Il direttore della Rossa analizza lo scenario gastronomico mondiale, con particolare riferimento alle nuove leve.
La notizia
“Ogni generazione si rivolta contro i suoi padri e fa amicizia con i propri nonni”, scriveva il sociologo e urbanista statunitense Lewis Mumford. Pensiero che descrive alla perfezione l’analisi dell’attuale gastronomia mondiale e dei suoi protagonisti proposta da Gwendal Poullennec, direttore della guida Michelin. “In tutto il mondo stanno emergendo nuovi scenari con una forza incredibile. I giovani chef, spinti da progetti profondamente radicati nella loro terra, stanno costruendo la propria visione di eccellenza.

Dichiarazioni di identità culinaria, dove la storia personale dello chef e la cultura locale si intrecciano. Ciò che mi colpisce è la giovinezza dei talenti che emergono oggi. A volte aprono un ristorante a 25 o 26 anni, con una visione chiara, un progetto compiuto che integra l'arredamento, le stoviglie, il servizio e un forte impatto sul territorio”, ha confidato a Food & Sens durante Sirha 2025 (Lione), la più importante fiera per il settore della ristorazione.

Una profonda riscoperta del territorio e della sua essenza che passa, inevitabilmente, attraverso lo studio e l’interiorizzazione delle tradizioni di un tempo con l’obiettivo di celebrare i luoghi della propria storia e rivelare la propria identità attraverso i piatti. Un nuovo approccio che prende le distanze dalla cucina fine dining dei decenni passati - spesso troppo ingessata - per tornare alle origini. "Oggi la gastronomia non si limita più a un'unica forma; è mutevole, diversificata e diffusa in tutto il mondo. Abbiamo sempre più concetti che combinano accessibilità ed eccellenza, senza rinunciare alla creatività. Vent'anni fa una taqueria con una stella Michelin sarebbe stata impensabile. Oggi è una realtà”, prosegue. Giovani chef, spesso under 30, che rimescolano le carte e scardinano modelli consolidati negli anni per manifestare attraverso percorsi autentici, la propria concezione di cucina sempre più connessa al terroir e all’ingrediente.

“L’essenza dell’alta cucina resta la stessa: valorizzare i prodotti, raccontare una storia e regalare un’emozione unica…la grande differenza sta nell'esperienza offerta: un servizio più rilassato, interazioni più autentiche. L’esperienza gastronomica diventa prima di tutto una questione di personalità e sincerità. Quello che vogliamo è sentire la storia dello chef nel piatto, comprendere il suo percorso, il suo legame con il suo territorio. Stiamo assistendo all’emergere di modelli in cui lo spreco è bandito, dove le filiere corte diventano la norma, dove la cucina riscopre i suoi fondamenti”.