Nell'affascinante roccaforte nobiliare, la patronne Elisabeth Rabensteiner ha saputo arrotondare i massicci volumi originari con l'unicità del design autoctono. Ma la vera novità del 2025 è La Lumosa, ristorante gastronomico guidato dal giovanissimo René Tschager. Che rinfresca il repertorio di zona con una mano già sicura.
Ritratto dello chef in copertina di Josef Obexer (Instagram)
Meno di 2000 residenti e un paesaggio pettinato dai venti d'alpeggio: appena giunti a Villandro pare quasi di entrare in un'altra cartolina rispetto alla piazza formicolante di Bolzano. La mezz'ora d'auto che li separa è un cambio continuo di diapositiva, fino a questo piccolo paese sdraiato sul letto erboso dei pascoli a 880 metri. Senonché, le ragioni per inerpicarsi lungo le vie a zigzag del centro abitato vanno ben oltre l'idea di una vacanza "a tutto trekking": qui si trova uno dei castelli-emblema del circondario tirolese, diventato nel tempo prima tribunale e in seguito locanda, per poi trasformarsi gradualmente in una roccaforte alberghiera con 12 suite di charme.

Non aspettatevi, però, una finta rievocazione storica agghindata di lustrini: da Ansitz Steinbock ogni porta è rimasta la stessa, conservando bandelle e maniglie con tanto di chiavistello "effetto gotico". Di più: i parquet in abete rosso "cantano" da secoli adattando il sound ai passi dei nuovi venuti, mentre sulla facciata ancora capeggia lo stemma del vecchio proprietario a introdurre l'ex fienile convertito in dépendance. Se vi state chiedendo chi abbia avuto la lungimiranza di riportare indietro gli orologi dentro e fuori le mura, sarete sorpresi di scoprire che a monte c'è il disegno di un'unica padrona di casa: Elisabeth Rabeinsteiner, capace di rilevare, restaurare e rilanciare la struttura all'età di soli vent'anni.



Non fu facile attenuare l'impatto delle modifiche apportate in precedenza, tali da sottrarre al castello parte dell'arcaica suggestione. Ma il risultato ha ripagato lo sforzo e le mire della patronne, cui va riconosciuta l'ulteriore abilità di fiutare talenti in odore di riconoscimenti. Parliamo in particolare dello chef René Tschager, giovane classe 2000 già vincitore delle WorldSkills Italy di Bolzano 2020, e del capo sommelier Bastian Winkler, grazie al quale l'albergo si è aggiudicato il Premio della Cultura del Vino Alto Adige 2024 (ricevendo nel medesimo anno quello di Miglior Hotel 2024 Gault&Millau). E allora - pardon- ci scuserete il rinvio del "tour nel castello" fra qualche paragrafo: metteremo subito a fuoco i tratti de La Lumosa, fine dining con un team dall'età media curiosamente bassa per il livello di esperienza proposta.


Il ristorante La Lumosa: la cucina di un talento under 30 in un castello d'epoca
René è quel tipo di cuoco che, mentre allunga all'ospite un finger coperto da una pioggia di cuore di vitello a scaglie, sta già spiegando le sue manovre d'avvicinamento per entrare nelle grazie dei burberi artigiani di zona. "Serve tempo per conquistarli: devono avere la certezza matematica che userai il prodotto in ogni sua singola componente edibile. Altrimenti non te lo cedono neanche a pregarli in ginoccchio".

Il cuore del bovino lo fa marinare con le erbe, lo mette in frigo una settimana a -10 gradi e aspetta che assuma la consistenza di un Beef jerky, quindi viene essiccato e grattugiato espresso sopra un mini-sandwich con tartare sempre di vitello. Ciò in estrema sintesi, perché quando gli si chiede il procedimento entra poco in argomento: "Di base non stiamo inventando nulla, è la materia che parla da sé". Galeotto fu l'incontro del crudo e del cotto, un destro audace sul ring della proteina a preannunciare lo stile della cena che verrà. No, non siamo ancora in degustazione: lo snack fa capolino extra menu, scaldando gli umori nella cantina sotterranea dove è possibile sostare per un "sorso atemporale" fra mura affollate di bottiglie e soffitti scalpellati nella roccia.

Vi si muovono con scioltezza Bastian Winkler e l'Assistant Mâitre e sommelier Juri Erlacher, entrambi ottimi narratori della ricerca condotta sulle etichette di nicchia. Così, circondati dalle candele accese che rischiarano un patrimonio alcolico di 800 referenze, ci si prepara a tornare nell'edificio principale per accomodarsi nella vecchia stanza di affumicatura dello speck di Castel Steinbock. Ed ecco la vera epifania: oggi al suo posto c'è un gourmet con 4 tavoli, in cui l'unica traccia di fumo è quella che marca il tasting dello chef nelle fasi salienti del percorso. Non a caso, il nome "La Lumosa" fonde due sensi in uno: la vista sulla sala illuminata e la fragranza volatile dei cibi accarezzati dalla fiamma a pochi metri di distanza.



Il menu e i piatti
Il Grande e il Piccolo Viaggio (rispettivamente 6 portate a 149€ e 5 a 132€) sono introdotti da un carosello naturale di finger posti su rami d'albero levigati. Dal bottino di porcini quotidiano di un contadino di Villandro nasce un Taco fatto in casa di grano saraceno, che in bocca diventa estroverso col booster dei finferli tenuti sott'aceto per 2 settimane. Qualunque sia il vostro approccio al tormentone del prosciutto e melone, sappiate che qui la patina del classico anni '80 è lavata via da un Melone caramellizzato, chips di farina di patate, prosciutto crudo e crema di aceto balsamico invecchiato di Giuseppe Giusti: lo scrocchio apporta mordenza alla sensazione succosa, restaurando in toto il quadretto estivo. Non può mancare lo speck nell'aperitivo d'alta quota: "E allora lo abbiniamo ai fichi per un duetto di sapidità- rotondità, impiegando la sella di manzo di un macellaio di Ponte Gardena a rimpiazzare la pancetta". La stagionatura sfiora le 4 settimane, il velo fumé scorre a nastro continuo sulla mandibola.

