Attualità enogastronomica

Bambini al ristorante, la riflessione: “Se sporcano devono ripulire i genitori, non lo staff”

di:
Elisa Erriu
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II noto professionista della ristorazione Darron Cardosa, forte di oltre 30 anni nel settore, firma una riflessione sul tema caldo del momento.

L'opinione

Non c’è nulla di più tenero – e potenzialmente devastante – di un bambino al ristorante. Tra manine impiastricciate di yogurt e piatti che diventano strumenti di pittura astratta, l’esperienza gastronomica con i più piccoli si trasforma spesso in una performance a metà tra l’arte moderna e un episodio di “SOS Tata”. Ma a fine pasto, quando il campo di battaglia è disseminato di cracker sbriciolati, croste di pizza abbandonate e macchie arcobaleno, la domanda sorge spontanea: chi dovrebbe occuparsene? Il personale del locale o i genitori? Chiunque abbia lavorato almeno un giorno nella ristorazione sa che nulla è mai davvero prevedibile. I bambini, in particolare, sono gli avversari più imprevedibili dell’eleganza a tavola. Eppure, c’è un confine sottile tra ciò che è “parte del lavoro” e ciò che sfocia nel disinteresse totale da parte degli adulti al seguito.

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Su Food&Wine, il cameriere di esperienza trentennale Darron Cardosa racconta, ad esempio, di una serata in cui due bambini – con un’età combinata di appena quattro anni – riuscirono a trasformare un tavolo in qualcosa di simile a una voliera dopo un’esplosione. Cibo ovunque, pareti schizzate, tavolo disseminato di pezzetti di carta. I genitori, con uno sguardo vago e un’alzata di spalle, si limitarono a un laconico “Scusate per il disastro”. Nessun tentativo di aiutare, nemmeno un gesto per raccogliere il tappeto di riso cotto che aderiva al pavimento con la tenacia di un chewing gum al sole. Pulire è parte del mestiere, certo. Ma c’è un’etichetta non scritta che farebbe bene a essere rispettata. Offrire almeno simbolicamente una mano, magari raccogliendo i pezzi più grossolani del disastro, è come fare il gesto di tirare fuori il portafoglio anche se sai che sta per pagare qualcun altro: è questione di stile. E attenzione, questo non significa che ci si aspetti che i genitori si mettano a spazzare il pavimento. Ma raccogliere le salviettine accartocciate, il biberon caduto, i colori spezzati come bastoncini di mikado abbandonati, è un modo per comunicare: “So che non siamo stati esattamente degli ospiti facili, ma non diamo per scontato il vostro lavoro.”

Dan Cardoza
Drron Cardosa

Un altro classico momento da incubo, osserva Cardosa, arriva quando i genitori decidono di lasciare che il loro piccolo cliente, età media: due anni, beva da un bicchiere “da adulto”. Il risultato è pressoché certo: un’esplosione di liquidi zuccherini – come la famigerata Shirley Temple extra-pink – che si infilano nei meandri più oscuri del legno, tra le venature del pavimento e nei sogni (o incubi) dei camerieri. La verità è che, nella maggior parte dei casi, esiste una soluzione semplice e indolore: accettare la tazza con coperchio. È come un piccolo scudo per la dignità del cameriere, e per il tavolo. Rifiutarla per orgoglio filogenitoriale è come sfidare il destino a braccio di ferro con un cucchiaino pieno di gelatina rossa. Capita: un bicchiere scivola, si frantuma in mille pezzi, magari inseguito da una vocina che urlava “Guarda mamma!”. In questi casi, meglio lasciare che il personale intervenga. Cercare di pulire con le mani nude è pericoloso quanto inopportuno. Comunicare l’incidente con prontezza, invece, è fondamentale. Nessun bisogno di eroismi da parte dei genitori, solo un po’ di collaborazione logica.

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Se c’è un punto in cui l’equilibrio tra cortesia e decoro si rompe definitivamente, è quello del vomito. E sì, parliamo di bambini, quindi può succedere. Ma qui non ci sono attenuanti: è compito del genitore. Nessuno nel mondo della ristorazione – nemmeno il più stoico dei camerieri – è pagato abbastanza per affrontare quel tipo di emergenza con il sorriso. Se il ristorante è fortunato, avrà una scorta dell’infame “polvere rosa”, un composto profumato che trasforma il disastro in qualcosa vagamente gestibile. Ma è il genitore che deve prendere il comando, come un pompiere in una notte d’incendio. L'autore chiude con un consiglio semplice e diretto: se lasciate un campo minato sotto al tavolo, lasciate anche una mancia che sia all’altezza del caos. È un piccolo gesto che può fare una grande differenza nella giornata – e nel morale – di chi ha servito, pulito, e raccolto ogni pezzetto di quella serata. Perché, alla fine, il ristorante non è solo un luogo dove si mangia: è una danza sociale, una rappresentazione collettiva dove tutti hanno un ruolo. E se il vostro tavolo si trasforma in un parco giochi, almeno fate in modo che chi vi ha servito se ne ricordi… con un sorriso. Anche se un po’ appiccicoso.

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