Dalla premura per l'ortaggio, elaborato con tecniche capaci di esaltarne le varie gradazioni di intensità, al dialogo vero coi produttori, scoperti e raccontati sul fronte umano oltre il rifornimento quotidiano: l'insegna di Priverno si candida a nuova tappa per i cercatori di bontà lievitate nel Lazio. Non mancano un menu degustazione e una drink list col Cesanese accanto allo Champagne. Tutto sotto la guida di due abili cugini trentenni, che scommettono su una formula diversa nel loro paese fuori Roma.
Foto di Alberto Blasetti
La meglio gioventù della tonda "new era" non mette radici solo nei grandi centri urbani. Se c'è un fenomeno a cui abbiamo assistito nell'ultimo decennio è quello di una lenta, ma significativa riscossa degli indirizzi fuori mano, capaci di spostare un pubblico sempre più curioso verso paesi, borghi e persino frazioni dal solido (sebbene spesso invisibile) potenziale gastro-culturale. Così, tre anni fa a Priverno ha esordito un team che oggi punta alto a colpi di investimenti e di serate passate ai fuochi senza delegare nulla.



Parliamo di Antonio Visentin e Giammarco Ambrifi, cugini di sangue e colleghi d'elezione, nonché giovani titolari della pizzeria La Passeggiata; soprattutto, talenti emergenti con le idee ben chiare, pronti a impiattare tanto un menu degustazione con 4 Margherite differenti quanto una sfilza di ricette domestiche trasferite sugli impasti-dallo stracotto di cervo alle castagne alla brace, fino ai cardoncelli grigliati.

Priverno lo raggiungiamo in un'ora e un quarto da Roma; fra le strade il profumo di street food rovente che scalda l'aria frizzantina durante una sagra con gli stand in fila indiana. Eppure, già alle 20 il locale non ha neanche un tavolo libero: pullula di coppie, comitive e famiglie, in un patchwork di età e preferenze assortite. La lasagna fritta divisa fra genitori e pargoli; l'estimatore di turno intento a studiare una carta dei vini con lo Champagne accanto al Cesanese; la cucina a vetri da cui trapelano i gesti di una squadra che ci crede. Messaggio ricevuto: qui la pizza gode di rispetto oltre la popolarità di rito. E ciascuno, alla fine, riesce a godersi la sua fetta di soddisfazione in tempo reale.

La storia, il locale e la filosofia
In origine fu la pizza al taglio: 1985, la famiglia di Antonio e Giammarco apre una breccia nel settore con un hotspot di bontà lievitate gestito dalle sorelle Nadia e Pina Scalesse. Di lì a poco il testimone passa senza indugio ai due ragazzi, forti rispettivamente di un background in Management aziendale e una formazione nel ramo della pizza acrobatica, scuola Angelo Iezzi.

L'ambizione corre sui binari giusti fino all'arrivo della Passeggiata, che in una nuova insegna di 310 metri quadri unisce l'attività d'esordio -col bancone e i tranci farciti in bella vista all'ingresso- e un'apposita sala per fruire dell'esperienza totale. Senonché l'albero genealogico continua a dare i suoi frutti di ramo in ramo, complice lo zampino dello zio Roberto Scalesse, restauratore di lungo corso che ha firmato il design degli ambienti, preservando il pavimento originario composto da marmo di Carrara e privilegiando materiali naturali quali ferro, legno e marmo, in un climax di riferimenti all'architettura romana.

L'esito risalta al primo sguardo, vista l'abilità di Roberto nell'impresa di ristrutturazione (a lui, corresponsabile di importanti ricerche presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), si devono proprio gli studi sull'affresco di Pompei che raffigura un'atavica focaccia). Di rimando, la modernità bussa alla porta con garbo felpato, prendendo talvolta la forma dei led alle pareti, talatra di gradite cortesie per gli ospiti (quante pizzerie offrono d'emblée il poggiaborse all'arrivo? Lasciamo a voi la risposta!). Lato cibo, il menu è uno stile libero in acque locali: c'è la premura per l'ortaggio, elaborato con tecniche che ne esaltano le gradazioni di intensità, e un dialogo vero coi produttori, scoperti e raccontati sul fronte umano oltre il rifornimento quotidiano.

