Idee chiare ed obiettivi ambiziosi che vanno ben oltre la stella Michelin: fra cura del design, squadra affiatata e cucina trasversale, Pulejo si conferma un gourmet in fermento. La visione di Davide Puleio.
Foto di Alessandro Barattelli
LA STORIA
“Sono una persona ambiziosa che ha le idee molto chiare. Passo intere giornate in cucina, ma è esattamente ciò che voglio fare e lo faccio senza sforzi, mi viene naturale. Sembra che io voglia bruciare le tappe? Forse, ma alla mia età credo sia normale. E comunque sono nato prematuro, probabilmente questo non ha aiutato”. Si descrive così Davide Puleio, uno degli chef più interessanti e meno osannati del panorama capitolino.

Nato e cresciuto a Roma, dopo il diploma all’alberghiero, a soli 21 anni entra a far parte della brigata di cucina de Il Convivio di Angelo Troiani, che definisce “il suo battesimo”, dove incontra lo chef e amico Daniele Lippi e impara cosa significhi approcciarsi alla cucina d’autore. Tra il 2013 e il 2014 l’esperienza più significativa al Noma di Copenhagen, per apprendere l’importanza del duro lavoro e la cura maniacale del dettaglio, che si traducono in costanza, disciplina e ricerca della perfezione in ogni piccolo gesto. Poi l’esperienza al Texture di Londra, da Agnar Sverrisson, dove assorbe i tanti stimoli di una metropoli sfaccettata e multietnica e quella al ristorante Pipero, come sous chef di Luciano Monosilio.

“Alessandro Pipero è stato fondamentale per capire gli aspetti imprenditoriali di questo mestiere, così faticoso e pieno di difficoltà”, confessa Puleio. Nel 2019 si trasferisce a Milano per guidare la cucina del ristorante L’Alchimia, dove nel 2020 conquista la stella Michelin e il premio come miglior giovane chef. Tuttavia, i premi da soli non bastano e dopo neanche un mese lascia per divergenze con la proprietà. Il 31 marzo del 2022 apre a Roma il suo ristorante, Pulejo, in zona Prati. In breve tempo arrivano riconoscimenti importanti come il premio “novità dell’anno” per la guida ai Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso e poco dopo, a soli 7 mesi dall’apertura, arriva la stella Michelin. A ottobre 2024 con il socio Matteo D’Anzi apre a Torrevecchia Isotta trattoria di quartiere, con l’intento di rendere omaggio in chiave moderna alle tradizioni laziali e alle cucine regionali.

IL RISTORANTE
Un successo annunciato? Senza dubbio cercato e meritato: “Credo di dovere molto a mio padre, è stato un grande motivatore. Era un militare e per anni ha insistito affinché mi cercassi un posto fisso; tuttavia, ho sempre avuto la testa molto dura. Credo fermamente nelle regole, ma lasciarsi andare e travalicarle a volte può avere risvolti impensabili”, dice orgogliosamente lo chef. La sala è arredata in stile nordico, con tavoli in legno e mise en place essenziale, tuttavia il recente rifacimento del parquet, scurito e impreziosito con lastre di pregiato marmo di Orosei, dona quel calore che mitiga l’approccio minimalista e rende l’ambiente più bello, elegante e confortevole: “Per ora ci siamo limitati a rifare il pavimento e a ridipingere le pareti, ad agosto è previsto il rinnovamento più significativo” spiega lo chef.

A prima vista non si percepisce il bisogno di rinnovare un ambiente che appare curato e appropriato, tuttavia è solo l’incipit di un progetto ragionato che prevede più tappe, necessarie per raggiungere l’obiettivo prefissato: “Cambieremo completamente passo a livello di design” – continua lo chef – “Ci vogliamo evolvere e ambire a traguardi più importanti, vogliamo innalzare l’aspetto esperienziale e migliorare l’impatto visivo. Il genere di ristorante che piace a me è in stile francese, piccolo ma di classe, in grado di accogliere una clientela esigente e sofisticata”, ma non è tutto, poiché la comunicazione in questo settore è fondamentale: “Ho investito anche sull’ufficio stampa infatti, perché, anche se il ristorante è pieno, ritengo che l’informazione sia un ingranaggio da cui non si può prescindere, mi piacerebbe che tutti sapessero quello che facciamo qui”.

