Lo chef catalano Ferran Adrià ha sempre sostenuto l’importanza di trattare i clienti tutti alla stessa maniera. La sua filosofia si basa sull’equità e sulla capacità di sapersi adattare alle circostanze, eppure, in una recente intervista ha rivelato che nel corso della sua carriera a ElBulli è stato fatto uno strappo alla regola per un personaggio speciale.
La notizia
Ormai sono più di dieci anni che Ferran Adrià si è ritirato dalla cucina ed è terminata la storia di ElBulli - quantomeno nella veste di ristorante ora, infatti, è diventato museo - tuttavia non si placa il desiderio di estrapolare qualche aneddoto degli anni di fervore del tempio della cucina molecolare (definizione che Adrià non ama).
In una recente intervista a La Vanguardia, lo chef catalano - tra i padri della gastronomia contemporanea mondiale, blasonato come pochi altri suoi colleghi - ha dichiarato di non avere mai concesso alcun favoritismo quando si trattava di prenotazioni. Nonostante le liste d’attesa infinite e i clienti provenienti da tutto il mondo il sistema per riservare un tavolo era solo uno e chiunque fosse desideroso di gustare la sua cucina doveva giocare secondo quelle regole.
Nel raccontare di aver sempre disdegnato le suppliche di celebrità e personaggi influenti, che, nel corso degli anni hanno cercato di cenare a ElBulli “saltando la fila”, Adrià ha, tuttavia, svelato l’unica eccezione, che porta il nome di Johan Cruijff. “Non facevo mai entrare nessuno senza prenotazione, ma con Cruijff è stato diverso. Lo ammiravo moltissimo. È stato lo Steve Jobs del calcio. Lui è l’unico che è stato bravissimo sia quando giocava che quando allenava. Ha cambiato il calcio”, ha confidato Adrià, riferendosi all’olandese considerato uno dei uno dei migliori giocatori e allenatori nella storia del calcio.
Forse questo sgarro alle regole è stato un regalo che lo chef catalano ha fatto al Ferran Adrià bambino e adolescente, quando sognava di giocare in serie A. “Quando giocavo a calcio pensavo di essere bravo, di andare in serie A. Poi il mio allenatore mi ha detto: 'Sei bravino, ma non andrai mai ai Mondiali'. In quel momento ho imparato una cosa fondamentale...Per fare strada non puoi fare affidamento sul giudizio che hai di te stesso. Si deve avere l’umiltà di chiedere a chi ne sa di più: 'Sono bravo o no?', e, solo dopo aver ascoltato la risposta, pensare a ciò che si può diventare. Non ho mai avuto una vocazione, una missione. Io volevo diventare calciatore. Poi, nel 1980, ho deciso di passare le mie vacanze a Ibiza: siccome mio padre non mi dava un soldo, ho trovato lavoro come lavapiatti. Di mattina dormivo, la sera lavoravo, di notte andavo in discoteca a rimorchiare ragazze. Da lì è cominciato tutto”, ha raccontato, qualche tempo fa, a Marie Claire.
Nella stessa intervista alla domanda “E’ vero che non fa saltare la fila a nessuno, neanche a Juan Carlos?” rispondeva: “Lungi da me sembrare presuntuoso, ma non sono io a prendere le prenotazioni... Gliel’ho già detto: per me tutti i clienti sono uguali”. Il desiderio di Adrià - che ora impiega la maggior parte del tempo a formare la nuova generazione di chef, tanto da aver fondato l’università Madrid Culinary Campus con il collega Andoni Luis Aduriz - è sempre stato voler ospitare i commensali che sanno aspettare i tempi e apprezzare il valore dell’attesa come parte integrante dell’esperienza stessa.
Così hanno fatto Pep Guardiola, Xavi Hernández e Txiki Begiristain che hanno gustato la sua cucina e compreso e apprezzato la sua visione. Da grande appassionato di calcio e sfegatato tifoso del Barcellona ricorda, poi, la volta in cui ha preparato “la capasanta napoletana con pomodoro e formaggio” per Lionel Messi: “Ci siamo divertiti tantissimo”, commenta. L’intreccio della passione per la cucina e il calcio, nonostante il ritiro dai fornelli, gli fa poi dire: “Oggi cucinerei volentieri per il giovane prodigio del Barça, Lamine Yamal, di soli 17 anni. Quello che sta facendo alla sua età è pazzesco. Nemmeno Messi lo faceva alla sua età”.