Durante Identità Golose Milano 2025 è passato dal nostro stand Mauro Colagreco, chef del Mirazur a Mentone. Ecco una breve intervista al cuoco del tre stelle Michelin e stella verde, primo ai 50 Best nel 2019.
Parliamo anzitutto dell’UNESCO. Qual è il tuo ruolo e in cosa consiste?
Il mio ruolo come Ambasciatore di buona volontà dell'UNESCO per la biodiversità ha un grande impatto. È un incarico di rilievo, perché è la prima volta che l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura lo affida ad un cuoco.
A mio avviso si tratta di una novità significativa per la comunità gastronomica: così è possibile contribuire alla conservazione delle specie a rischio sul piano globale, una responsabilità che investe noi chef quotidianamente.
Da tre anni al Mirazur abbiamo la possibilità di coltivare un orto di cinque ettari. La settimana scorsa, inoltre, abbiamo avviato un progetto bellissimo, a 20 minuti dal ristorante, in un piccolo paese che si chiama Sospel: gestiremo una farm di 17 ettari con relativo piano agricolo in divenire.

I pilastri dell’iniziativa? Innovazione ed educazione, per generare sostenibilità sì ambientale, ma anche economica. È un ruolo che va oltre il singolo piatto servito a tavola. Cucinare per i clienti è meraviglioso; trasmettere l’importanza di mangiare consapevolmente al mondo intero ancora di più! Questo fa l'UNESCO. Un'opportunità che dà a me e parallelamente a tutto il settore. Sono progetti educativi. Adesso abbiamo lanciato un piano di sensibilizzazione alimentare nelle scuole che interesserà un ampio range di alunni, dai bambini di tre anni ai ragazzi di quindici-sedici anni. Un progetto pilota in Francia, con l’ambizione di estenderlo via via al mondo intero.
Sono input fondamentali per l’universo gastronomico. Invece, rispetto al futuro del Mirazur, vuoi raccontarci qualcosa?
Il lavoro al Mirazur è sempre più entusiasmante. Quando nel 2019 abbiamo ottenuto 3 stelle ci siamo chiesti: “Ora come proseguiremo?” E abbiamo continuato a sperimentare, persino dopo il Covid, che ci ha aiutato a mettere in discussione certezze e pratiche assodate. Tutto senza timore di rischiare; diamo importanza ai valori con cui il Mirazur stesso si è affermato, in primis la questione agricola: oltre la tecnica moderna, più attenzione alla salute e al reperimento dei prodotti.

È l’aspetto artigianale della cucina, no? Meraviglioso, perché oggi abbiamo un team totalmente cosmopolita, ma unitissimo, che vuole alzare progressivamente l’asticella. Una costola altrettanto importante del gruppo è la squadra dedicata alla ricerca. Non assumiamo solo cuochi, ovviamente, ma anche antropologi, biologi e scrittori. Un team di sette persone che ogni giorno lavora per andare oltre il cibo. Per questo il Mirazur è oggi più di un ristorante. Anzi, prima era un ristorante con giardino ed orto. Oggi è un orto con ristorante.
Vuoi parlarci anche dei tuoi progetti paralleli al Mirazur? Ad esempio, la bakery.
Assolutamente sì. Partiamo sempre dalla stessa impostazione del Mirazur abbracciando diversi progetti inclusivi, per arrivare ad una clientela che magari non ha la possibilità di permettersi un gourmet, oppure semplicemente non desidera sperimentare ogni giorno una cucina così elaborata. In molti, ad esempio, sono attratti dai format easy, stile street food.
Abbiamo dunque sviluppato un concept incentrato sulll’alimento base della cucina occidenatale, il pane. Alla Mitron Bakery utilizziamo solo grani antichi, biologici, e produciamo autonomamente la nostra farina. Abbiamo un mulino privato e sforniamo pane a lunga lievitazione naturale, di 48 ore, quasi ancestrale: prima veniva considerato l’alimento principe del pasto! Stessa cosa per la pizza di Pecora Negra, in cui integriamo i prodotti biologici delle nostre coltivazioni. Materie prime eccezionali: il mangiar bene a tutto tondo.