Per 5 giorni la città di Torino è stata al centro del mondo gastronomico grazie a una manifestazione che ha conquistato il palato di turisti e cittadini.
Torino è viva più che mai. E lo è ancor di più quando in città arriva Buonissima: l’evento gastronomico ideato dai giornalisti Stefano Cavallito e Luca Iaccarino e dallo chef Matteo Baronetto che, in appena cinque edizioni, è diventato qualcosa di più di un festival gastronomico, bensì un rito collettivo, un momento per stare insieme e condividere la passione per il cibo. Una macchina perfetta di energia, creatività e passione, capace di unire grandi firme della cucina e pubblico curioso, le osterie con i templi dell’alta gastronomia.

L’edizione 2025, con numeri da record, ha sancito la piena maturità di Buonissima: cinque giorni in cui Torino ha respirato cibo, arte e cultura come un’unica, grande festa. Sono stati realizzati oltre 120 eventi che hanno coinvolto 150 chef e ristoratori, con più di 16.000 partecipanti. Come negli scorsi anni, l’evento ha prodotto un significativo ritorno in termini di indotto per ristoranti, hotel e fornitori di servizi del territorio ed è stato reso possibile grazie a un’organizzazione articolata, coordinata da ToBe Company, che ha coinvolto più di 300 addetti ai lavori. “Buonissima è un evento per il pubblico, per ogni genere di appassionato di gastronomia, da chi ama le antiche trattorie a chi frequenta l’alta cucina” dicono i fondatori dell’evento.



Dopo l’inaugurazione ufficiale durante cui è stato assegnato il Premio Bob Noto (il cui tema quest’anno era “il talento”) a Alain Passard, chef del leggendario ristorante Arpège a Parigi, è stato un susseguirsi di momenti ad alto tasso di sapore. Dall’Opening Dinner, la cena itinerante che ha esaltato la bellezza della residenza storica reale di Palazzo Madama, con il contributo di 10 chef protagonisti della scena gastronomica italiana, alle contaminazioni felici e festose di BistroMania, grazie al gemellaggio con i bistrot catalani, e all’ormai consolidato format Piolissima, che esalta la cucina tradizionale servita nelle “piole”, vera e propria anima popolare della città.



Sono ritornati anche gli attesi appuntamenti di "Metti Torino a Cena", in cui gli chef torinesi hanno aperto le porte dei loro locali o hanno animato sedi inedite ed iconiche della città come la libreria Luxemburg o le Gallerie d’Italia, confrontandosi con colleghi provenienti da tutta la penisola e creando sinergie, scambi e contaminazioni davvero incredibili, che hanno dato vita a percorsi degustazione unici, che vanno oltre ingredienti e tecniche per raccontare la storia di un momento, l’alchimia di un incontro. È stato interessante prendere parte ad alcuni di questi appuntamenti, proprio per la piacevole atmosfera di dialogo che si è creata, tra chef, brigate, luoghi e persone. Nella cena presso il Galfer Bistrot & Cafè la cucina di territorio del resident chef Giacomo Gagliardi, giovane con alle spalle esperienze in USA, desideroso di far conoscere la sua cucina giocosa che crea aspettative visive, poi scompigliate dai sapori, ha dialogato con la cucina stellata del Gabbiano 3.0 di Marina di Grosseto ed il suo chef Alessandro Rossi.

Una stella Michelin, tanto amore per la Maremma, un orto a Siena, un locale affacciato sul Tirreno: queste sono le basi di partenza di chef Rossi, unite a concretezza e ricerca, che danno vita a sapori comfort di grande profondità. I piatti più interessanti della serata: la quaglia in fricassea, con i suoi fegatini scottati, funghi in zabaione e cavolo nero, proposta dal Gabbiano 3.0 e le animelle con lamponi sottoaceto e demiglace ai funghi di chef Gagliardi. Due espressioni diverse, ma con dei punti di incontro, che hanno incarnato lo spirito autunnale, come una passeggiata nel bosco, tenendosi per mano, sul confine tra Piemonte e Toscana. Da Sestogusto, iconica pizzeria gourmet cittadina, Massimiliano Prete, maestro lievitista, decimo in Italia per 50 Top Pizza, ha ospitato Alberto Gipponi del ristorante Dina di Gussago, avanguardista e provocatore per eccellenza. I principi della serata sono gli impasti, dice Gipponi, con topping inediti a servizio del morso.

