L’ultimo menu dello chef abruzzese è un viaggio a ritroso nella purezza del gusto, che si concentra sull’essenza di ogni elemento. Molti piatti sono monoingrediente e il lavoro sull’amaro è davvero profondo.
Ritratti: Crediti Andrea Straccini e Rosi di Stefano
Lo chef e il ristorante
Ci vuole coraggio a essere Niko Romito. Ci vuole coraggio a starsene a Castel di Sangro, in un angolo d’Italia a cui nessun luogo è vicino, e a immaginarsi una delle cucine più sperimentali ed estreme d’Italia e pretendere anche, in sovrappiù, che le persone vengano in pellegrinaggio da te. E riuscirci anche, che diamine.

Niko Romito ha cinquantuno anni e a Castel di Sangro ci è nato. Voleva fare altro, sognava una vita nella finanza, e per questo studiava Economia a Roma. Poi il padre morì, all’improvviso, e lui e la sorella Cristiana si trovarono a capire che cosa fare della pasticceria di famiglia a Rivisondoli, paese scioglilingua a qualche chilometro di distanza da Castel di Sangro. E che cosa farne se non uno dei ristoranti più innovativi dei primi anni Duemila in Italia? Di questo cuoco riflessivo e calmo e della sua cucina naturalistica piano piano si accorsero tutti, un battito di una farfalla in Abruzzo può scatenare un terremoto a Parigi, e al Reale di Rivisondoli arrivò una stella (è il 2007) poi due (è il 2009). A questo punto le ambizioni stavano strette, i due fratelli si trasferirono a Castel di Sangro, aprirono Casadonna Reale che oggi è un ristorante ampio e quieto, qualche camera sopra per chi vuole fermarsi a dormire, un’accademia per formare nuovi cuochi, un campus, delle vigne. Una piccola galassia creativa che è il centro di un intero universo. Almeno Niko e Cristiana nell’universo.

La “rivoluzione Romito” nell’alta cucina ed oltre
Romito ha una sua visione molto precisa di cucina, nessuna idea è lasciata correre a stancarsi ma tutto va nella direzione di una funzione sociale e democratica del mangiare. “Democratico a duecentotrenta euro a persona bevande escluse?”, può chiedere qualcuno. Che c’entra, quella è l’esperienza, lo spettacolo, la magnificenza. Chi vuole e chi può paga e mangia, funziona così. Ma ogni piatto di Niko, ogni idea è volta alla riproducibilità e alla scalabilità. Può, cioè, essere in teoria riproposta con numeri larghi per una fruizione collettiva, riuscendo a “industrializzarne” l’eccellenza artigiana attraverso processi studiati ed eseguiti rigorosamente. Non è un caso che da anni Romito collabori con progetti volti al miglioramento da un punto di vista della salubrità ma anche del sapore della ristorazione collettiva in luoghi come gli ospedali, le scuole, le mense.

Un esempio pratico e commestibile di questa filiera warholiana dell’alimentazione di qualità è data dallo Spaghetto al pomodoro che Romito riproduce in tutti i ristoranti Bulgari del mondo (Milano, Roma, Parigi, Dubai, Tokyo, Shanghai, Pechino, Bali), grazie a una rigorosa codifica dei passaggi che permette di ottenere esattamente lo stesso risultato ovunque, nel sapore e nell’estetica, ovvero il piatto più semplice e insidioso della cucina italiana nella sua massima espressione che diventa la zuppa Campbell della Pop Art. Una rivoluzione culturale, questa, che trasgredisce all’oleografia del cuoco italiano tutto pizzichi e occhio, nonne e ricette scritte a mano, estro e umore.

Il fatto è questo: Niko, da quando è entrato nel mondo della gastronomia da magnifico autodidatta, ha sempre avuto il pallino di scoprire come funzionano le cose e, di conseguenza, come si potrebbe farle funzionare meglio. La sua carriera è una collezione di disobbedienze che lui ama rievocare parlando di una messa in discussione delle convenzioni gastronomiche per dimostrare «un’alternativa valida a una regola ben stabilita della gastronomia che rispetta i valori della tradizione ma la porta a una nuova dimensione». Lo ha fatto quando nel 2009 ha creato l’Assoluto di cipolla, un primo risultato della sua ricerca dell’essenziale, un brodo che contiene la “cipollitudine” del lacrimevole bulbo trasportata in una dimensione suprema e senza limiti. Lo ha fatto quando ha deciso, nel 2013, di trasformare il pane in una portata (e ora lo fanno in molti, e quindi ‘che ce vo’’? Ci vuole averci pensato quando serviva) che omaggia la sacralità del padre di tutti gli alimenti, che ha sfamato generazioni di italiani.



E quando, anni dopo, nel suo Laboratorio ha messo a punto una pagnotta ideale per il consumo domestico che comprende l’idea di essere surgelata e poi rigenerata, ma anche conservata in frigo per trenta giorni a 4 gradi grazie a una tecnica di saturazione dell’ossigeno verso l’azoto. In questo modo il pane non solo acquista secondo Niko in croccantezza esterna e in morbidezza interiore, ma diventa anche massificabile, trasportabile, standardizzabile, processabile, perfettamente identitario a Parigi e a Tokyo. Così Niko ha voluto dimostrare che il prodotto confezionato può essere buono in scala uno a uno come quello fresco. Ma non basta: Niko ha reinventato il concetto di stazione di servizio, decamoglizzandola e proponendo in ALT (oggi in partnership con Enilive) prodotti semplici ma buoni, polpette, polli arrosto, patate, lasagne, bombe salate.



