensità e persistenza conferite dalla Botrytis, la muffa nobile che si crea su una selezione di grappoli trattenuti in vigna. È una emulsione di miele, olio, limone verde a simulare la maionese, dove al posto dell’uovo è il miele da fornire la cremosità, dove intingere il gambero rosso di Porto Santo Spirito, con capperi di Pantelleria e scalogno

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L’amaro più amato del regno vegetale, quello del carciofo, qui in oliocottura poi alla brace, si ingentilisce con la nota nocciolata di un hummus di semi di girasole, con l’uvetta all’anice ad allungarne l’aromaticità, e un estratto amaro di foglie di carciofo a decretare qual è il sapore che deve dominare. 

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Un burro d’alpeggio francese invischia lo spaghetto Gerardo Di Nola, con il Parmigiano 36 mesi che insiste sulla pienezza e sul comfort, a cui dà il colpo finale la paprika affumicata, e la nota inaspettata, acidula il limone.

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Il côté liquido è affidato da Valentina a Spifferi Danielli 2022, un orange di Trebbiano e Grechetto con una parte di Moscato macerato sulle bucce per tre mesi

Sorprendenti per l’equilibrio di tutte le nuances i bottoni ripieni di rigaglie di pollo, umami tout court custodito dalla sfoglia che si amalgama con la freschezza di una crema di bergamotto e la leggera brezza di fumo dei piselli saltati al burro e affumicati. Con qualche goccia di estratto di erbe amare.

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È sempre Gerardo Di Nola a fornire i paccheri avvoltolati in una estrazione di lenticchie di Onano, cremose e dolci, e polvere di limone nero fermentato. Che accoglie l’impronta dolciastra e iodata della salsa sfumata di cozze alla brace, quasi uno zabaione. Con, a parte, un mini-spiedino di cozze alla brace, affumicate alle foglie di ulivo.

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Il capocollo marinato e cotto alla brace, ci conferma che chef Bukri, per scelta, evita i fondi di cottura, che sostituisce con le salse. In questo caso, di carota lattofermentata che alleggerisce e rinfresca. L’accompagnamento è con erbe amare, una grattata di pecorino e una carotina al koji.

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Il porpora deciso de Il Rosso 2021 di Decugnano Dei Barbi - Syrah, Cabernet Sauvignon, Montepulciano - si appropria del calice e rifinisce comme il faut il piatto di carne.

Una punta di amaro è prevista anche nel prologo alla parte dolce del menu, con la spruzzata di neroli sulla zuppetta di agrumi, sorbetto di pompelmo e una meringa ad animare il morso.

Un’apologia dell’apicoltura la crema inglese al miele locale, di estrema leggerezza, con polline fresco, finger lime e la copertura di una cialda decorata con gli esagoni dei favi.

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Il risolatte riporta subito alla mente la tradizione più familiare dei dolci, che Ronald ammoderna nascondendoci dentro una granita alla kombucha di caffè e inondandolo di fava di tonka grattugiata.

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Un soufflé al cioccolato da manuale propone un gioco agli opposti perché contenente una oliva cellina candita e passata alla brace, quindi cacao che vira tutto verso l’amaro, da stemperare con un gelato affumicato allo yogurt e capperini, da inserirvi all’interno.

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Apprezzatissima la decisione di sostituire le mignardises finali, a volte estenuanti, con porzioni di frutta fresca e un tartufino.

Contatti

Coro

Via dei Gualtieri, 1, 05018 Orvieto, Terni

Telefono: 0763 967231

Sito web

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