Massimiliano Prete dal canto suo spiega di aver sempre guardato la grande cucina come modello, come esempio, per creare un nuovo modo di intendere la pizza, ed è bello vedere il clima di reciproco scambio che si è creato tra i due, assolutamente percepibile nei risultati gustativi. Visivamente spiazzante il total black della base al nero di seppia, con all’interno seppia e rafano di Gipponi; gustativamente intensa la base con grano evolutivo coperta da un velo solido di pomodoro e parmigiano, dal sapore concentratissimo. Anche Massimiliano Prete ha voluto giocare con la creatività, portando topping originali, come besciamella, cavolo nero e riccio di mare, presentati su una base perfetta in texture e sapore, con mais e semi di girasole. Delizioso anche il suo pane sfogliato, ripieno di funghi battuta, di fassona e limone, un perfetto omaggio al territorio e alla stagione. In queste serate si è respirato il senso più autentico della cucina: l’incontro come scintilla creativa, la capacità di riconoscersi nelle differenze, la curiosità come ingrediente per progredire.

Alla fine, restano i piatti, certo, ma soprattutto le connessioni: l’emozione di chi cucina e di chi assaggia. Come in ogni jam session, anche ai fornelli, si crea un nuovo ritmo, che non è la semplice somma dei due protagonisti, ma va oltre, aprendo a nuove possibilità. Nei cinque giorni di Buonissima c’è stato spazio per gli sguardi sul futuro, con Rasmus Munk, chef del ristorante Alchemist di Copenaghen, e la sua meraviglia sensoriale a Palazzo Saluzzo Paesana, cena spettacolo unica dedicata alla cultura italiana, e con Jeremy Chan, del londinese Ikoyi, che ha raccontato il suo universo di spezie e memoria attraverso un interessante show cooking da Eataly; ma anche per momenti amarcord, come la reunion tra Carlo Cracco e Matteo Baronetto insieme nel format Chef’s Table da Dispensa.


L’atmosfera di fermento culturale è stata mantenuta accesa in tutti i giorni della kermesse attraverso Casa Buonissima, uno spazio nel cuore della città che ha ospitato talk, cooking show, masterclass, laboratori e degustazioni, con professionisti del mondo della cucina, della pasticceria, del vino e del giornalismo di settore, in sinergia con due progetti della Camera di Commercio di Torino: Maestri del Gusto e Mangèbin, che ha offerto ogni giorno la merenda sinoira, elogio alla tradizione culinaria piemontese.

E dopo giorni di incontri, assaggi e riflessioni, la festa non poteva che chiudersi in un luogo di culto per gli appassionati di cibo, le sale che già ospitarono il Combal.Zero, al Castello di Rivoli, con una meravigliosa vista sulla città. Qui è andato in scena l’evento conviviale conclusivo di Buonissima: il Grande Pranzo della domenica, con un clima che rende giustizia al suo nome e un menu “a tutto Piemonte” preparato da dieci eccellenze del territorio, tra trattorie, bistrot e ristoranti di alta cucina. Qui il cibo è tornato ad essere rito di condivisione, con una sala affollata di amici sorridenti, brindisi, tempo che scorre lento, in quel piacere semplice e mai banale di un pranzo della domenica. Una grande famiglia allargata, dove anche gli sconosciuti subito si sciolgono, perché il cibo è una magia, la passione per la cucina lega con facilità, tra un consiglio su quale locale provare e un commento sulle ricette, tra un calice di Barolo e un panettone, come nelle migliori feste, ci si rilassa dimenticando la quotidianità ed è lì che capisci che un evento è riuscito.

Quest’anno Buonissima ha superato se stessa, consacrando Torino come crocevia internazionale del gusto e proponendo alla città un bel modo di guardare il mondo: con la fame di chi cerca sempre nuovi stimoli, con la generosità di chi condivide, col lavoro di squadra, con il bello di stare insieme alla stessa tavola e godere. Perchè il cibo non è solo nutrimento del corpo, ma anche dell’anima, linguaggio, ponte, visione.
E così, Torino ha mostrato ancora una volta le sue sfumature più contemporanee, coltivando il futuro partendo dalla tavola.