L’ultima grande ribalderia Romito l’ha messa in atto nell’anno di grazia 2022. In quel caso Niko propose a chi ebbe la bontà di andarlo a trovare un menu interamente vegetariano, e sì, il tema era nell’aria, ma lui dedicò l’unico menu degustazione del suo ristorante per oltre un anno a foglie e ortaggi, sfidando l’idea corrente che nessuno sarebbe arrivato a Castel di Sangro per spendere una cifra ingente per non vedersi servita nemmeno una proteina animale, nemmeno un agnello, nemmeno uno scampo, e che si fa così? Sì, si fa così. Romito l’ha fatto (il menù degustazione interamente vegetale è stato in carta per oltre un anno, ndr) e quel menu è entrato dalla porta principale nella storia dell’alta gastronomia italiana. La foglia di broccolo, quella esterna, di solito destinata alla pattumiera, divenne la testimonial del piatto più riuscito di quella rassegna, immortalata in una foto a suo modo storica, da inserire nella galleria dei capolavori italiani.

Il menu e i piatti
Il menu attuale di Reale (230 euro) non ha nome, è come l’”album bianco” dei Beatles. Un percorso di passaggio, che rispetto ad altre fasi della carriera dello chef abruzzese riserva meno plot twist. Molti dei piatti conservano lo spirito del precedente menu con una forte tendenza alla vegetalizzazione, ma l’obiettivo pare essere la ricerca della purezza dei sapori, rinunciando a grassi, sali e zuccheri aggiunti.

L’inizio è già formidabile: Misticanza al pomodoro con farro lasciato in acqua di pomodoro che dona una nota acida e sapida, polvere di liquirizia e olio che ha il sentore della foglia del pomodoro, e poi spunta un fiore della bouganville che richiama lo stesso pomodoro. Segue l’inusuale Ostrica e cicoria, in cui la parte iodata si unisce a quella amara in un patto di ferro. Quindi un Riso che si badi non è un risotto, che non viene mantecato ma bollito e tostato, a riprendere certe cotture familiari di un tempo, con i chicchi ben distinguibili in bocca, condito con acqua di anice e limone e un pesto di basilico senza aglio né pinoli. Il servizio tiepido riporta alla mente certe insalate di riso da spiaggia, ma trasportate in paradiso.

Si va avanti: una piccola divagazione dal menu con un classico del Reale, Cocomero e pomodoro, un piccolo capolavoro di freschezza ma senza leggerezza. Ritorno sul sentiero principale con la Spigola al vapore con pasta di spigola e sedano, marinata in aceto e gin e con l’Insalata tiepida di bieta, con foglie differenti che subiscono differenti cotture e marinature a creare un intero guardaroba di sensazioni. Ha dell’ossessione il successivo piatto monoingrediente, una Carota in forma di succo, di crema, di cubetti, di fettine marinate nello stesso succo, di caramello che glassa il tutto, a creare una polifonia “sinneriana” dalla profonda nota dolce che risulterebbe stucchevole se non fosse soccorsa dall’acidità del succo.

Ecco l’Anatra, cotta intera con tutta la carcassa e poi messa in acqua fredda, i succhi rimangono. Viene sporzionata e arrostita e laccata con ginepro, servita tiepida per esaltare il sapore. Accanto, una emulsione con patate e olio. E’ il momento del piatto più forte ed estremo della serata, Penne e salvia, una sfilata di penne lisce condite dall’erba in tutta la sua possanza aromatica. Al primo assaggio il piatto sembra sbilanciato, ma a ogni boccone successivo si procede nell’immersione all’interno dell’amaro, gusto che più di tutto ha bisogno di pratica e abitudine. Il piatto si conclude con una fogliolina, la lippia, che reca la dolcezza che riconcilia con il mondo e azzera la bocca. Un piatto divisivo, del quale la violenta espressività amara rischia di oscurare ciò che Romito considera un altro aspetto saliente del piatto, “il gusto della pasta, del grano, che abbiamo dimenticato a favore delle salse e degli intingoli”.


Arriva un fuori menu, l’Anguilla maturata per qualche giorno, ciò che le fa perdere la nota grassa, e cotta alla brace e condita con una pasta di aglio di Sulmona leggermente abbrustolita, polvere di limone e peperoncino. Quindi Peperone e pane, un piatto povero per natura, quasi atavico, che si esprime soprattutto nella struttura garantita dalla mollica del pane e dall’arcobaleno di colori del peperone, lavorato in differenti modi.

Si entra nell’area di competenza del dolce. Dapprima una interpretazione della Crespella in busso, con crema di albicocca, pesto di rosmarino Tocco fondamentale, questo), passata di mandorla, infuso con vino e rabarbaro. Quindi un Sorbetto acqua e cacao con formaggio stracchinato di Scanno del quale si mangia anche la buccia, e poi melone marinato nel Marsala e nel rum con menta, timo, estratto di zenzero e un po’ di sale.

Il menu verrà prossimamente ritoccato: entreranno Zucchina, cannella e pepe rosa, Baccalà e foglia di fico, Lattuga, mandorla e pomodoro. Piccoli aggiustamenti che non mutano la filosofia complessiva. Il servizio di Cristiana è amabile e con un tocco di piacevole ironia. La carta dei vini è poderosa per larghezza e lunghezza; incredibile anche il lavoro di Carlo Maldotti, sommelier di talento subentrato a Gianni Sinesi.

Contatti
Reale
Piana Santa Liberata, Castel di Sangro (L’Aquila).
Tel. 086469382.
Mail info@ristorantereale.it.
Aperto il mercoledì a cena e dal giovedì alla domenica a pranzo e a cena