Se con gli amuse bouche ci si è realmente intrattenuti (schivando il solito ritornello di bonbon dimenticabili), la "licenza poetica" di René sul vitel tonné risulta non meno ludica. "Trattiamo il vitello nostrano al pari di una carne salada e, per dare contrasto, lo serviamo col sashimi di tonno". Nel piatto sboccia una rosa "a doppia proteina", che per l'occasione si specchia pure in una vinaigrette francese con olio al basilico maison. Oltre alla lieve acidità dei pomodorini neri cumado, gioca a favore la carica iodata del caviale. Spoiler non richiesto: potete scegliere fra 5 o 10 grammi di prodotto aggiunto live e, volendo tenersi bassi contro ogni tentazione, l'assaggio ne guadagnerà in equilibrio. Spoiler numero 2: René è alla sesta versione della ricetta, quindi aspettatevi una variatio nelle prossime stagioni.

Il riscatto della sardina (altro che pesce povero!) passa per una presentazione "puntinista" con crema di pepe rosa e peperoni, più foglioline di capperi come refresh. I filetti, tenuti sotto sale per 3 ore, finiscono dritti sullo yakitori giapponese per 2-3 minuti, mantenendo intatte le carni sode tipiche di un crudo. Dopo aver placato la voglia di carboidrato col pane al lievito madre -da pucciare a intervalli regolari nella salsa olandese al miso e nel burro montato- è il momento dell'Orata dry aged, tamarindo e prugne. Interessante perché "scottata sulla griglia solo dalla parte della pelle, in modo che rimanga crispy senza alterare la delicatezza della maturazione a secco eseguita per una settimana". Burro per rosolare? Non pervenuto: "Vogliamo che emergano i sentori pacati di frollatura". Bel lavoro di precisione sulla fibra, col trancetto in un'escalation di trame sovrapposte. Alla base, una salsa olandese di prugne fresche di Villandro s'apre al mondo con la crema agrodolce alla Tamarinda di Thailandia.



Fra i secondi schizza in testa il tacchino di Bressanone, mascotte etica dell'uso totale dell'animale. Ve lo troverete scomposto in una pluralità di preparazioni: dapprima il petto in duplice cottura, sous vide e yakitori; poi il Pulled Turkey (alter ego del Pulled Pork) con coscette brasate, polenta di Storo e mais grigliato; da ultimo, il sandwich farcito di tacchino a pezzetti e crumble di mais. Davanti a noi, la catena alimentare scomposta in una tranche di forchettate, dal cereale alla carne bianca.

Il pre-dessert tira a lucido il ricettario montano con una Panna cotta al fieno, gelato al fieno e strauben (un dolce locale tradizionalmente fritto in olio bollente, in tal caso accostato ad una crema di albicocche per il reset conclusivo). Riprende il filo dello "scarto zero" una creazione a base di banane -vedi la buccia del frutto trasformata in chips caramellate più banana bread, mousse di fondente al 70%, ganache di cioccolato bianco e latticello di coriandolo. L'epilogo che non ti aspetti, lontano dalle consuete vette zuccherine: i conti tornano in chiusura.



Le suite, la colazione e la "tavola pop" del castello
Nuovo giorno, nuovo giro: la visita al maniero riprende esattamente da dove eravamo rimasti, dopo un sonno ristoratore almeno quanto la cena della sera precedente. Forse perché in suite Elisabeth ha mantenuto la promessa di un'accoglienza gentile, arrotondando i volumi massicci del maniero con la finezza del design. Capita, dunque, di dormire nei "bovindi che furono", in cui le pareti alte fino a 5 metri racchiudono la Suite Von Neuhaus in onore dei nobili proprietari dello Steinbock; oppure, di gustarsi l'agio di una dimora a 2 piani nella Römervilla, memore dei suoi natali "da fienile" ma resa moderna da una sauna ad infrarossi, una vasca a posizionamento libero e il bagno realizzato su progetto di Antonio Lupi.



Così, appena riemersi da una doccia con gli effluvi di pino mugo (il set di cosmesi alpina, neanche a dirlo, è totalmente plastic free), l'appetito bussa alla porta e guida il naso verso la stube della colazione, un "rifugio nel rifugio" incorniciato da tende e pouf per enfatizzare la genuinità domestica delle sedute in legno. Ricordate i funghi del contadino di Villandro? Il consiglio è quello di bissare l'assaggio ordinando un'omelette "baveuse", magari insieme a un ripieno di speck e formaggio di malga; sul podio dei dolci, invece, il porridge di avena e frutti di bosco freschi, la Linzer Torte e i lievitati con confettura di albicocche.

Lo sprint per un'escursione in Valle Isarco lascia in sospeso un'ultima domanda: c'è spazio per il tipico, in un'indirizzo che ha preso la rincorsa gourmet? La risposta arriverà al rientro, in un mezzogiorno assolato che dà il benvenuto all'aria frizzante dell'autunno: nella Steinbock Wirtsstube sfilano canederli fumanti, pesci di lago e persino piatti a base della razza ovina più antica dell'Alto Adige, il Villnösser Brillenschaf. Di certo, Villandro è un nuovo punto luce sulla mappa altoatesina.

Indirizzo
Ansitz Steinbock
Vicolo Franz von Defregger, 14, 39040 Villandro BZ
Tel: 0472 843111