Come se tutto questo non fosse sufficiente, Puleio, per non lasciare nulla al caso, ha programmato anche uno stage da Alain Ducasse: “Ho sempre bisogno di nuovi stimoli e nuove energie. L’obiettivo principale non è vedere quello che cucinano o imparare nuove tecniche, quanto osservare con gli occhi dell’imprenditore come funziona un tre stelle Michelin, com’è l’ambiente, come si muove la brigata, come interagiscono fra loro e come studiano i nuovi piatti, per cogliere spunti interessanti da poter replicare” chiosa il patron. Di fronte ad una così nitida visione imprenditoriale sembra quasi che la cucina passi in secondo piano, invece la proposta mira, con altrettanta chiarezza, ad essere trasversale e di grande spessore, libera da orpelli e sovrastrutture, comprensibile e diretta.

“Mi interessa coccolare le persone e farle sentire a casa, la chiave del successo è nella semplicità, nel cercare di arrivare a tutti, prestando però sempre la massima attenzione ai dettagli”, precisa Puleio. La sua è una cucina che si basa sulla memoria, sull’emotività e sulla curiosità, intesa come ricerca del nuovo per ampliare sempre i propri orizzonti. Uno stile caratterizzato dall’opulenza tipica della cucina classica, metabolizzata e riletta in chiave personale; dal rigore e dall’eleganza dello stile nordico; da piatti e ricette che ricordano l’antica Roma, così come da tanta attenzione al mondo vegetale e alle contaminazioni provenienti da altre culture. Sopra ogni cosa però ci sono le materie prime, di grande livello, che raccontano certamente il territorio e le esperienze passate, ma lasciandole sullo sfondo per far prevalere una suggestione improvvisa, un’idea, l’ispirazione del momento: il risultato sono abbinamenti che si esaltano nel singolo piatto restituendo un’interpretazione moderna, godibile e difficilmente catalogabile, se non sotto il comune denominatore del gusto, dell’eleganza e del rigore esecutivo ed estetico.

Si può mangiare alla carta, oppure optare per uno dei due menu degustazione previsti: Albore, cinque portate a 110 euro, o Crepuscolo, sette portate a 140: “Ho sempre prestato grande attenzione alla coerenza del percorso, per questo ci sono piatti che scelgo per le cinque portate e altri più adatti alle sette” ammette lo chef. In entrambi i casi si può aggiungere l’abbinamento vini, tre calici a 60 euro o cinque a 80. Davide Puleio è certamente uno che pensa in grande, ma non senza consapevolezza e basi solide. È stato bravo infatti a creare una squadra affiatata e coesa che lo supporta, non solo in cucina, ma anche in sala, dove ognuno recita un ruolo fondamentale con grande garbo e professionalità.

“Quando parliamo di ristorazione bisogna elevare la conversazione e parlare di modelli di business, che non possono in alcun modo prescindere dal fattore umano. Eugenio Galli, per esempio, attuale Restaurant Manager, è un enologo, faceva tutt’altro nella vita, era un mio cliente, ma in lui c’era qualcosa che mi ha colpito. Se i ragazzi stanno bene, se si crea un gruppo come questo in cui c’è tanta voglia di crescere, bisogna parlarne e valorizzarlo, perché non è affatto scontato, specie in questo settore. Si dovrebbe infatti dare più spazio ai giovani talenti, sia di sala che di cucina, ascoltare ciò che hanno da dire, perché sono loro il futuro ed è solo con il loro contributo che si può ambire a traguardi importanti”, puntualizza lo chef.

La cantina è affidata a Gianluca Tronci, giovane e preparato, già al fianco di Achille Sardiello da Pipero, e vanta al momento poco più di 300 etichette: “L’obiettivo è quello di arrivare a 400 quanto prima, inserendo vini eleganti ma allo stesso tempo di struttura, che accompagnino adeguatamente la cucina dello chef”, argomenta il sommelier. C’è una piccola selezione di bollicine italiane, con le etichette più rappresentative di Franciacorta e Trento Doc e una buona scelta di champagne, con grandi maison e qualche outsider. Sul fronte bianchi, ampio spazio a Friuli e Piemonte, con una discreta scelta di Orange wine; il resto d’Italia è comunque ben rappresentato dalle cantine più note. Interessante la selezione dei bianchi francesi, quindi Germania e qualche proposta dal resto del mondo. Per i rossi si segue la medesima impostazione, dando però maggior risalto a Toscana e Piemonte, come si conviene, con le cantine più importanti e rappresentative di quelle zone.
I PIATTI