Qualche esempio? Il Frantoio Orsini di Priverno per i profumati oli extravergine d'oliva aggiunti ai topping, l'artigiano Gaetano Mastrantoni per salumi e carni di bufala, e due Presidi Slow Food -la Marzolina della realtà Benacquista di Campoli Appennino e il Conciato romano dell’azienda La Campestre Famiglia Lombardi di Castel di Sasso- entrambi dalla spiccata profondità espressiva.

Stiano in campana, poi, i wine addicted, poiché il sommelier Alessandro Gismondi-reduce da trascorsi di rilievo, dall'esordio appena quindicenne con Salvatore Tassa alla sala di Marco Bottega nel vicino Aminta Resort- ha incentrato la drink list su un doppio scouting, con valide referenze autoctone ed alcune etichette di nicchia selezionate Oltralpe (basti citare lo Champagne Blanc de Meunier del Domaine Roulot-Fournier, degno apripista della cena). Un catalogo in itinere che per ora conta 30 nomi, giovandosi di una bottigliera da 150 pezzi strategicamente collocata accanto al pass. Manca qualcosa?

Sì, 5 tipologie di impasti diversi a spartirsi la scena nelle retrovie, laddove il team tiene costantemente attivi due forni elettrici, "necessari ad 'asciugare' bene la nostra tonda (realizzata con farine di media forza di un mulino di prossimità, rigorosamente macinate a pietra, e idratata al 73-75%, ndr)", spiegano Giammarco e Antonio. Ne deriva un naturale turnover di fragranze, dalla tensione "aerea" del cornicione leggermente crock al centro solubile, schivando comunque la dispersione di condimento grazie alla base strutturata.

Le pizze
Gli assaggi -nel nostro caso, un'amalgama fra il tasting "Evoluzione di Margherita" (6 corse a 25€, 40 con pairing) e i gusti del momento- sono introdotti dalla spigliata narrazione in sala di Claudia Colabono e Perla Santoro, in grado di trasmettere appieno il senso del percorso ideato da Giammarco e Antonio. Un percorso articolato, stando alla tripartizione fra tonde classiche, autentiche e d'autore, più le basi al padellino e in doppia cottura, cui si affiancano il croissant alla romana e il tris di montanare per dar man forte agli antipasti "singoli". Si inizia con la sorpresa cromatica della Crocchetta di patate viola di Antonio Ruggiero, arricchita da prosciutto cotto, provola affumicata, fior di latte e prezzemolo e resa dinamica dall'aggiunta in cima della fonduta di Parmigiano Reggiano Dop.


Un boccone sul filo dell'equilibrio fra la pastosità del tubero -che riempie le guance col suo ritorno quasi di nocciola- e la tempra vivace della scocca esterna. Simile nel concetto, ma diverso nell'esito, il lingotto multistrato della Lasagna di broccoletti e salsiccia, che secondo stagione capita di trovare pure con i "Chiacchietegli di Priverno", rari vegetali di zona a foglia lunga contraddistinti da infiorescenze violacee e sentori pacati. "Hanno una persistenza gentile che imprime sul palato il timbro del territorio; per il nostro borgo rappresentano un importante Presidio Slow Food", ci spiega Antonio. In sintesi, la monoporzione del pranzo domenicale a portata di dita: una rima baciata di sfoglia e farcitura agreste. Quale che sia la scelta, "la panatura viene sempre assemblata a partire dal nostro pane con lievito madre liquido, che sforniamo esclusivamente per l'autoproduzione, portando le eccedenze a casa in ottica no waste".

