Giuseppe Bruno guida il Sistina nell'Upper East Side: 120mila bottiglie e un prestigioso riconoscimento recentemente elargito da Wine Spectator.
Nell’Upper East Side, il Sistina è da anni uno dei ristoranti più raffinati di New York. A guidarlo è Giuseppe Bruno, chef e ristoratore originario della provincia di Salerno, che ha costruito una delle cantine più impressionanti d'America. Parliamo di oltre 120mila bottiglie, un inventario dal valore di 20 milioni di dollari e un riconoscimento appena rinnovato da Wine Spectator, che ha inserito il Sistina tra i ristoranti con le migliori carte dei vini della città.

Un risultato che testimonia non solo il percorso di un italiano a New York, ma anche quanto il vino rappresenti un'esperienza che va oltre il calice: cultura, tradizione e accoglienza. Lo abbiamo intervistato.
Il Sistina è stato appena confermato da Wine Spectator tra i ristoranti con le migliori cantine di New York. Che significato ha per lei questo riconoscimento?
È un traguardo che ci riempie d’orgoglio. Sistina custodisce oggi oltre 120 mila bottiglie per un valore complessivo di circa 20 milioni di dollari: una collezione costruita nel tempo, con grandi vini italiani, francesi e californiani. Già dieci anni fa Wine Spectator ci aveva assegnato un riconoscimento importante, che ha portato molti curiosi a vedere una lista praticamente introvabile. Quest’anno ci hanno invitato anche alla Wine Experience — la cena che riunisce i 100 vini dell’anno e i migliori chef d’America. È un evento esclusivo, da 2.500 dollari a persona, e siamo l’unico ristorante italiano presente tra i 90 premiati nel mondo.


Come nasce la sua passione per il vino e quanto è importante oggi per l’identità del Sistina?
Sono nato in provincia di Salerno, in una famiglia di contadini: avevamo ulivi e viti, vendevamo i prodotti nei mercati della zona. Mio nonno faceva vino e da bambino ricordo ancora il profumo delle uve pigiate, mi è rimasto addosso. Quando sono arrivato a New York, la nostalgia della campagna e di quei profumi è tornata forte. Ho cominciato a comprare bottiglie, una per venderla e una per conservarla. Così è nata la collezione, che continuo ancora oggi: mi piace semplicemente ammirarle. Ho capito presto che un bel piatto di pasta, se accompagnato da un vino mediocre, non lascia ricordo. Con un grande vino, invece, la cena diventa memorabile. E questa sensibilità è ciò che rende Sistina un luogo dove non si viene per sfamarsi, ma per vivere un’esperienza completa.

In un momento in cui in molti ristoranti si registra un calo nelle vendite di vino, lei racconta invece di essere in controtendenza. A cosa attribuisce questo successo?
Noi siamo un caso un po’ diverso. Sistina e Caravaggio sono ristoranti da occasioni speciali: chi viene da noi lo fa anche per la cantina. I clienti arrivano già predisposti a scoprire e bere bene. Vendere vino richiede cultura e servizio: per questo abbiamo deciso di offrire al calice etichette importanti come Gaja, Tignanello o Montrachet. È un investimento, ma permette anche ai più giovani di provare vini che altrimenti resterebbero inaccessibili.

C’è un tipo di vino — o una regione vitivinicola — che i suoi clienti americani stanno riscoprendo grazie alla sua carta?
La carta è vastissima, ma direi che stiamo vendendo molto Champagne, anche usato nei cocktail. Poi si lavora bene su Piemonte e Toscana, che sono da sempre amati, ma ultimamente ho notato una bella crescita per il Verdicchio e per alcuni bianchi piemontesi: un segnale interessante che mi ha sorpreso.

Quali sono le bottiglie più rare o costose che custodisce in cantina?
Abbiamo bottiglie di Pétrus che valgono 50 o 60 mila dollari, grandi formati di Romanée-Conti del 1990 che arrivano a 120 mila dollari, e vecchie annate di Borgogna del 1929 o del 1934. E poi una splendida collezione di Conterno con etichette degli anni ’40, ’50.

E invece, quali sono le etichette “del cuore”, quelle che non mancano mai e rappresentano meglio la sua idea di cucina italiana?
Quando vino e cibo si incontrano bene, l’esperienza diventa memorabile. Non credo ci sia un vino preferito in assoluto: quello “giusto” è quello che hai voglia di bere in quel momento. Il bello del vino italiano è proprio questo: è sempre buono, e sa adattarsi all’umore e al piatto.

Negli ultimi mesi il prezzo di alcuni prodotti italiani, come la pasta, è aumentato fino al 110%. In che modo questo incide sulla vostra offerta?
Collaboriamo con produttori di qualità come Felicetti, Di Martino e vari pastifici di Gragnano. Tutto è cotto e mantecato al momento. C’è stato uno scandalo legato all’uso di farine non italiane, e il governo ha applicato tasse molto alte: questo ha pesato. Noi però continuiamo a puntare sulla qualità. Lo scorso giugno le Nazioni Unite mi hanno invitato a un evento per premiarmi per aver portato la dieta mediterranea a New York. Per me è una cosa naturale, fa parte della mia cultura: lo faccio col vino come con il cibo.

Ci sono altri ingredienti italiani che stanno diventando difficili o costosi da reperire? Come si adatta un ristorante di alto livello a queste oscillazioni di mercato?
Il Parmigiano Reggiano Vacche Rosse ha raggiunto prezzi altissimi; i salumi, come il San Daniele 36 mesi, sono aumentati di oltre il 20%, e anche il Grana Padano 30 mesi è salito molto. Ma la nostra clientela è alto spendente: se si ritocca leggermente il prezzo, lo accetta. Ciò che conta è la qualità. Faccio arrivare prodotti che nessun altro ha, come il Sant’Ilario o i culatelli di Spigaroli: 400 grammi costano 350 dollari. In più, il dollaro ha perso forza sull’euro e, sommando dazi e trasporti, i prodotti arrivano con rincari del 30 o 40%. Nonostante tutto, continueremo così: l’eccellenza non si tocca.

In un momento in cui molti ristoranti faticano a mantenere le vendite di vino, il Sistina resta un'eccezione. Merito di una visione che Bruno ha maturato fin da bambino, tra i filari della campagna salernitana, e che continua a coltivare ogni giorno: quella di un luogo dove non si viene solo per mangiare, ma per vivere un'esperienza che unisce memoria, cultura e piacere. "Il bello del vino italiano è che è sempre buono", conclude. "Sa adattarsi all'umore e al piatto". E questa semplicità, fatta di radici profonde e scelte senza compromessi, è forse il segreto più prezioso custodito nella cantina del Sistina.
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