Il benvenuto da parte della cucina dà una panoramica esaustiva della visione dello chef e del suo stile rigoroso e preciso, descritto in precedenza: c’è spazio per i vegetali e per il mare con il cestino di rapa rossa ripieno di granciporro e brunoise di pere aromatizzate con timo limone; c’è la campagna, con le sfere di polenta Taragna fritte e farcite con stracchinato di bufala abruzzese, finocchietto selvatico e polvere di lievito tostato; c’è il territorio e Roma, con la chips di carciofi al vapore, crema di carciofi cotti sotto la cenere e mentuccia; c’è l’Oriente, con le tipiche tartellette di origine asiatica, farcite con sgombro affumicato, maionese all’aneto ed erbe di campo di Frascati. Infine c’è quell’apertura al nuovo di cui sopra, rappresentata dal diplomatico con parfait di fegatini di pollo, gel di lampone e acetosella, sintesi perfetta tra le origini romane dello chef e la decennale esperienza parigina del sous chef.



Il percorso inizia con gli ottimi “Cannolicchi in gremolada”, una fusione delle esperienze a Copenhagen e Milano: cannolicchi cotti in acqua a circa 80 gradi, polvere di cozze, finocchio marino e finger lime, con una salsa a base di midollo per dare una spinta sapida al piatto, prezzemolo, brodo di cannolicchi e gremolada, tipico condimento milanese dell’Ossobuco: piatto buonissimo, opulento, sapido, acido, perfettamente abbinato con un Riesling di San Leonardo, in cui l’acidità è ben bilanciata dall’affinamento in barrique. Si prosegue con “Lumaca di mare, bourguignonne, alga dulse, patata e caviale”, in cui gli sconcigli sono cotti e adagiati sul fondo, nascosti dagli altri ingredienti: piatto immediato, diretto, confortevole, da mangiare con un cucchiaio di legno, che mette in risalto l’attenzione maniacale dello chef per l’estetica e l’impiattamento: “Studiamo ogni composizione nei minimi dettagli, ma ho investito su nuove stoviglie perché vogliamo migliorarci ulteriormente”, ammette.

Si prosegue con “Animella e Ostrica”: animella di vitello cotta perfettamente nel burro, maionese di ostrica affumicata con legno di faggio, foglie di Centocchio e fondo di vitella, saporito e consistente, secondo i dettami classici della scuola francese. Interessanti anche le “Tagliatelle ricci e ricci”, fatte con farina di castagne, mantecate in padella con brodo di koji, ottenuto dalla fermentazione del grano e con un burro acido ai ricci leggermente affumicato, quindi ricci freschi, finocchio di mare sott’aceto e una castagna arrostita e grattugiata finemente: piatto che si sposa perfettamente per grassezza e opulenza con il Terzavia Riserva di Marco De Bartoli, proposto in accompagnamento.


Segue uno dei piatti più complessi e appaganti del percorso, ovvero le “Candele di cinghiale in dolceforte, mela cotogna e pinoli”, una pasta ripiena di cinghiale cucinato con ginepro, alloro e rosmarino, salsa dolceforte, tipica toscana, fatta con cioccolato amaro, acquavite, pinoli, uvetta e fondo di cinghiale, crema di pinoli e al centro mela cotogna, patè di cinghiale e tartufo nero: piatto goloso, saporito e molto tecnico. L’ultima proposta salata è la “Manzetta beneventana, prugne e capitone” controfiletto cotto sullo yakitori, alla base una composta di prugne di Damasco, radicchio Rosa di Verona, senape in grani, capitone affumicato e il fondo della manzetta stessa con aggiunta di succo di prugna; in accompagnamento consommé di manzo con infusione di rosa canina e aggiunta di Porto.


A concludere un percorso sorprendente per varietà, complessità e gusto la “Tarte tatin di sedano rapa, gelato al fior di latte e vaniglia”: si utilizza il sedano rapa al posto della mela e viene cotto con miele, burro e succo di mela stessa; alla base pasta sfoglia, a fianco un gelato al fiordilatte con vaniglia da spalmare sulla crostatina, da mangiare rigorosamente con le mani.

Indirizzo
Pulejo
Pulejo, Via dei Gracchi 31. 00192 Roma
Tel: 06 8595 6532
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