Il tempo di litigarsi i fritti e sulla tavola aleggia una domanda cruciale: può una semplice Margherita fornire la traccia di un tema d'attualità? La risposta prende forma in un percorso interamente dedicato alla Regina delle pizze, volto a spaziare dal "classico dei classici" alla variante temeraria con la frutta (che vi sveleremo fra qualche riga!). Ad ogni modo, per chi sceglie l'"Evoluzione di Margherita" il primo atto è un disco in cui rotondità e asprezza stringono finalmente un patto di allenza, rendendo la salsa armonica anziché monotona. Ecco, dunque, che la Margherita "basic" della Passeggiata si scopre elegante- un red carpet di San Marzano DOP sospeso fra la genuinità del cereale e la succosità del fior di latte, a loro volta spinti dall'aroma dell'olio monovarietale Frantoio Orsini.

All'estremo opposto, nel Pensiero di Margherita subentra un giocoso saliscendi di temperature, tanto da generare l'impressione di una vera portata "gastronomica". Da un lato lo spicchio guarnito con chutney di pomodoro e una coulis di gambette di basilico, per trasformare la parte legnosa della pianta in un boost di note erbacee; dall'altro un gelato al latticello di bufala con la doppia funzione di azzerare lo scarto caseario e rinfrescare la mandibola in chiusura. Non a caso, il gesto stesso disegna un movimento "circolare" nel passaggio dalla fetta alla pallina di gelato (e viceversa).

Eppure, il momento clou arriva insieme all'unico quadrotto di teglia servito nel locale: davanti a noi, l'Illusione di Margherita, dove la salsa stufata di kiwi rimpiazza perfettamente il datterino in virtù della sua dolcezza polposa. "Lo studio sul frutto parte sempre dalle coltivazioni vicine, poiché nell'Agro Pontino il kiwi abbonda ovunque". A rafforzare il gioco di prestigio, il topping total green che vira dalla crema al basilico, mentre la stracciatella dona un'avvolgenza vellutata che ammortizza lo scrocchio del trancio sotto i denti.

Il polso fermo nella gestione dei condimenti "rustici" emerge invece dalla Genovese di Bufalo, un dritto e rovescio fra la carne gagliarda e il corroborante gel di limone centellinato da Giammarco e Antonio. "Persino una goccia di troppo può alterare l'insieme, quindi abbiamo fatto test su test per raggiungere il punto di acidità perfetto". In dirittura d'arrivo è però la menta a lavar via gli ultimi residui di grassezza animale.

Dall'uso di cuocere le caldarroste nel caminetto parte la rincorsa smoky dell'omonima pizza -in gergo, "Callarroste"- divisa fra la setosità della crema di castagne e la sensazione "di brace" apportata dal prosciutto cotto affumicato. Sullo sfondo -delicatissimo- il melograno, ingrediente su cui varrebbe la pena "insistere" per sviluppare al meglio i chiaroscuri gustativi della ricetta.

Difficile abbandonare il campo rinunciando al fine pasto, considerata la voce "Falia" nella carta dei dessert. Sì, esatto: la striscia lievitata originaria di Priverno, sorta di "pan pizza" dagli alveoli esuberanti, qui si rifà il look accogliendo una farcitura distintiva e, insieme, non troppo zuccherina. Il merito va alla mescolanza di ricotta di bufala e vaccina, da cui deriva una spuma "pannosa" che regge il confronto con l'ottimo cioccolato, ottenuto a partire da una ganache di cacao in polvere italiano e un successivo inserto di fondente al 70% durante la cottura. Una bombetta dolce che, a scoprirla da piccoli, avrebbe battuto sul colpo la tipica merenda pane, burro e cioccolato. Neanche a dirlo, c'è tutto il tempo per recuperare!


Contatti
Pizzeria della Passeggiata
Via Giacomo Matteotti, 101, 04015 Priverno LT
Telefono: 0773 902865