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Famiglia Rana, alta cucina “per tutti”: come Francesco Sodano rende il fine dining trasversale

di:
Marco Colognese
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A Sodano va il merito di spingere senza patemi: il punto è che lo fa nella direzione giusta, perché il suo bagaglio tecnico glielo consente. Quindi qui si gode, senza mezzi termini, con gusti ricchi e diretti, ma soprattutto con piatti che fanno divertire dall’inizio alla fine, senza bisogno di essere contestualizzati per chi non lo desidera.

Il ristorante

La Valle del Feniletto si trova a poco più di una ventina di minuti d’auto da Verona: quest’oasi verde di diversi ettari, popolata fin dall’Età del Bronzo, come testimoniano diversi reperti ritrovati a seguito di una campagna di scavi che ha rivelato i resti di antiche palafitte, racchiude al suo interno una moderna fattoria. Un luogo incontaminato, presidiato da 16 arnie che ne garantiscono e monitorano, grazie al lavoro delle api, l’intero ecosistema.

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Una grande aia, scuderie per i cavalli, un orto biologico e un frutteto con piante di varietà antiche sono di supporto a un locale di notevole bellezza (e altrettanto grande bontà), ricavato all’interno di quello che era stato un magazzino di stoccaggio per tabacco e riso, tipici di quest’area: qui è nato il ristorante Famiglia Rana.

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Un luogo suggestivo, sotto diversi profili un contenitore di mondi differenti, dalle opere floreali di Ottavia Bosco alle pareti decorate dai fondatori di Cantieri Creativi, alle grafiche di PÖI, “Poi lo faccio”, piccolo laboratorio sperimentale torinese di serigrafia e stampa artistica. Ancora, le opere in paper clay opere di Paola Paronetto e una collezione di opere d’arte di Gianluca Rana.

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La proprietà, va da sé, è della Famiglia Rana: la scelta dello chef, dopo l’uscita del suo predecessore, è caduta su uno dei professionisti più stimolanti e stimolati del panorama nazionale. Si tratta di Francesco Sodano, campano di Somma Vesuviana, classe 1988, il quale è arrivato nel veronese dopo diverse esperienze importanti, reclutando una squadra i cui capisaldi sono il sous chef Nicolò Raduazzo, il maître Pasquale Sannino e il sommelier Danilo Massa, forte di una carta dei vini con circa 1300 etichette a disposizione.

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Lo chef

Sodano ci racconta: Il primo impatto con la famiglia Rana, ovvero con Gianluca, è stato conoscerne la grande umanità, non così scontata per una persona che è a capo di un gruppo con un giro d’affari così importante. Amo questo posto, anche se è diverso da quella che è la mia natura, perché sono un uomo di mare. In realtà Somma Vesuviana è un paesino arroccato sulla collina a 450 metri d’altezza, mi ci vogliono 20 minuti per arrivare sia a Napoli sia in Costiera, ci sono in mezzo. Quindi la campagna la conosco e fa parte del mio background, sono cresciuto che avevamo galline e orto, proprio come qua.

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I modelli per Francesco sono stati diversi, a partire da Anthony Genovese: “L’esperienza al Pagliaccio è stata la più formativa, anche se ho sempre cercato, fin dall’inizio, dopo aver messo piede in cucina, di non diventare una copia del mio maestro ma di prendere i suoi insegnamenti e di farli miei, perché sono ossessionato dal cercare di avere una mia idea di cucina. Anche le esperienze all’estero mi sono servite tantissimo: a Londra, nei miei giorni off, me ne andavo a fare servizio nei ristoranti, all’epoca c’era sempre richiesta di personale. In qualsiasi stellato ti chiamavano a fare questi shift di 4 ore dove ti facevi un servizio con loro: vedi nulla e vedi tutto, ma ti rendi conto della wave, vedi l’ambiente e soprattutto assaggi i piatti, se sei navigato.

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E di fatto Francesco lo era, con i suoi due anni insieme a Oliver Glowig, tre e mezzo al Pagliaccio e poi al Faro di Capo d’Orso con lo chef che l’avrebbe preceduto, oltre ad altri in Italia e in Francia. Prima di arrivare a Oppeano, Sodano trascorre del tempo fuori dalla cucina: “C’è stato un gap temporale in cui mi sono occupato di consulenza al Local di Venezia con mio fratello. Facevo anche formazione, mentre avevo l’obiettivo di di aprire un mio locale; poi è nata questa collaborazione e ho mollato l’idea di fare un investimento molto importante, dato anche il periodo storico. Per più di un paio d’anni non ho avuto una cucina mia, ma non sono stato fermo perché ho studiato e fatto ricerca. Stare lontano dal quotidiano mi aiutato tanto, perché quando sei all’interno sei sempre impegnato, preso da mille cose, ed è difficile avere momenti in cui riesci a dedicarti alla tua identità. Io ne ho approfittato per creane una nuova e ho avuto la possibilità di girare anche all’estero, per vedere i luoghi particolarmente in voga, capire e provare.

