Dove mangiare in Italia Semplici con stile

Dabass: a Milano c’è il bistrot che tutti sognano dove lo chef accoglie i clienti come a casa

di:
Asia Torreggianti
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copertina Dabass

Un salotto metropolitano che ti fa venir voglia di restare. Per mangiare, certamente, ma anche per scambiare due chiacchiere informali, conoscere lo chef e gustare i piatti del giorno, affidandosi a un valido team.

Crediti fotografici: Savour

Lo chef e il locale

“La mia è una cucina di pancia, di gola: da un lato tenta di lasciare un ricordo, dall’altro educa”, esordisce lo chef del Dabass di Milano, originario di Monterotondo. Custode della memoria affettiva, guidato dal cuore e non dalle futili mode, Andrea Marroni è proprio un’alchimista sentimentale. Le sue parole seducono, come anche i modi che lo contraddistinguono: non fatevi ingannare, sotto la scorza da rocker e ai tatuaggi, si nasconde un cuore tenero. Un duro? Forse solo nell’aspetto, e chi l’osserva lo capisce in un lampo: a comandare sono i frammenti di vita vissuta, di casa, e di emozioni autentiche.

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Le vibrazioni positive si acuiscono varcando la soglia del salotto metropolitano: è un posto che ti fa venir voglia di restare, per mangiare, certamente, ma anche per scambiare due chiacchiere informali, osservare il viavai di giovani e volti noti dell’entertainment, e farsi ispirare. La location inghiotte disinvoltura, ironia e charme rétro degli anni ’30 e ‘40: pareti blu notte, un mosaico di vetri industriali che fa da sfondo alle bottiglie sapientemente allineate, protagoniste del cocktail bar, lampade sospese come piccole lune domestiche ad illuminare, complementi d’arredo spaiati ma al contempo armonici, pezzi unici probabilmente recuperati in qualche mercatino, successivamente restaurati, ceramiche stravaganti ed eccentriche - come pure stoviglie e posate -, opere contemporanee naïf raffiguranti soggetti stilizzati.

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Ogni dettaglio, compreso il bancone dall’angolo volutamente ammaccato, disegnato dall’artista Gianfranco Locatelli, Optical Crash, in ceramica bianca e nera, è stato scelto con cura. Insomma, lo spazio che ospita la palazzina Liberty stretta e lunga, Casa Sartorio (1909), in Porta Romana, fra via Piacenza e via Passeroni, pare abitato da decenni, da qualcuno con buon gusto e un’anima bohémien. Il bistrot, infatti, nato nel gennaio del 2017 dall’incontro e dall’amicizia fra Maddalena Monti, Andrea Marroni e Roberto Tardelli, è stato progettato dallo studio di architettura A2BC, mentre del design si è occupata Francesca Savini.

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Informale, rilassato e divertente, offre una selezione di piatti sfacciati e altamente performanti, che raccontano storie capaci di sorprendere: si alternano comfort food d’autore, che rievocano il passato, e guizzi creativi che strizzano l’occhio alla tradizione. Viste le premesse, il menu scritto è solo un punto di partenza; ho quindi preferito abbandonarmi al consiglio del giorno, che in questo caso vale più di una sfilza di righe stampate su carta. Ho seguito il flusso, fidandomi di chi serviva, degli sguardi complici, e dell’intesa invisibile, e invincibile, fra i membri della squadra. Qui sono i gesti improvvisati e gli ingredienti fuori programma che fanno la differenza: niente ansia, il perfezionismo lo si accantona.

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I piatti

Marroni segue il ritmo della giornata, la disponibilità del mercato, la stagionalità, la tecnica e il suo estro. La luce nell’iride azzurra di chi spadella come ama, senza alcun filtro, s’incrocia con quella dei commensali, cogliendo ogni esigenza celata, anche non detta. Ed è così che ti ritrovi davanti un calice di champagne e un tagliere: pancetta di wagyu, Patanegra iberico 959 e pizza bianca romana servita calda, fragrante e spiazzante. Una carezza provocante, un invito a distendersi e brindare. Proseguiamo con uovo poché su crema di zafferano e guanciale croccante, un grande cavallo di battaglia elegante e grintoso: il tuorlo cola lento come oro fuso dal primo contatto con il cucchiaio, il sapido irrompe deciso, e la spezia, seppur delicata, si percepisce infida.

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Nel frattempo, ci viene offerto il Tardelli, drink vivace che riprende il cognome del mitico barman del locale, a base di vodka (gin in alternativa), succo di limone fresco, zucchero liquido ed estratto di zenzero. Dalla piccantezza sottile, entra in scena misteriosamente, risvegliando i sensi, preparandoci alla portata successiva: lo spaghetto burro e alici attualizzato. “Una cosa facile”, come si dice a Roma, se non fosse per il vermouth impiegato per bilanciare la dolcezza, e il latte di mandorla utilizzato per mantecare, un forte richiamo alla Sicilia.

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“Non abbiamo più tempo, tutto dev’essere sostenibile, anche i costi, sennò posso farne a meno. Mi rifiuto di sottomettermi ai capricci e di adattarmi”, anticipa lo chef con la calma di chi ha già preso una decisione irrevocabile mentre i secondi irrompono in tavola.

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Pietanze che non cercano applausi, ma rispetto, preparate con materie prime di altissima qualità che non si travestono, il cuore di wagyu, cipollotto appassito e affumicato alla brace, salsa verde e crescia, e l’agarto (taglio anatomico che solitamente viene tritato) condito con del chimichurri, fondo bruno e cicoria di campo selvatica saltata con aglio, olio e peperoncino, entrambi provenienti dall’azienda di Lodi a impatto positivo sull’ambiente, La Cigolina.

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Prima di concludere il percorso arriva lei, un’insalatina apparentemente timida, ma con personalità da vendere: finocchi, radici, barbabietola, semini vari, pistacchi e crème fraîche. Una stretta di mano prima dell’abbraccio destinato a colpire nel profondo. Dulcis in fundo un panettone che non ha paura delle stagioni, bergamotto, zafferano e mandorle, realizzato in collaborazione con il maestro lievitista Fabrizio Fiorentini del forno Sant’Agnese di Rieti, adagiato su del voluttuoso zabaione, che lo accoglie fra le sue braccia, e completato con fragoline di bosco, un filo d’olio e chicchi di sale.

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Una voce chiara in mezzo al rumore, da non confondere con le urla incontenibili e assordanti che ci circondano nel quotidiano: “Il nostro è un lavoro sacro che merita lealtà. Dobbiamo sacrificarci sempre di più, l’etica è fondamentale. Il mio sogno nel cassetto è quello di creare e ampliare una rete fra colleghi per confrontarci, crescere e collaborare con sinergia. La gente sente la necessità di uscire e cenare al ristorante, ma ancor di più di essere coccolata, e il mio compito è regalare un momento vero, che resti impresso sia nella mente che fra le papille. È ciò che cerco di trasmettere ai ragazzi della Food Genius Academy, dove insegno. Naturalmente bisogna anche spassarsela, oltre ad emergere caratterialmente, senza perdere di vista l’obiettivo”. In fondo si tratta di un atto di condivisione, di sfida e di passione. E chi sa come giocare con questi elementi, non sbaglia mai strada.

DABASS

via Piacenza 13- 20135 Milano

t. 349 356 5436

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martedì - domenica dalle 18:00 all’01:00

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