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Rispetto a Capo d’Orso ho avuto un’evoluzione a trecentosessanta gradi, anche su come concepire i piatti. Sicuramente è stata anche una questione fisiologica, perché c’è stato il Covid che ha cambiato le abitudini culinarie e la percezione della gente, con quel boom iniziale dove i ristoranti gastronomici lavoravano tantissimo. Poi è arrivata anche la crisi, con un triste ritorno alla realtà.” Ecco perché anche Francesco, avanguardista nell’anima, con una cultura gastronomica ragguardevole e uno spirito tecnico molto spiccato, ha modificato la sua cucina: “Oggi la definirei più immediata e impattante: riconoscibile, soprattutto. Prima magari era una cosa un po’ più di nicchia, oggi invece cerco sempre, sia negli ingredienti sia nelle preparazioni, di essere quanto più immediato possibile. Un piatto dev’essere buono tanto per chi mangia in trecento ristoranti all’anno quanto per mia nonna. Comprensibile non significa che non debba esserci tecnica, avere le sue peculiarità e suoi effetti wow, ma che sia impattante e riconoscibile.

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Se un piatto si deve capire già non va bene, perché ci sta che noi del settore riusciamo a percepire sfumature diverse, ma il risultato finale dev’essere buono per tutti. Prima, ad esempio, nel risotto al limone nero che facevo in costiera, spingevo l’acidità a palla, ma qualcuno lo mandava indietro perché era troppo. Il mio pensiero allora andava su ‘vabbè questo non capisce niente’. In realtà ero io a non capire, perché il 95% di chi sostiene un ristorante non è la clientela gourmet né un collega, né un giornalista o un critico gastronomico.” Va detto, a scanso di ogni possibile equivoco, che questo approccio di pragmatica saggezza non si traduce certamente in piatti scoloriti o versioni ammorbidite di idee interessanti ma non compiute. Anzi, a Sodano va il merito di spingere senza patemi: il punto è che lui lo fa nella direzione giusta perché il suo bagaglio tecnico glielo consente. Quindi, qui si gode, senza mezzi termini, con gusti ricchi e diretti, ma soprattutto con piatti che fanno divertire, dall’inizio alla fine, senza bisogno di essere contestualizzati per chi non lo desidera. Prima si mangia, insomma: poi chi è curioso di approfondire troverà pane per i suoi denti.

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I piatti

Partiamo da amuse bouche che preparano alla sequenza: il cannolo croccante al pomodoro con  polpo pulled, jalapeno fermentato e yogurt di bufala, il waffle alle alghe fermentate con un’emulsione di ostriche e caviale di salmerino. E ancora la golosissima cialda con crema di mandorle, foglie di cappero, bergamotto salato e miso di semi di zucca. Per la ‘cozza alla romantica’, ci racconta Francesco, “ho preso ispirazione da uno chef ischitano che nel ‘77 ha preso la stella Michelin, ha 88 anni e ancora lavora e fa queste cozze arraganate fantastiche". Notevole il finto nigiri, italianizzato con il risone (pasta ricorrente per Francesco): “Andiamo a creare un’emulsione che ricorda un po’ il condimento sushi classico, una crema di rafano sostituisce il wasabi, aggiungiamo shiso per dare nota vegetale e un tonno frollato 150 giorni”.

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Ecco finalmente un’interpretazione che rende l’abalone buonissimo, oltre che commestibile: Sodano lo fa alla ‘gallega’, ispirato dal polpo spagnolo; l’abalone viene lavorato agli ultrasuoni e assume una bella  consistenza callosa, a ricordare la texture del polpo: viene poi aggiunta una patata cotta nel grasso di manzo e un’emulsione simile all’escabece con aceto con paprika, peperoni e peperoncini verdi e emulsione all’aglio affumicato.

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Assume una succulenza particolarmente ghiotta il carabineros: frollato per 10 giorni nel grasso di manzo, rimane quasi crudo dopo una cottura a 42°C, passato allo yakitori e nappato ancora con grasso di manzo dry aged. Viene servito insieme a una quenelle cremosa di peperoncini verdi lattofermentati e frullati con acqua di pomodoro. Infine sono aggiunti aceto di pomodoro e un velo d’aglio a crudo, basilico sbollentato e clorofilla di coriandolo. Al suo interno una salsa Worchester e gocce di tabasco, sul piatto un fondo di crostacei. Ma non è tutto, perché il gambero ha anche il secondo servizio, in una coppetta ghiacciata che contiene una crema di peperoncini e un gelato ai ricci di mare con sale al Campari, oltre a due salse: un olio ai crostacei e uno al coriandolo; infine, la testa del gambero, arrostita sulla brace, viene spremuta sul tutto.

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Di grande soddisfazione anche le linguine cotte in estrazione di seppia e finocchio: “Concettualmente è una pasta aglio e olio che bagniamo con acqua di finocchio, mantechiamo, qualche goccia di Chartreuse per dare nota una balsamica e aprire la parte vegetale; poi una colatura di seppia, sopra la stessa seppia compressa nel suo garum, con l’utilizzo del Gastrovac; ancora, la sacca delle uova lavorata come una di bottarga da grattugiare sopra; polvere di finocchietto selvatico e clorofilla di finocchio a dare intensità vegetale e concludiamo con con caviale Beluga selezione Famiglia Rana.” Il side di questo piatto è ‘all about cuttlefish’, tutto sulla seppia: “Ciò che non viene utilizzato viene lavorato al pacojet: facciamo una pasta, la coaguliamo, la essicchiamo e la friggiamo, fino a farla diventare una chips 100% seppia; sopra seppia cotta con emulsione del suo quinto quarto, caviale e bottarga”.

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È la volta di uno gnocco 100% di tuorlo d’uovo senza glutine né farina. “Viene prima coagulato -40°C e poi a 68 gradi alla base del piatto c’è un fungo liofilizzato e reidratato in un brodo che facciamo con scarti, compresa la parte del terreno; la texture del fungo è quella della cottura ma è completamente crudo; sopra, un porcino liofilizzato e a concludere un brodo di Parmigiano Reggiano distillato e giusto un tocco di verbena per dare freschezza.” La guancia di tonno è un’altra meraviglia di gusto e intensità: “Viene servita al sangue, essendo un muscolo è molto fibrosa, la lavoriamo agli ultrasuoni sfibrandola completamente. Marinata, cotta al barbecue, è servita con indivia lattofermentata all’interno di una soluzione sapida di black lime; poi da cerfoglio e dragoncello selvatico estraiamo un olio e montiamo uno zabaione.” Ultima portata salata, the duck is back the duck is black, una succulenta serie di variazioni sull’anatra.

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La prima parte è una cottura in cera d’api con soluzione di acetato di sodio che versiamo al tavolo: dallo stato liquido si trasforma in solido e la temperatura sale e riesce a mantenersi per 35, anche 40 minuti, poi togliamo acetato e cera e la cuciniamo in padella à l’ancienne, sull’osso. Non poteva mancare un pâté di fegatini. Il fondo è uno jus à la presse: pigiamo tutta la carcassa, la uniamo al brodo e andiamo a montare la salsa espressa deglassando la padella dov’è stata cotta. Utilizziamo un chutney di melanzane in accompagnamento e mela per dare acidità. Le alette dell’anatra e gli scarti, cotti confit, si ritrovano in un won ton stile vietnamita, arricchite da crema di limoni salati sommacco e acetosa”. Bel piatto di passaggio il minestrone della valle del Finiletto: sedano rapa, carota, pastinaca, rapa rossa, pera mela, uva fragola e un vermouth fatto in casa e gelificato nel piatto; ancora un succo di mela antica, piccola e molto acida, tagliata con acqua di shiso; sopra nepitella, pimpinella, timo selvatico, santoreggia, acetosa verde, nasturzio; viene finito con clorofilla di finocchietto.

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Che buono il viaggio in Sicilia, a base di mandorla cedro e capperi: crema di mandorle e ganache al cioccolato bianco, gel di cappero, gel di bergamotto, cedro candito, capperi tostati e caramellati, crumble al muscovado e gel di cappero; in mezzo una quenelle di gelato alla mandorla e spuma della stessa. Sopra un camouflage di cedro tostato, aromatizzato con pepe e polvere di cappero. Un pane e nutella sui generis, di bontà assoluta, viene servito invertendo i colori come in un negativo. Il pane, qui scuro, subisce un processo di ossidazione mediante l’Ocoo, pentola a pressione coreana: gli zuccheri contenuti all’interno delle proteine della farina caramellano, facendo sì che l’ossidazione tiri fuori il tostato: sembra di ritrovarli, ma non ci sono né cacao né cioccolato. Sopra, un gelato chiarificato a base olio di nocciola, un fiocco di sale e tartufo grattugiato. La parte solida alla base è un pralinato di nocciola. Una cucina attualissima e memorabile.

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Contatti

Famiglia Rana

Via Feniletto, 2, 37050 Oppeano VR

Telefono: 045 713 0047

Sito web

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